Antonino Anile, poeta di Dio. Designato da don Sturzo per galvanizzare questo organismo morto che è la Scuola di Stato

 Deputato  per la XXV, XXVI, e XXVII legislatura, Sottosegretario alla Pubblica Istruzione prima e Ministro dello stesso dicastero poi, dal febbraio all’ottobre 1922, designato da don Sturzo per la riforma scolastica, meglio per “galvanizzare questo organismo morto che è la Scuola di Stato” come ebbe a dire lo stesso Ministro riformatore.

Questi è stato Antonino Anile nato a Pizzo Calabro il 20 novembre 1869 e morto a Rajano, in provincia de L’Aquila il 26 settembre 1943, giusto settanta anni orsono. Il suo corpo mortale riposa nella chiesa patria  dedicata a San Giorgio e ciò per speciale concessione del Papa Pio XII. Insigne medico e scienziato, professore di Anatomia artistica della Reale Accademia delle Belle Arti di Roma, delicato poeta perché le sue liriche, come è stato scritto, “sono un notevole tentativo di conciliazione tra fede e scienza” e per questo riconosciuto come “poeta di Dio”,  giornalista de “Il popolo di Roma” e de “Il giornale d’Italia” per il quale, girò in lungo ed in largo l’Italia per confezionare utilissimi servizi di scienza, medicina e fede. Mi piace ricordare, a questo proposito, che Anile, in quanto giornalista e studioso di Anatomia, nel 1921 si portò anche nella vicina Cutro per osservare da presso il famoso Crocifisso di Fra’ Umile da Petralia, Monumento nazionale, e di fronte a cotanta opera d’arte disse che soltanto una mano santificata poteva realizzare un’opera di tal maniera. Inoltre raffinato e prolifico scrittore che ha lasciato numerose opere, tra le quali ricordo: Lo Stato e la scuola, Bellezza e verità delle cose, Questo è l’uomo, La salute del pensiero. Socio dell’Accademia Pontificia dei Lincei per scelta di Papa Pio VI. “Le sentimentali virtù del poeta e dello scrittore si completarono e si armonizzarono con quelle dello scienziato e del giornalista nel momento stesso in cui la vita politica” lo chiamò, come scrisse Nino Romeo Romarin in Calabria Letteraria del luglio 1965. Insomma un umile terziario francescano e “medico – apostolo” come unanimemente riconosciuto che spesso soleva amaramente constatare che “errammo in politica perché errammo nella scuola”. Nel mettere mano al delicato compito di risanamento del sistema scolastico italiano, nel citato “Lo Stato e la Scuola”, dovette ammettere e ammonire che “l’opera statale scolastica è proceduta sempre a ritroso del cammino della Nazione. Quando si trattava di presiedere ad un grande patrimonio ideale, di inalveare le energie irrompenti dalle nuove generazioni, di dar forma agli organi ed alle funzioni per  cui le diverse attività di questo popolo multanime entrassero nel circolo della vita nazionale, di mettere alimento ai fuochi intellettuali sparsi qua e là perché confluissero in una sola grande fiamma; quando occorreva intendere la scienza come arma di dominio sulla materia […] noi ci siamo perduti nella vana fatica di uniformare ciò che non è uniformabile, e la esteriorità ci è valsa a criterio dell’interiorità e abbiamo confuso il numero delle cose col numero dei valori […] pensosi più di interessi particolari che generali, più del partito che della patria…”. E al di là di sterili polemiche ed inutili, quanto insignificanti interrogazioni parlamentari, il Ministro calabrese specificava che “noi abbiamo guadagnato in legalità per la ragione semplicissima che ci è mancato il coraggio della responsabilità. Questa non lieta condizione della nostra coltura superiore si riflette sulla gioventù studiosa, che respira ormai nelle nostre aule scolastiche aria poco salubre.” E non solo, affondando il dito nella piaga, ieri come oggi, Anile apostrofava il parlamento: “Roma, diciamolo pure, non rappresenta altro che il canovaccio su cui si tessono reti d’interessi particolari e legami settari che soffocano ogni libertà di studio. E, per conseguenza, la gioventù studiosa sente che non ha nulla o poco da rispettare”. Pertanto, continuava Antonino Anile, tra i fondatori del Partito Popolare, “lo Stato sia regolatore degli studi, ma non oppressore; educhi, ma non violi gli uomini; operi al formarsi di una coscienza civile, ma non dimentichi che per il popolo non c’è coscienza civile senza coscienza religiosa”. In visita a Crotone, nel 1921, esternò tutta la sua amarezza in un commovente, appassionato e coinvolgente discorso, “…la nostra Calabria, dall’unità in poi, in circa un cinquantennio di vita nazionale, non solo è stata abbandonata a se stessa, ma costretta a subire una serie ininterrotta di violenze in ogni suo elementare diritto. A rompere questa muraglia di egoismi umani, che ci stringe da ogni lato e minaccia di soffocarci, noi dobbiamo riacquistare i nostri beni morali perduti, che è fonte di ogni altra ricchezza e che la Calabria perdette nei periodi più fulgidi della sua storia”. E tornando sul sistema scolastico il politico di Pizzo ammonì che “la scuola, prima di essere una questione amministrativa è una questione umana”, insomma, concluse: “meno politica, anche se democratica, e più umanità”.