Andiamo via, chiediamo asilo politico

In questo paese “ Italia” non accade nulla di nuovo, voglio dire, che si respira la stessa aria stantia che si trova solitamente in certe cantine abbandonate. Me ne vorrei andare via da questo paese dominato ed oltraggiato da un manipolo di tiranni denominato anche Casta, la quale sta “lì” solamente per fare i propri comodi, a conservarsi quanto è riuscita a rubare, a privilegiarsi del plauso di tantissimi idioti che ancora in essa ripone fiducia e ammirazione; quindi dicevo di voler andar via e chiedere asilo politico in un altro Stato sicuramente meno aberrante di questo. Quei palazzi non sono altro che teatri in cui vengono studiate e disegnate scenografie per un pubblico ormai stanco e nauseato, schifato da tanto marciume, dall’indifferenza, dalla cupidigia, dalle sopraffazioni  messe continuamente in atto nei confronti di un popolo di stupidi che questi forse se li merita tutti. Il nuovo della politica è la stessa volpe di sempre con una maschera diversa. Ma questi di maschere ne hanno indossate tante che adesso non sanno più riconoscere il loro vero volto. A noi vengono chiesti sacrifici, dimezzate le pensioni, le tredicesime; vengono inventate nuove tasse per un traguardo impossibile perché non facciamo altro che pagare interessi degli interessi mentre il debito ( chissà se è vero poi ) è sempre la, intatto e pesante, ma solamente per noi e non per loro che nel frattempo, in questi tempi belli hanno creduto opportuno aumentarsi gli stipendi, mentre quelli del popolo bue sono fermi da annoni. Forse sarebbe ora di prendere la saggia decisione di uscire dalla zona euro e mandare tutto il resto al diavolo, o forse verremo espulsi dagli altri! Ma altro che espulsi con ignominia dall’euro: la Germania dovrebbe corromperci per convincerci (con quattrini sonanti) a restare nel circolo traballante della moneta unica europea. A dirlo non è qualche pasdaran italiano ma la blasonata banca d’affari Merrill Lynch in un report datato 10 luglio. Secondo i due analisti (David Woo e Athanasios Vamvakidis), il nostro Paese avrebbe tutto da guadagnare ad uscire «ordinatamente» dall’euro, a patto che lo faccia prima degli altri (Grecia e Spagna). Chi ci rimetterebbe sarebbe certamente la Germania. Che uno dei due analisti sia di origine greca è solo uno di quegli scherzi del fato beffardo. Athanasios Vamvakidis è un rampante esperto di affari internazionali sotto contratto anche con il Fondo monetario internazionale e questo studio stilato (insieme al collega Woo) per la banca d’affari americana non sembra risentire dei guai che sta vivendo il Paese d’origine dell’analista. Anzi Vamvakidis suggerisce all’Italia quasi di farsi pagare dai tedeschi per restare nell’euro, ma i benefici maggiori il nostro Paese li avrebbe se prima si facesse aiutare e poi lasciasse tempestivamente la moneta unica. Forse non si è a conoscenza che l’Italia rappresenta nell’area euro la terza più grande economia, e potrebbe avere «maggiore probabilità di raggiungere un’uscita ordinata rispetto ad altri». Insomma, avremmo tutto da guadagnare in termini di maggiore competitività. Di contro la Germania viene erroneamente considerato il Paese in grado di lasciare la zona euro più facilmente. Ma non è così: Berlino infatti si troverebbe ad affrontare una crescita molto più debole, gli oneri finanziari eventualmente spiccherebbero il volo e dovrebbe incassare un colpo pesante sui bilanci interni. Stessa musica per Austria, Finlandia e Belgio che già oggi hanno anche pochi buoni motivi per pensare soltanto ad uscire dall’euro, mentre la Spagna – Paese più direttamente colpito dalla crisi – farebbe più fatica. Secondo la simulazione condotta da Woo e Vamvakidis la Germania dovrebbe addirittura «corrompere» l’Italia per convincerla a rimanere nel blocco ed evitare le conseguenze derivanti da una uscita, ma la capacità di persuasione di Berlino sarebbe alquanto limitata. Questo perché l’Italia ha più di qualche buona ragione per lasciare ora, mentre per la Grecia – che già si è impegnata pesantemente con i piani di ristrutturazione e rimborso dei debiti – diventare troppo costoso. Ora come ora gli italiani potrebbero non digerire le condizioni per la permanenza. E quindi la Germania potrebbe addolcire la pillola dei sacrifici per convincere Roma a rimanere. Secondo gli analisti il momento migliore per abbandonare sarebbe proprio a metà del percorso di convincimento (e incassati gli aiuti). In questo caso oltre alla crescita ed al miglioramento della bilancia dei pagamenti, l’Italia incasserebbe un dividendo aggiuntivo proprio dall’opera preventiva di “corruzione” attuata da Berlino.

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C’è un giornale, in Europa, che canta fuori dal coro nell’accogliere la notizia di un ritorno di Silvio Berlusconi nel ruolo di candidato premier. La linea diffusa è quella, ad esempio, dell‘Economist, che riprendendo il ritornello del musical “Mamma mia” titola “Mamma mia, here we go again” (“mamma mia ci siamo di nuovo”) con sotto la faccia sorridente di Silvio Berlusconi. Chi esce dal coro è un altro giornale inglese, The telegraph. Lo fa sostendendo,       Barack Obamain pressing sull’Europa si fa sentire e parla non più solo a Berlino ma anche a Bruxelles: Bce e Comissione europea vengono ritenute corresponsabili del disastro. “I mercati rimangono scettici ha detto il portavoce di Obama Jay Carney – che le misure prese finora siano sufficienti a garantire una ripresa in Europa e ad allontanare il rischio peggioramento della crisi. Bisogna fare altro. Comunque siamo pronti a compiere tutti i passi necessari per isolare l’economia americana dall’impatto negativo della crisi in Europa. La linea di Obama è che l’austerity dell’eurozona è un suicidio, crea recessione e disoccupazione, peggiora gli squilibri di finanza che vorrebbe sanare. In Italia prosegue il dibattito sulle conseguenze dell’eventuale uscita dall’euro. Su Libero del 5 giugno, Carlo Pelanda spiega che chi desidera, comprensibilmente, l’uscita dall’eurogabbia e la secessione dal Quarto Reich, deve mettere in conto un costo elevatissimo. Infatti, nell’analisi costi/benefici conviene di più cercare di far funzionare l’euro, modificandone l’architettura tecnica e politica, piuttosto che  tornare alla sovranità monetaria. I problemi dell’Italia sono tre: debito, cambio decompetitivo e modello economico interno che soffoca la crescita. Gli eurovincoli li peggiorano invece che aiutare a risolverli, in particolare il problema del debito. ma con l’adio all’euro, la lira perderebbe circa metà del suo valore in relazione all’euro odierno e così i titoli di Stato, almeno per un biennio. Tale prospettiva porterebbe i risparmiatori a spostare i loro soldi dalle banche, prima. Inoltre il debito sovrano italiano sarebbe classificato come parzialmente in insolvenza. Le due cose comporterebbero la crisi bancaria e del credito. Se si riuscisse a superare senza morti questo impatto, poi il minor peso della spesa per interessi (oggi tra gli 80 e 90 miliardi annui) e la competitività del cambio permetterebbe all’Italia una crescita del Pil tendenziale attorno al 5 per cento. Quindi il problema si concentra su come superare il biennio di ritorno alla lira evitando la distruzione totale del sistema. In teoria un modo ci sarebbe. Agganciare la nuova lira al dollaro e ottenere dall’America una linea di credito speciale di 1,5 trilioni di dollari. Se fosse possibile, la svalutazione della nuova lira sarebbe contenuta, sufficiente per dare impulso alla crescita, ma non troppa per costringere il mercato europeo al ritorno dei dazi.   Il futuro del Vecchio Continente e della moneta unica restano un rebus. Tra moniti, cassandre, accuse, piani svelati e smentiti, nessuno può prevedere con certezza quale sarà il futuro dell’euro. Di sicuro c’è un quadro congiunturale in progressivo deterioramento, una circostanza testimoniata anche dalla netta presa di posizione di Barack Obama, che punta il dito contro l’Europa che, impantanata nel rigore che spinge verso la recessione, rischia di compromettere la rinascita del morente sogno americano. Il worst-case scenario, se ovvero tutto andrà male, dovremo dire addio alla moneta unica. Rinunciare all’euro sarà dolorosissimo: banche che falliscono, risparmi che evaporano e la fuoriuscita a tempo indeterminato dal quadro economico mondiale.  Il piano italiano – In Italia, e in tutta Europa eccetto la Grecia, è tabù parlare di uscita dall’euro. Mario Monti ne è sicuro: non accadrà e nemmeno se ne deve parlare. Ma c’è chi svela scenari differenti. Si tratta di Paolo Savona, 76 anni, economista di Cagliari che ha lavorato a Bankitalia per poi diventare direttore generale di Confindustria e ministro dell’Industria nel governo Ciampi. Non si tratta certo di un emerito sconosciuto. Le idee di Savona sono chiare da tempo. Già nel novembre del 2012 scrisse una lettera al Foglio di Giuliano Ferrara. La sua proposta? “Liberarsi dal cappio europeo che si va stringendo al collo dell’Italia”. Una tesi che Savona ha ribadito in televisione lunedì sera, a L’Infedele di Gad Lerner, su La7. La telefonata di Tremonti – L’economista ha rivelato in diretta di aver ricevuto già lo scorso luglio, dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, una telefonata in cui il superministro gli assicurava l’esistenza di un “piano B”, di un’alternativa, di una road map da seguire in vista della possibile – se non probabile – uscita dall’euro. Savona ha poi affermato di avere la certezza che questo piano, questa exit strategy, sia stata preparata anche dai piani più alti della Banca d’Italia. L’addio alla moneta unica pare essere un’ipotesi presa in considerazione da tempo, da molto tempo. Quando Monti scaccia via lo scenario del crac dicendo che non è pensabile l’addio alla moneta unica, evidentemente, sta mentendo. HA RAGIONE BERLUSCONI: E’ PROVATO, LO SPREAD E’ UN IMBROGLIO DEI TEDESCHI L’impennata dello spread ci fu quando la Deutsche Bank nel luglio 2011 vendette una q uantità ingente di BTP, addirittura 7 miliardi di euro di BTP. Questa enormità di nostri titoli sul mercato fecero diminuire la loro quotazione rispetto ai titoli tedeschi né poteva andare diversamente secondo le leggi dell’economia. Questo ebbe luogo perché il 20 ottobre 2011 Deutsche Bank presentò un lungo lavoro al Governo tedesco e alla Troika (Fmi, Bce e Ue), intitolato “Guadagni, concorrenza e crescita“, nel quale chiese esplicitamente che venissero privatizzati i sistemi welfare e i beni pubblici di Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda. Praticamente un metodo per impadronirsi dei beni di questi Stati: mettono nel mirino i Paesi da invadere, poi li mettono in crisi, aumentando artificialmente gli interessi sul debito pubblico, poi mandano la cura, presentandola come la sola possibilità. Questa è la terza guerra mondiale combattuta senza spargimento di sangue con un facile bottino ottenuto con la complicità dei servi schiocchi e mediante l’introduzione di un cavallo di Troia: Monti per l’Italia. Berlusconi dice il vero quando indica nella Germania il braccio armato e l’utilizzatore finale di una crisi creata ad arte per rimpiazzare i vertici istituzionali con altri più compiacenti, chiamati a liquidare il nostro patrimonio. Di fronte a questi dati, chiunque difenda ancora la Germania come esempio di virtù e di buon governo non solo dice il falso, ma va contro gli interessi del suo Paese e deve assumersene la responsabilità. Nell’era digitale dove ogni cosa è ormai immateriale, le crisi le creano i tiranni dell’economia e della finanza. Le banche, soprattutto quelle centrali, sono una lobby che persegue unicamente il mantenimento dello status quo e congela ogni forma di progresso per il popolo: lo dice espressamente l’ex banchiere centrale belga Bernard A. Lietaer. I miliardi degli aiuti girano in tondo, facendo un lungo giro dell’Oca, vengono creati dal nulla e poi ritornano al punto di partenza, ma durante il percorso qualcuno si impoverisce e qualcun altro si arricchisce. E quelli che si arricchiscono non siamo noi italiani. Ora andremo a votare, ricordiamoci quanto sta avvenendo e non diamo il voto a chi sponsorizza le politiche che ci rendono schiavi della Germania mentre questi autentici criminali andrebbero denunciati all’Aia a cominciare da Christine Lagarde senza dimenticare Angela Merkel, Wolfgang Schäuble, José Barroso Hermann Van Rompuy, e pure Mario Monti. Votiamo per qualcuno che abbia gli attributi per tirarci fuori da questa schiavitù. Mentre giungono voci di sommosse nella vicina Slovenia contro l’euro. E intanto vi auguro un buon Natale!