Gli scatti fotografici del glottologo tedesco Rohlfs in mostra al Parco Nazionale dell’Aspromonte

 Il 12 settembre1986 aTubinga (Germania) moriva Gerard Rohlfs, specialista di glottologia romanza di fama mondiale e studioso di dialettologia italiana, francese e spagnola. Nato a Berlino nel 1892, professore di Filologia romanza, prima a Tubinga, poi a Monaco, rientrato infine a Tubinga come docente, il Rohlfs è stato autore di numerosissime opere nei campi più vari della romanistica, alcune di grande e fondamentale importanza per la ricerca e la consultazione. Già dall’inizio dei suoi studi, il suo interesse si è attestato sui dialetti del sud d’Italia. A lui si devono inchieste senza fine in questo non facile contesto storico e linguistico. Prezioso frutto di anni e anni di raccolte ed elaborazioni restano i due  Vocabolari, l’uno dedicato alle Tre Calabrie (tre volumi del 1938-1939) e l’altro al Salento (tre volumi del 1956.1961), oltre al Vocabolario etimologico della grecità meridionale (1930). Non vanno, altresì, dimenticati i Saggi antroponimici e toponomastici e soprattutto la monumentale Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti (3 volumi del 1949-1954) che contiene, assieme alla lingua italiana, un’infinità di dati dialettologici che hanno costituito, ed ancora lo sono, un prezioso scrigno di studi proseguiti da altri eminenti studiosi di tutto il mondo. Tra i tanti riconoscimenti, nell’arco del suo lungo ed intenso itinerario di studi, mi piace ricordare il “Premio Forte dei Marmi1964”che lo ha premiato per  “l’appassionata e fervida attività; tante opere di grande mole e rilievo, e che sono talora state, in alcune loro tesi fondamentali, incentivo specialmente da parte italiana, per accese e feconde discussioni; l’alta dignità scientifica della sua produzione, che indubbiamente ha contribuito al diffondersi degli studi italiani nel mondo.” Rohlfs, “l’archeologo delle parole”, secondo la definizione dello storico Francesco Mosino che lo ha conosciuto molto bene, venne in Calabria la prima volta nel 1921, con una lettera di presentazione di Benedetto Croce presso alcune famiglie della borghesia di allora, come ricorda lo stesso Mosino. Da allora, senza soluzione di continuità, eccetto il periodo bellico, Rohlfs, fino al 1983, praticamente fino alla morte, è stato in Calabria, la terra che amò molto “tanto che morendo ha chiesto ai suoi amici di non inviare fiori sulla sua tomba, ma sussidi economici per alcuni bambini”, come ha scritto Vincenzo Squillacioti e spesso ripeteva di portarne “un pezzetto nel cuore per sempre”. Nell’arco di questi anni si fermò in 365 paesi e sperdute comunità che non lo hanno mai dimenticato, così Bova, Candidoni, Polistena e Tropea gli concessero la cittadinanza onoraria, altri gli dedicarono piazze, strade e scuole e l’Università della Calabria gli conferì la laurea ad honorem. La nostra regione è stata, per lo studioso, fertilissima terra di indagini per lo studio di tradizioni, lingue e dialetti soprattutto delle popolazioni grecaniche dell’area ionica reggina, di quella gente che ormai aveva bene imparato a convivere con il “tedesco” fino alla fine. Ancora tra questa sperduta gente di Roghudi, Gallicianò e Bova, c’è gente, soprattutto anziana, che lo ricorda quando a dorso di mulo si inerpicava tra quegli impervi  sentieri per raggiungere, appunto, i suoi “greci d’Italia” che puntualmente lo aspettavano da un anno all’altro, come si aspetta un figlio che torna da lontano. Di questo suo continuo peregrinare con il “maggiolino” grigio e la macchina fotografica, delle difficoltà incontrate durante la ricerca, della  scoperta dice tanto il libro “G. Rohlfs, una vita per l’Italia dei dialetti” scritto dall’amico di Locri, Salvatore Gemelli. Nel 1960 è stato anche a Badolato nella casa del professore Nicola Caporale col quale intraprese indagini sulla botanica calabrese non solo dal versante linguistico e per gli stessi motivi, nel 1976, si intrattenne anche con lo storico Antonio Gesualdo. La stessa Badolato, nel 2002, con l’intitolazione di una piazza,  ha voluto rendere omaggio a “il più calabrese dei figli di Germania” come recita la lapide apposta. Rohlfs davvero non dimenticò mai la proverbiale ospitalità dei pur rozzi calabresi tanto da apporre sul suo “Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria”, questa dedica: “ A voi fieri Calabresi che accoglieste ospitali me straniero nelle ricerche e indagini infaticabilmente cooperando alla raccolta di questi materiali dedico questo libro che chiude nelle pagine il tesoro di vita del vostro nobile linguaggio.” Nel 2007, Antonio Panzanella, docente dell’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro, è riuscito a rintracciare in un archivio di Berlino un inedito corposo raccoglitore con centinaia di scatti fotografici realizzati nella nostra regione e che costituiscono, indubbiamente, un eccezionale documento storico e iconografico della Calabria degli anni ’20. Queste foto, 250, scattate tra il 1923 e il 1924, oggi sono raccolte in un elegante volume edito col patrocinio della Regione Calabria e della Provincia di Cosenza. Sono immagini di una regione stretta in una miseria primordiale e ogni foto è corredata da una didascalia che corrisponde agli stessi appunti che Rohlfs prendeva su ogni scatto. Insomma scavo linguistico e racconto fotografico, parola e immagine, un abbinamento inconsueto per i tempi. Queste foto che, per dirla con le parole del Panzanella, costituiscono “una scelta consapevole dello studioso tedesco, un racconto puntuale e deciso” sono in mostra, da alcuni giorni e fino alle prossime feste natalizie nel Centro visite del Parco Nazionale dell’Aspromonte ospitato presso il Palazzo Tuscano e nelle sale del vicino Palazzo Mediani. Curatore dell’evento culturale, patrocinato oltre che dal Parco aspromontano anche dal Comune di Bova, è naturalmente Antonio Panzanella per il quale  gli scatti fotografici del glottologo tedesco sono “l’altro linguaggio a supporto della comunicazione verbale”. Insomma aggiunge ancora il Panzanella che per il Rohlfs “fotografare significava andare oltre la parola, fermare un modo di vivere, cogliere il silenzio interiore, la verità di una condizione umana o, diciamo, addirittura il segno di un destino.”