Estate in Calabria, Roccaforte del Greco e Roghudi tra i Calabresi che continuano ad essere Greci

 Continua il mio itinerario in giro per la Calabria e questa tappa attraversa le pietre che ancora parlano di cultura greca, in mezzo alla gente grecanica che facilmente esterna la sua identità attraverso il suo parlare, il suo antico e mai incontaminato parlare, attraverso la sua poesia mai sdolcinata ma fiera della sua storia, delle sue origini, come “To choriommu” di Domenico Roda che a me piace riportare, qui di seguito, e tratta   dalla guida turistica della Comunità Montana versante Jonico Meridionale. “To choriommu/ tessera spitia ce dio stradudde;/ tutto ene to choriommu, to choriommu;/asce nitta cunnonde zale/ asce cristiani ti stecu arrustu./ To choriommu, to choriommu, / to choriommu den  izzi pleo./ I cristiani ziusi asce liga pomata,/ziusi manachi ce addimmonimèni;/ manacho pu stecu ene to cosmondo./ Ce tuto ene to cosmondo./ Ce tuto ene to choriommu,/ to choriommu, den izii pleo.” (Il mio paese/ quattro case e due stradette; /questo è il mio paese;/ di notte si sentono lamenti/ di persone che sono ammalate./ Il mio paese, il mio paese./ Il mio paese non vive più./ La gente vive di piccole cose/ vivono soli e dimenticati;/ solo dove vivono è il loro mondo./ È questo il mio paese./ Il mio paese, il mio paese/ il mio paese non vive più”. Con questa sommessa lirica che pone l’uomo al centro di una natura mirabile  anche se lesa dal tempo e dall’uomo, una natura che non vuole abbandonare il passato, una natura che evoca  epoche remote sviluppando un connubio di mito-leggenda; con questa pennellata che irradia luce d’estasi mistica e sociale continuo il mio cammino assieme ai nostri lettori ed internauti. Da San Lorenzo mi porto verso le terre aspromontane, su in montagna a 970 mt (s.lm.) dove visito Roccaforte del Greco che dal suo balcone di roccia domina tutta la vallata dell’Amendolea. Anche questo centro, come gli altri della Comunità grecanica, ha fatto parte del feudo prima degli Amendolea e poi dei Ruffo di Scilla dal 1624 fino all’eversione napoleonica del 1806. Entrando nel vivo del paese, nel centro storico, ancora quelle piccole case di una volta, case povere edificate con materiale povero e tra queste è ancora viva la chiesa di san Rocco dove, tra l’altro, è custodita una pregevole scultura marmorea che ci mostra la Madonna col Bambino. Certamente  qui, più e meglio che negli altri centri del circondario,la modernità si muove e non si può proprio dire che sia un paese moribondo, e per fortuna il tutto non mortifica la sua storia e le sue tradizioni e la sua naturale identità di centro montano. Sono ancora vive le attività produttive legate al bosco e alla pastorizia. Poco più avanti si può visitare l’antica frazione di Ghorio di Roccaforte, che fu un tempo insediamento rurale voluto dai baroni Tripepi e qui è interessante la settecentesca chiesetta e i ruderi di una torre.   Continuando l’itinerario, si arriva  alla vicina Roghudi (527 mt), di sicuro un importante centro della grecanicità, purtroppo un paese solo e abbandonato per via delle continue migrazioni e dell’asprezza della natura: qui le frane e le alluvioni sono di casa. E comunque è bella, singolare, e suggestiva la sua posizione, così arroccato su una rupe, con le sue antiche case che seguono la linea del costone roccioso. Incerte sono le sue origini, come incerta la genesi del  suo toponimo. Comunque sia, Roghudi deve la sua origine ai profughi della penisola balcanica dell’XI secolo. Il suo excursus storico è figlio delle vicende che hanno caratterizzato la vita di tutte le terre di quest’isola grecanica. Già nel 1084 era feudo di Bova e successivamente possesso di Amendolea fino al 1624, anno in cui fu venduto ai Mendoza e quindi ai Ruffo di Scilla che lo tennero fino al fatidico 1806. Mi incammino tra gli antichi vicoli e le vecchie case che perpetuano la storia, una storia che non vuole e non deve morire. Così noto, come M. Cammera, che “ sotto la roccia che si sbriciola, si coglie un suggestivo effetto scenografico ed un insieme di sensazioni quasi incosce ed indescrivibili: un paese che ha vissuto con le sue genti momenti di vita e di fervore, ricchezza di storia e di tradizioni, sembra ora condannato da un crudele destino a scomparire tra le macerie del passato. Solo qualche anziano, che ancora si incontra, è testimone del tenace desiderio di non staccarsi dalla propria terra”. Insomma ci si trova davanti ad un paese che respinge le asprezze della natura e per questo fa di tutto per rivivere la sua storia; insomma sta tornando “isola grecanica asportata”, secondo le parole di Pasquino Crupi. Più avanti di Roghudi la frazione di Ghorio, poche case e poche famiglie che continuano la tessitura della ginestra e i lavori col legno. Molto importane e davvero singolare nel territorio di Ghorio è una grossa pietra “con delle groppe rocciose corrose dal tempo: la “Rocca tu dracu” (Rocca del drago) entrata a far parte della leggenda “ghoriata” e le groppe paragonate a sette piccole caldaie, “ta vrastaruccia tu dragu”, servivano al nutrimento del mostro, custode di un grande tesoro. Chiunque si avvicinasse alla Rocca, secondo la superstizione locale, veniva travolto da una eccezionale folata di vento e scaraventato giù nelle acque del torrente. Termina qui l’itinerario tra i Calabresi che continuano ad essere greci e non posso non dire che è stato un viaggio coinvolgente  tra una cultura che va scomparendo ma che non deve morire: attenti uomini di cultura, politici, operatori turistici!