La terra degli struzzi

“Dio ci salvi da chi in casa ha un libro soltanto”. Questa citazione, fatta da un noto giornalista in una trasmissione televisiva, a carattere culturale, denota le cause concatenanti dell’ignoranza, una frase che fa riflettere e che mi induce a scrivere di una realtà da sempre difficile da concepire, soprattutto se… adattata alla società in cui oggi viviamo. Una frase singolare, sotto alcuni aspetti ermetica, capace“…di racchiudere in sè una verità dispotica ma vera ed irritante”, ecco un’altra citazione, con la quale, di certo, non si vuole fare retorica o peggio, offendere, non si vuole nemmeno polemizzare. Ci tengo anche a precisare che non sono un intellettuale all’ultimo grido, come tanti si  autodefiniscono senza concepirne l’oggettività, nè un magnate della cultura progressista, specie se  demagogica. Sono un comune cittadino molto attento alle difficili problematiche che affliggono la mia regione, e nella fattispecie la  provincia della  mia residenza, anche se fra non molto verrà spazzata via da un governo totalitario ma nel contempo necessario per la salvezza di una moneta costataci lacrime e sangue.  Sono un osservatore di un sistema a vari livelli, sempre più degradato, malconcio, reciso principalmente da una politica distratta, incapace di comprendere la reale precarietà dell’intero sistema. Una terra, la mia, un tempo promotrice di cultura, innovazioni, idee, secondo alcuni storici, una regione “Madre dell’Italia”. Infatti, leggendo alcuni scritti di Mario Caligiuri e tra questi, “Breve storia della Calabria”, ho appreso quanto nell’antichità i territori di questa odierna terra, vennero diversamente indicati per la loro austerità. Ne approfitto citandone brevemente qualche passo, senza dilungarmi in preamboli filosofici: Ausonia, per le proprie ricchezze; Esperia, per i greci indicava l’Occidente; Enotria, terra del vino; Italia, dal re Italo terra dei vitelli; Magna Grecia, perche diventò splendente più della madre patria; Bruzia, perché vi viveva il popolo dei Bruzi, valorosi guerrieri capaci di contrastare anche l’Impero Romano, e infine sotto i Bizantini nel VI secolo d.c.,Calabria, etimologicamente terra d’ogni bene. Oggi, invece, questa martoriata regione, sembra essersi allontanata anni luce dai valori culturali che la storia ci ha tramandato fino ai nostri giorni e anziché progredire si è lasciata infettare da una società vittima ed imperante del malaffare, votata perennemente all’ignoranza. Un  fenomeno che negli anni si è evoluto a tal punto da scontrarsi con una cultura sempre più debilitata, sottomessa dalla supremazia di un mondo arcaico, complesso, tanto da averne la peggio. Una terra che non ha saputo trarre vantaggio da un sistema metabolico che “oliava” quella società così evoluta ma tormentata, stuprata dal miraggio di conquiste selvagge, condotta in un abisso senza fine e ancorata al peso del vittimismo collettivo, o peggio ad un atavico complesso di inferiorità, dove manca il coraggio di guardare davanti a sé, “la terra degli struzzi”.  Corrado Alvaro scappò via da San Luca, i suo scritti crudi e tutt’oggi concomitanti con una realtà sempre più biforca, narrano di una terra oppressa, popolata da disadattati, affamati, senza ideali attivi, prosaica, piegata un tempo dai sussulti delle grandi lotte contadine e dalle scorrerie di briganti assetati di vendetta, ancora adesso coltivatori di ignoranza. Alvaro scappò via per non tornarci  nemmeno da morto. E lo stesso Pasolini nel suo libro “La lunga strada di sabbia”  descrive questo lembo di terra come il paese dei banditi, forgiando un prototipo di collettività prevaricatrice, espediente di un sistema fallimentare che trascina  nelle piazze polverose lo spettro degli anni sessanta, dove flotte di giovani ammassati fuori dai bar, oggi come allora, consumano i loro giorni tra la noia e la costante depressione. Obiettori senza coscienza, di età differente che attendono speranzosi i “parolai” di turno con il miraggio di un posto che non avranno mai, pronti a sacrificare la libertà di voto per uomini abietti senza ideali, privi di una logica di sviluppo ma perseveranti nel rincorrere una politica sempre più conservatrice e arrivista.