Letture estive, don Caporale interprete del Movimento Cattolico in Calabria

Il “Compendio della dottrina sociale della Chiesa”, testimonianza viva dell’opera apostolica lasciata al mondo da Giovanni Paolo II, è stato presentato, per la prima volta, il 25 ottobre 2004 dal Cardonale Martino, presidente del Pontificio consiglio di giustizia e pace. Da allora, una sintesi viene offerta alla riflessione in lungo e in largo per tutte le diocesi d’Italia. Anche nella nostra Chiesa di Crotone – Santa Severina è stato presentato da Mons. Paolo Tarchi, Direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro. Si tratta di un elaborato e quanto mai ricco “documento [che] ora  viene messo a disposizione di quanti – cattolici, altri cristiani e persone di buona volontà – cercano sicure indicazioni di verità per meglio promuovere il bene sociale delle persone e della società.” Insomma, come è stato detto, uno “strumento di grande valenza ecumenica, che non dà suggerimenti pratici, ma uno strumento sussidiario di discernimento etico che delinea principi fondamentali, dà spunti di riflessione e criteri di orientamento per quei testimoni che si sforzano di trovare nuove forme concrete per il raggiungimento del bene sociale e per la promozione di un nuovo umanesimo.” Siamo davanti ad un corposo lavoro frutto di anni di studio e di osservazioni che prendono avvio dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891) fino alla Centesimus annus del 1991. Ebbene quando si ricorda l’enciclica leoniana, non ci si può dimenticare che la Calabria ebbe preti di grande statura spirituale e culturale ai quali è toccata in sorte di promuovere e accompagnare la storia del cattolicesimo sociale e democratico nella Calabria contemporanea. Lo ha ricordato lo stesso Giovanni Paolo II quando, in visita nella nostra terra nell’ottobre 1984, ebbe a dire che: “…non mancano nella storia recente della Calabria figure di sacerdoti che hanno capito profondamente il senso di questo impegno e che hanno vissuto la loro vita sacerdotale dando quotidiana e coerente testimonianza di una forte tensione per l’elevazione morale e religiosa e per il riscatto sociale della propria gente. Ricordo i sacerdoti Carlo De Cardona e Luigi Nicoletti di Cosenza, don Francesco Caporale di Badolato, don Francesco Maiolo di Nicastro, ed i due servi di Dio don Francesco Mottola di Tropea e P. Gaetano Catanoso di Reggio Calabria.” Già, don Francesco Caporale. L’indimenticato don Mario Squillace, docente di sociologia al seminario di Catanzaro, nel 1991, centenario della Rerum novarum, esortava a ricordarlo, don Caporale, come “Maestro esemplare, soprattutto ai giovani sacerdoti ai quali tocca il dovere d’una evangelizzazione strettamente interconnessa e legata alla dottrina sociale della Chiesa.” Don Caporale ( nato a Badolato il 12 luglio 1877 e morto a Catanzaro il 6 dicembre 1961),  laureato in Giurisprudenza  e docente al seminario arcivescovile “S. Pio X” di Catanzaro, divenne ben presto punta di diamante della storia  religiosa e politica della Calabria. Del suo borgo natio ricordava spesso con animo grato e commosso “le quattro parrocchie, varie confraternite, una casa francescana, diverse chiese, il privilegio, d’essere Badolato da mezzo secolo all’avanguardia nella regione delle ideologie e delle battaglie sociali.”  La popolazione e le sue classi dirigenti furono divise nei primi del 900 tra il Socialismo e la Democrazia Cristiana della prima ora, quella del Murri e di Giovanni Grosoli che aveva visto ben radicata l’organizzazione cristiano – sociale del periodo soltanto a Cosenza e a Badolato appunto. Siamo nel periodo cruciale della Rerum Novarum che il giovane prete Caporale traduce e cala  immediatamente  nella realtà meridionale e calabrese in particolare, predicandola nelle chiese e divulgandola dai giornali, “ostinatamente determinato – scrive don Squillace – a rompere e sconfiggere vecchie pigrizie e secolari immobilismi.” Don Caporale è stato protagonista e al centro delle tappe fondamentali della storia del Movimento Cattolico in Calabria: il “Patto Gentiloni” (1913) per il quale scrisse, dal suo settimanale Vita Nuova, tanti articoli  pregni di coerenza etica e politica; la stagione epica del “Popolarismo” con gli altri grandi calabresi Vito Giuseppe Galati di Vallelonga, don Antonio Scalise e il poeta Antonino Anile di Pizzo, sempre al fianco di don Sturzo che del Caporale “fu subito entusiasta ed entrò così con tutta l’adesione della mente e dell’anima…nella lista e nella famiglia del Partito Popolare.” E fu un sodalizio felice e vincente e non poteva essere diversamente alla luce del pensiero e del dinamismo di quegli uomini. Sentite cosa aveva detto Anile, sulla piazza di Crotone ancora centro del latifondismo: “ Come è possibile che la Calabria risorga? Non certo persistendo nei metodi del passato. La Calabria deve trovare in se stessa la forza di rompere le catene che l’asservano […]quel che più importa […] è il riconoscimento delle funzioni proprie del Comune, della Provincia e delle regioni in rapporto alle necessità di sviluppo della vita locale […] vuol dire che la Calabria potrà liberarsi dal dispotismo burocratico centrale che l’avvilisce e la dissangua.” Poi venne il fascismo e don Caporale è come esiliato nella sua Badolato dal 1925. Il fascismo cadde e il nostro prete, ripresa la forza del combattente, di nuovo protagonista e maestro di grande impegno cristiano per la rinascita democratica della Calabria. E il 18 aprile 1948, la grande vittoria. Ma qualcosa cominciò ad incrinarsi perché “i dirigenti democristiani si ritrovarono coinvolti in quella dura ed ambigua gestione del potere che concede pochi spazi all’immaginazione e all’utopia ideologica.”: e fu contrasto tra il Caporale e la Dc catanzarese. Qualche tempo dopo scrisse un lungo articolo, una sorta di testamento e premonizione in cui sosteneva che: “dal Congresso democristiano dovrebbero venire direttive e norme precise ed urgenti di un’attività sociale senza incertezze ed equivoci, in adempimento del programma già formulato dalla scuola cristiana, da integrare ed aggiornare secondo le esigenze di oggi, in modo da offrire ai lavoratori la possibilità di sentir difesi tutti i loro interessi e propugnare le loro aspirazioni.”