Emilia Romagna risorgi!

Premetto per doverosa informazione che quanto segue è stato riassunto dai quotidiani di quel tempo di mia proprietà che ancora custodisco gelosamente. Il 6 maggio per me è una giornata nella quale l’unico impegno mio è quello di andare a deporre un mazzetto di fiori presso il monumento che lo commemora. Il sisma del 6-maggio-1976 delle ore 21,00 colpì tutto il territorio del Friuli  e oltre l’11  e il 15 settembre. La zona più colpita fu quella a nord di Udine con epicentro tra i comuni di Gemona e Artegna forza pari a 6,4 di magnitudo del momento e intensità pari al decimo grado Scala Mercalli.

I danni furono amplificati dalle particolari condizioni del suolo, dalla posizione dei paesi colpiti, quasi tutti posti in cima ad alture, e dall’età avanzata delle costruzioni. I paesi andati distrutti non avevano infatti riportato danni rilevanti nella prima e nella seconda guerra mondiale, a differenza di San Daniele del Friuli che, semidistrutta dai bombardamenti aerei del 1944, aveva dovuto ricostruire gran parte della sua struttura urbana con criteri moderni; la città pagò comunque gravi danni al patrimonio artistico con la devastazione delle chiese e degli antichi palazzi di fattura medievale, e il crollo di una manciata di edifici del centro storico provocò molte vittime

La scossa, avvertita in tutto il Nord Italia, investì principalmente 77 comuni italiani con danni, anche se molto più limitati, per una popolazione totale di circa 80.000 abitanti, provocando, solo in Italia, 989 morti e oltre 45.000 senza tetto. Anche le zone dell’alta e media valle del fiume Isonzo, in territorio sloveno vennero colpiti i comuni di Tolmino, Caporetto.

Le scosse di settembre

I danni del terremoto del maggio 1976 furono amplificati dalle  altre due scosse, a fine dell’estate ( 11-15 settembre).

L’11 settembre 1976 la terra tremò di nuovo: si verificarono infatti due scosse alle 18:31 e alle 18:40, la prima delle quali del 5,8 della scala Richter.

Il 15 settembre 1976 prima alle ore 5:00 circa e poi alle ore 11:30 si verificarono ulteriori scosse di oltre 10 gradi della scala Mercalli. Tutto quello che era rimasto ancora in piedi dopo il 6 maggio, crollò definitivamente. I comuni di Trasaghis, Bordano, Osoppo, Montenars, Gemona del Friuli, Buja, Venzone e la frazione di Monteaperta, le località maggiormente colpite, furono rasi completamente al suolo. La popolazione di quei comuni fu trasferita negli alberghi di Grado, Lignano Sabbiadoro, Jesolo e altre località marittime. Là furono ospitati anche i terremotati di altri comuni, rimasti senza alloggio.

Il contesto politico

Il sisma di maggio si presentò al termine del governo Moro V, a Camere già sciolte e in campagna elettorale. Enrico Berlinguer spingeva il PCI, e Indro Montanelli aveva invitato gli italiani a votare DC “turandosi il naso”. Le elezioni del 20-21 giugno (le prime aperte ai 18-ventunenni) confermarono l’egemonia DC e l’avanzata del PCI (+7,4%, +48 seggi alla Camera). Il terremoto innescò una forte solidarietà sociale, che anticipò il movimento del 1977 e gli anni di piombo.

La ricostruzione

Nonostante una lunga serie di scosse di assestamento, che continuò per diversi mesi, la ricostruzione fu rapida e completa.

L’8 maggio, a due giorni dal sisma, il Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia stanziò con effetto immediato 10 miliardi di lire (40 milioni di euro del 2012).

Il Governo Andreotti III nominò il 15 settembre Giuseppe Zamberletti Commissario straordinario del Governo incaricato del coordinamento dei soccorsi. Gli fu concessa carta bianca, salvo approvazione a consuntivo, che regolarmente il Parlamento approvò. In collaborazione con le Amministrazioni locali, i fondi statali destinati alla ricostruzione furono gestiti direttamente da Zamberletti assieme al governo regionale del Friuli Venezia Giulia. Circa 40.000 sfollati passarono l’inverno sulla costa adriatica, per rientrare tutti entro il 31 marzo 1977 in villaggi prefabbricati costruiti nei rispettivi paesi. La ricostruzione totale durò 10 anni.

Finito il mandato di Zamberletti, il governo regionale del Friuli Venezia Giulia, grazie ad un’attenta ed efficiente gestione delle risorse, poté, nell’arco di circa dieci anni ricostruire interi paesi.

Il conto dei contributi statali per la ricostruzione del Friuli ammontava a 12.905 miliardi di lire a fine 1995 (circa 9 miliardi di euro del 2010); secondo altre fonti, a 29.000 miliardi di lire (una ventina di miliardi di euro). Il motore della ricostruzione fu assicurato da 500 miliardi di lire destinati alla ripresa economica, mentre il resto dei fondi fu affidato in gestione alle amministrazioni locali, che effettuarono controlli efficaci e rigorosi sugli standard di ricostruzione.

Il disastro diede inoltre un importante impulso alla formazione della Protezione Civile.

Nell’aprile 1998, il Duomo e portici di Gemona sembraronono così com’erano prima del 6 Maggio 1976, ma che invece l’orcolat aveva frantumato, e che la gente ha ricostruito pezzo per pezzo secondo il procedimento chiamato anastilosi: raccogliere ogni pietra, numerarla, ricollocarla al suo posto. Ancora oggi, su alcune pietre dei portici si legge un numero. Ma quel numero, insieme a uno spezzone della chiesa della Madonna delle Grazie, è l’unica traccia che ricordi il passaggio dell’orco».

Il sisma in cifre

  • Aree colpita: 5.500 chilometri quadrati
  • Popolazione colpita: 600mila abitanti
  • Morti: 989
  • Sfollati: più di 100.000
  • Case distrutte: 18.000
  • Case danneggiate: 75.000
  • Danni al territorio: 4.500 miliardi di lire (oltre 18,5 miliardi di euro del 2010)
  • Comuni coinvolti: 45 comuni “rasi al suolo” come Gemona, Venzone, Buia, Monteaperta Taipana e Osoppo, 40 “gravemente danneggiati” e 52 “danneggiati”: tutti fra Udine e Pordenone, più tre soli comuni della provincia di Gorizia.

Grazie agli Alpini e agli uomini dell’Esercito Italiano, della Protezione Civile, accorsi in loro soccorso. Allora, il 2 giugno del 1976 non venne celebrata la festa della Repubblica.

Ho doverosamente fatta questa breve ricostruzione per parlare del terremoto ( l’orcolat ) che ha colpito la generosa e operosa, ospitale terra, Emiliana. Mi spiace per quanto è capitato a tutta questa gente, e spero che riescano a superare questo difficile momento contando sulle proprie forze, sulla loro volontà di riprendersi l’allegria e il desiderio di vivere che eventi e condizioni contrari stanno portando via. Oggi la gente emiliana non chiede elemosina, ma semplicemente di continuare a lavorare perché conscia del fatto che se perderà questo treno non ce ne sarà un altro e ripartire sarebbe molto dura tenendo presente anche che dopo questo sisma molto è andato perduto per sempre come molto non sarà più come prima. Assistere a certe trasmissioni televisive a questo evento dedicate è veramente cosa penosa fanno capire che le cose in Italia cambieranno poco perché quel che conta di più è il colore a cui si appartiene, quando sarebbe bello sentirsi tutti uguali, uniti dagli stessi ideali di fratellanza e amicizia. Io c’ero nel ’76 sul territorio friulano ed ero un soccorritore premiato pure dal Commissario Zamberletti il quale girava molto e si fermava a parlare con le varie Comunità nelle tendopoli per agire di conseguenza. A questa gente dico solo di avere pazienza e di non aspettarsi niente da nessuno, ma di tirare fuori il proprio orgoglio ( che non è mai venuto meno ) e di cominciare a ricostruire come ha fatto la gente friulana non permettendo a nessuno di truffare giusto per non finire vergognosamente come il Belice e l’Irpinia e ora come l’Aquila. Chiamate a raccolta le associazioni alpine fidatevi di loro e vi rialzerete sicuramente, com’è già accaduto in altre parti. Non perdetevi d’animo, perché la parte buona italiana è tutta con voi e non date ascolto alle voci che vi sussurrano di andar via, è solo vento tra i canneti fa solo rumore. Quanto agli sciacalli prendeteli pure e consegnateli alla forza di polizia e denunciate coloro che speculano sulle vostre disgrazie. Buona fortuna e in bocca al lupo.