Nuove minacce alle porte dell’Europa

All’inizio della Primavera Araba, avevamo espresso qualche considerazione sulla possibilità che l’estremismo islamico approfittando dell’entusiasmo delle popolazioni che tentavano di uscire da decenni di dittature nepotistiche stava consolidandosi sulla costa mediterranea dell’Africa per raggiungere, successivamente i Paesi che si affacciano sulle sue rive orientali del “Mare Nostrum”. Una situazione che avrebbe potuto rivitalizzare la minaccia eversiva nei confronti dell’Occidente e dell’Europa confinante con i Paesi coinvolti, peraltro impreparata e miope di fronte ai nuovi eventi, perché unicamente impegnata a difendere, peraltro in maniera insufficiente, i propri interessi economici. (http://fernandotermentini.blogspot.it/2010_10_04_archive.html), http://fernandotermentini.blogspot.it/2011_01_12_archive.html). Uno Tsunami che avrebbe dilagato in Libia, in Somalia, in Siria e forse toccato anche il Sudan e tutta l’Africa subsariana. Quanto sta avvenendo in Siria è noto. La popolazione alla ricerca di un riscatto dal regime oppressivo di Assad, sulla scia della Primavera Araba da più di un anno sta cercando di uscire dalla morsa della dittatura di Assad. Immediata la reazione del regime che ormai attua una e vera e propria carneficina contro il popolo. Situazione di cui stanno approfittando cellule del terrorismo internazionale vicine ad Al Qaeda, pronte ad infiltrasi nel Paese per consolidarsi nell’area e contribuire, nello stesso tempo a tenere alta la tensione della guerra civile in corso. In Tunisia, dopo le prime elezioni libere, il partito degli Al – Nahada (la rinascita), di ispirazione islamica sicuramente non moderata ha raggiunto il 40% dei voti (90 seggi su 217). In Egitto il Partito dei Fratelli Mussulmani conquista sempre di più consensi e si avvia a governare il Paese. In Libia Gheddafi è stato ucciso ed il regime annientato, ma le notizie che arrivano parlano di un’estremizzazione islamica strisciante e di una presenza ormai certa di cellule eversive vicine ad Al Qaeda. In Libano gli Hezbollah, appoggiati dall’amico Iran, sono sempre più prossimi a conquistare la maggioranza e giorno dopo giorno alzano il livello della minaccia contro Israele. La Primavera Araba, dunque, ha contribuito a far cadere dittature trentennali, ma, nello stesso tempo, ha favorito il consolidamento di estremismi religiosi prima sconosciuti in molte di quelle aree geografiche. L’onda anomala non si è fermata ed ora è arrivata a lambire l’Africa subsahariana. In Mali, il movimento islamico Ansar Dine legato ad Al Qaeda ha iniziato ad imporre la legge coranica (Sharia). Nel Paese, una giunta militare vicina all’organizzazione ha deposto il Presidente Amadaou, annunciando la nascita di un nuovo Stati islamico (Repubblica dell’Azawad). Una contesto molto simile a quello di Kabul negli anni ’90, quando i Talebani si appropriarono della guida dell’Afghanistan. La comunità internazionale per ora ignora gli eventi, limitandosi ad osservare ed esprimendo solo meraviglia per la sconfitta del Presidente Amadou Toumani Toore, considerato un esempio di democrazia ed un valido riferimento per la lotta al terrorismo. Una vittoria ottenuta dalle truppe golpiste guidate da un certo Amadou Sanogo, un Ufficiale dell’Esercito addestrato negli Stati Uniti, nell’ambito della cooperazione antiterrorismo fra Washington e Bamako, con lo scopo proprio di fronteggiare il consolidamento di Al Qaeda nell’Africa subsahariana. Anche in questo caso, eventi che ricordano quanto avvenuto in Afghanistan, quando i gruppi di resistenza antisovietica sostenuti ed addestrati dagli americani, hanno dato origine ai Talebani ed a Bin Laden. Nelle vicende del Mali hanno avuto un ruolo determinante le cellule di Al Qaeda già presenti nel Maghreb islamico (AQIM) che, nel tempo ed approfittando delle trasformazioni politiche in corso nei Paesi confinanti, hanno stretto alleanze con i Tuareg, pastori nomadi imparentati con le popolazioni berbere sparse nell’Africa settentrionale. I Tuareg, profondi conoscitori di tutta la regione subsariana, concentrati in Niger ed in Mali e con comunità più modeste nell’Algeria meridionale, nel sudovest della Libia, in Burkina Faso ed anche in Mauritania. Popolazione emarginata, già fedelissima a Gheddafi, che improvvisamente ha assorbito i miliziani provenienti dalla Libia ed entrati in Mali dopo la morte del Rais. Una stima dell’ONU quantifica dai 2.000 ai 4.000 gli ex combattenti libici che si sono uniti alle tribù nomadi offendo loro anche un consistente supporto di materiale bellico portato via dagli arsenali dell’ex Esercito libico. Un “effetto domino” conseguente anche all’intervento NATO contro Gheddafi, non previsto dall’Occidente ed dall’Europa, preoccupata solo dal possibile “tsunami di profughi” che avrebbe invaso il Vecchio Continente. Quanto sta accadendo in Siria e nell’Africa subsahariana non può essere scisso dalla Primavera Araba e dalle vicende libiche. Gli avvenimenti lasciano presagire un futuro incerto per tutta la fascia costiera africana, che potrebbero portare l’intera regione in una situazione di crescente ingovernabilità. Una miscela esplosiva che si mescola all’indigenza delle popolazioni locali, che attualmente sopravvivono dedicandosi unicamente a traffici illeciti di droga e di armi e sono facile preda dell’estremismo islamico. L’Occidente, continua ad osservare senza prendere decisioni. Partecipa solo all’aspra competizione internazionale per aggiudicarsi le preziose risorse energetiche e minerarie di quelle aree, che potrebbero trasformare lo Sahel in uno dei nuovi e principali focolai di crisi del mondo. Peraltro la nascita dalle ceneri del Mali di una Repubblica dell’Azawad viene guardata con sospetto in particolare dai Paesi africani limitrofi che con ogni probabilità non accetteranno di riconoscere qualsiasi richiesta di indipendenza. Ormai, però, difficilmente riusciranno a fermare il consolidamento dei Tuareg sul territorio e l’espandersi dell’influenza dell’organizzazione Ansar Al Din, il cui leader Iyad ag Aghaly, è, peraltro, un ex Tuareg. L’Occidente e l’Europa con i suoi confini meridionali a ridosso dell’Africa settentrionale sono sicuramente in ritardo, ma non possono più continuare ad ignorare ciò che sta accadendo, per non creare situazioni senza ritorno come avvenuto in Afghanistan dopo l’uscita dell’invasore sovietico e nei Balcani fino a Dayton. 29 maggio 2012, ore 09,00