Garrone premiato tra i fischi

E così, su una Croisette bagnata da abbondante pioggia, si conclude la 65esima edizione del Festival di Cannes: il presidente di Giuria Nanni Moretti ha consegnato la Palma d’Oro a Michael Haneke per “Amour”, bissando quella di soli tre anni fa attribuita al regista austriaco per “Il nastro bianco” e facendo salire a quattro il totale dei premi di gran rango ritirati sulla Croisette dall’autore, che nel 2001 aveva vinto il Gran Prix con “La pianista” e nel 2005 il riconoscimento per la sceneggiatura di “Niente da nascondere”.

A fronte di tutto questo in vetta al palmarès figura il Gran Prix assegnato tra i fischi del pubblico a “Reality” di Matteo Garrone, che così bissa il riconoscimento ricevuto nel 2008 qui a Cannes per il molto più apprezzato “Gomorra”. C’è da esser contenti per il nostro cinema, che dopo l’Orso d’Oro berlinese dei Taviani torna a brillare nel contesto internazionale, ma va detto che sulla Croisette il premio a “Reality” è stato accolto con un certo malumore nei confronti del presidente di giuria Nanni Moretti.

Va detto, del resto, che un po’ tutto il palmarès sembra portare prevalentemente la firma di un presidente di giuria che, tra l’altro, ha voluto proclamare personalmente tutti i premi, rinunciando alla prassi, in genere consolidata, di condividere il privilegio dell’annuncio con gli altri giurati. Era infatti apparso subito evidente che “Amour”, con la sua storia di vecchiaia, malattia e morte vissuta nel cuore di una anziana coppia, potesse essere un’opera vicina per temi e impostazione al regista che proprio qui a Cannes aveva vinto la Palma d’Oro con “La stanza del figlio”. D’altronde l’imbarazzo di dover premiare per l’ennesima volta Haneke è stato risolto dalla Giuria con lo stratagemma di rimarcare il contributo essenziale dato al film dai due straordinari interpreti, Jean-Louis Trintignant ed Emanuelle Riva. Tanto che sono entrambi saliti sul palco assieme al regista per ritirare la Palma d’Oro. Lascia molto perplessi anche la scelta di assegnare il premio per la miglior regia a Carlos Reygadas per il pretenzioso “Post Tenebras Lux”: l’autore messicano, nato artisticamente qui a Cannes (dove aveva vinto la Camèra d’Or nel 2002 con “Japòn”), questa volta ha portato in concorso un’oscura e metaforica storia familiare sospesa tra città e campagna, bene e male, che ha convinto davvero poco anche la critica a lui solitamente più vicina.

Sicché, in un tale disequilibrio del palmarès, frutto probabilmente di un accordo non raggiunto tra i giurati, non stupisce nemmeno più di tanto il Premio della Giuria assegnato a Ken Loach per “The angels’ share”: questa storia di giovani marginali condannati ai servizi sociali che, per rifarsi una vita, mette a segno il furto di un rarissimo whisky, sarà anche piacevole, ma il film è di sicuro minore rispetto agli standard del regista inglese. C’è poi il doppio premio per il film del regista rumeno Cristian Mungui, altro beniamino di Cannes, dove  già nel 2007 era stato laureato con la Palma d’Oro per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”.

Effettivamente da tenere tra i film più intensi della competizione, “Oltre le colline”, ha conquistato il premio per la sceneggiatura e quello per la migliore interpretazione femminile, attribuito alla coppia di giovani attrici Cristina Flutur e Cosmina Stratan, entrambe bravissime nel raccontare la storia dal tragico finale del legame tra due orfane, una entrata in un monastero ortodosso, l’altra determinata a portarla con sé in Germania.

Non dispiace nemmeno il premio per l’Interpretazione maschile, che va a consacrare l’ottimo attore danese Mads Mikkelsen per il ruolo dell’insegnante accusato ingiustamente di pedofilia in “The Hunter” di Thomas Vinterberg. Dalle perplessità non si salva nemmeno il premio per l’opera prima Camera d’Or, assegnato all’americano “Beasts of the Southern Wild” di Benh Zeitlin, pretenziosa fiaba dai toni e dallo stile alla Terrence Malick, già vincitore del Sundance Film Festival. In tutto questo restano fuori dal palmarès i film più amati e interessanti visti nel concorso del 65° Festival di Cannes, ovvero “Cosmopolis” di David Cronenberg, “Like someone in love” di Abbas Kiarostami e “Holy Motors” di Leos Carax, applauditissimo film francese, che rappresentava l’occasione d’oro per Nanni Moretti di non lasciare a bocca asciutta il cinema di un paese come la Francia che tanto gli ha dato.