Raniero Busco non uccise Simonetta Cesaroni

L’uomo condannato in primo grado per l’assassinio della ex fidanzata è stato assolto in appello per non aver commesso il fatto. L’assoluzione arriva non per mancanza di prove, ma con quella che un tempo si definiva formula piena. E’ la tesi degli avvocati della difesa. L’assassino di Simonetta, massacrata con 29 coltellate il 7 agosto 1990, insomma, è ancora in libertà.

Alle ore 11:00 la prima sezione della Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Roma si era ritirata in camera di consiglio per decidere nell’ambito del processo che vedeva imputato di omicidio Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni. In primo grado Busco era stato condannato a 24 anni di reclusione. L’imputato era presente in aula assieme alla moglie, Roberta Milletari, che lo ha accompagnato in tutte le udienze. Tra il pubblico presente nella sala Europa della Corte d’Appello di Roma il fratello di Busco e gli amici.

Esultanza e commozione al momento della sentenza che lo manda assolto per non aver commesso il fatto. Tante le grida “finalmente è stata fatta giustizia”. In una grande confusione, Busco, che non ha trattenuto le lacrime, è stato travolto da fotografi e cameraman. Attorniato dai familiari, è quindi stato spinto in uno sgabuzzino ed è poi uscito da una porta laterale. Per la forte emozione ha avuto un lieve malore.

“Sono certamente soddisfatto della sentenza perché finalmente giustizia è stata fatta ed è stata riconosciuta l’innocenza di una persona estranea ai fatti”. E’ il primo commento di Franco Coppi, il legale di Raniero Busco, dopo la sentenza. “Se la Corte ha disposto la perizia – ha concluso – è perché ha ritenuto insufficienti le prove acquisite nel giudizio di primo grado”. E poi sull’assassinio: “Non è compito della difesa scoprire chi è l’assassino che vigliaccamente si nasconde”. “Non ha detto niente quando è stata letta la sentenza. Ha pianto e basta”, aggiunge Paolo Loria, altro difensore storico dell’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni. ”Per noi questa sentenza rappresenta un grande sollievo. Ciò significa che bisogna avere fiducia nella giustizia e che il processo d’appello ha ancora un suo valore. Contro Busco – ha proseguito il penalista – non c’erano proprio elementi.  Non credo ci sarà ricorso in Cassazione da parte del procuratore generale. Ci fa piacere che questa vicenda giudiziaria sia stata seguita con partecipazione da tanta gente schieratasi con Busco senza nutrire dubbi. Ciò ha consentito al ragazzo, a sua moglie e ai suoi familiari di poter condurre una vita relativamente normale in questi due ultimi anni”.

Sorpreso dalla decisione dei giudici, l’avvocato Massimo Lauro, patrocinatore di parte civile per Anna Di Giambattista, madre di Simonetta Cesaroni, “soprattutto perché hanno sentenziato un’assoluzione piena di Busco, sembra senza neanche ritenere esistente alcun dubbio – spiega il legale – Tutto questo mi fa pensare molto, a fine luglio avremo le motivazioni della sentenza e decideremo di conseguenza cosa fare, se impugnarla ai fini delle statuizioni civili”. Preferisce non commentare il procuratore generale presso la Corte d’Appello, Alberto Cozzella: “Aspetto le motivazioni (90 giorni) per valutare il ricorso in Cassazione. Mi dispiace perché la maxi perizia non era degna di quel nome”. Il processo di secondo grado era iniziato il 24 novembre scorso. Il procuratore generale Alberto Cozzella, nella sua requisitoria del 23 aprile scorso, aveva chiesto la conferma della sentenza di condanna di primo grado o in subordine la riapertura della fase istruttoria con una nuova perizia. Sulla stessa linea gli avvocati di parte civile. Il punto del contendere è, infatti, la superperizia, svolta dai consulenti della Corte (presidente Mario Lucio d’Andria, giudice a latere l’autore di Romanzo Criminale, Giancarlo De Cataldo). Il 27 marzo gli esperti (i professori Corrado Cipolla d’Abruzzo, Carlo Previderè e Paolo Fattorini) fanno vacillare le accuse contro Busco. Nel mirino del pg le conclusioni dell’anatomopatologo Corrado Cipolla D’Abruzzo dell’università di Chieti, secondo il quale la ferita sul seno di Simonetta, una delle prove chiave d’accusa del primo grado, non è un morso. Ma nella relazione dei consulenti c’è molto di più: l’assassino ha lasciato tracce di sangue nell’ufficio dove lavorava la giovane Cesaroni e non si tratta di quello di Busco. Le tracce ematiche rilevate sul lato interno della porta e sul telefono, infatti, appartengono a una persona di gruppo A mentre sia la vittima che l’imputato sono di gruppo 0. Infine, i reperti biologici rilevati sulla parte sinistra del corpetto di Simonetta apparterrebbero a tre uomini diversi.

I difensori di Busco, Franco Coppi e Paolo Loria, avevano invece sollecitato la piena assoluzione, sostenendo che “l’assassino è altrove e non è Raniero”.  Hanno avuto ragione.

Il processo era iniziato il 3 febbraio 2010 e si era concluso il 26 gennaio 2011 con quella sentenza che aveva provocato un vespaio di polemiche e proteste: 24 anni di carcere. I difensori di Busco avevano presentato il ricorso in appello e l’imputato era restato a piede libero. Poi il processo di secondo grado finito oggi.