Rosarno, 7 arresti nel clan Pesce inchiodati dalle riprese delle telecamere del boss

Lui, il boss, lo hanno arrestato lo scorso 9 agosto mentre stava nascosto in un bunker super accessoriato scavato sotto un’autorimessa. Ieri sono caduti i suoi uomini. Inchiodati dalle riprese delle videocamere che Francesco Pesce (detto “testuni”), aveva voluto lungo il perimetro del suo nascondiglio. Quando gli uomini del Ros e del Comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria hanno scoperto le registrazioni quasi non ci credevano. Ciccio “testuni”, potente reggente del clan Pesce di Rosarno, con la fissazione per la sicurezza personale, ha di fatto condannato l’intera rete di fiancheggiatori che per mesi lo hanno accudito e che hanno protetto durante la sua latitanza. L’impianto video a circuito chiuso che aveva voluto per proteggersi da sbirri e curiosi era efficientissimo. Al punto da aver immortalato anche i suoi stessi amici, parenti e gregari che si recavano nella sua tana per ricevere ordini e pizzini da distribuire agli affiliati del clan. In manette sono quindi finiti Salvatore Francesco Prenestì e il nipote Giuseppe, accusati di favoreggiamento. Assieme a loro altre cinque persone, considerate affiliati e prestanome del clan. Non è la prima volta che Ciccio Pesce fa arrestare propri sodali. Pochi giorni dopo la sua cattura, tentò di far uscire un pizzino dal carcere sul quale aveva scritto il nuovo organigramma della cosca in attesa della sua scarcerazione. Una sorta di passaggio delle consegne, nel quale dava ordine agli uomini più fidati di ogni famiglia alleata di mettersi a disposizione del fratello minore Giuseppe (attualmente latitante) che avrebbe dovuto reggere le sorti della cosca in sua assenza. Anche i quel caso venne beccato, e con l’operazione “Califfo” finirono in galera in tanti. Con questa seconda trance dell’inchiesta il cerchio sembra essersi chiuso e, latitanti a parte, i vertici dei Pesce sono praticamente tutti in galera.

Ciccio Pesce, nonostante abbia solo 34 anni è ritenuto il capo di un clan capace di tenere botta a centinaia di arresti. E può ancora contare su numerosi affiliati e complici. Basta pensare che dall’operazione “Crimine” delle Dda di Reggio Calabria e Milano (che portò due anni fa all’arresto di 300 persone tra Calabria e Lombardia) emersero anche le reali potenzialità della cosca di Rosarno. In una intercettazione infatti, i padrini dei Pesce, nel minacciare la scissione dal resto della ‘ndrangheta, parlavano di 500 affiliati nella sola area del rosarnese pronti a seguirli. “Ciccio testuni” è indicato come un personaggio capace di “governare e coordinare con pugno di ferro le attività della cosca”. Prima del suo arresto, era un giovane capo riconosciuto. Un ruolo ereditato dal padre Antonio 58 anni, oggi in carcere, che a sua volta lo aveva ricevuto dallo zio Peppino Pesce, ritenuto il capostipite della ‘ndrangheta rosarnese. La cosca controllava parte del Porto di Gioia Tauro e gestiva in maniera diretta o indiretta praticamente tutte le attività economiche di Rosarno.