Limbadi, confiscati 5 milioni al boss Antonio Mancuso

La Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha confiscato beni mobili ed immobili per un valore complessivo di oltre 5 milioni di euro riconducibili ad Antonio Mancuso, detto “zio ‘ntoni”, 73 enni,considerato uno dei capi carismatici della cosca Mancuso di Limbadi (Vv).

Il provvedimento di confisca, adottato dal Tribunale di Vibo Valentia, “rappresenta – affermano gli inquirenti – una conferma della solidità delle investigazioni patrimoniali a suo tempo esperite e poi confluite nella proposta redatta a firma del Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, in quanto colpisce gli stessi cespiti (73 appezzamenti di terreno, 6 fabbricati ed alcuni rapporti bancari,) già sequestrati nel giugno dello scorso anno”.

Sul conto di Mancuso, sempre nel provvedimento di confisca di oggi si legge “ … che gli elementi acquisiti all’esito del procedimento consentono di formulare nei confronti di Mancuso un giudizio di pericolosità sociale in termini di sicura attualità.” Pertanto, “ … il Tribunale ritiene che i gravi precedenti giudiziari e di polizia del Mancuso siano di per sé indicativi di una pericolosità sociale concreta ed attuale, rilevatrice di una scelta criminale ben radicata”.

A tal proposito “… emerge dagli atti che Mancuso Antonio classe 1938, sarebbe personaggio ben inserito negli ambienti criminali operanti nella provincia di Vibo Valentia, ove è ritenuto un elemento verticistico, e risulterebbe tra i personaggi più carismatici della cosca Mancuso di Limbadi (Vv), i cui interessi, com’è noto, sono rivolti anche verso altre Regioni d’Italia e persino all’Estero.” In definitiva, “ … Mancuso Antonio, a carico del quale risultano diversi precedenti per reati particolarmente gravi contro la persona ed il patrimonio, è stato condannato per reati associativi sia nel 2003 nel processo Genesi che nel 2007 nel processo Dinasty…La gravità delle condotte criminose poste in essere dal proposto nonché l’allarme sociale destato da tali comportamenti deviati rendono anzi possibile ritenere il proposto un soggetto gravemente pericoloso e di rilevante spessore criminale operante abitualmente ed organicamente in un contesto mafioso altrettanto pericoloso… ”

Sulla sussistenza dei presupposti oggettivi che hanno legittimato la confisca dei cespiti già posti sotto sequestro, il Tribunale ha ritenuto di puntualizzare che “ … dagli accertamenti svolti dalla D.i.a., sezione operativa di Catanzaro…” Mancuso “…risulta aver avuto redditi pressoché inesistenti dal 1989 ad oggi. Tale dato descrive quindi una palese sproporzione tra il valore dei beni sequestrati ed il reddito del proposto e quindi consente di ritenere ingiustificata la provenienza dei medesimi beni (riconducibili al proposto o ad i suoi familiari conviventi)… Gli elementi allegati dalla difesa non consentono quindi di superare il presupposto della sproporzione. Si tratta in definitiva – si legge ancora nel provvedimento – di capacità reddituali inidonee a giustificare gli investimenti societari ed immobiliari direttamente o indirettamente riconducibili al proposto; ne consegue che, in assenza di concrete allegazioni difensive in grado di giustificare la legittima provenienza dei beni in sequestro, ne va disposta la confisca. Anche volendo considerare i redditi dichiarati dalla moglie la difesa non ha comunque allegato alcunché per dimostrare che quelle disponibilità monetarie siano poi confluite realmente nell’acquisto degli immobili in sequestro anche in applicazione della massima di esperienza che vuole il denaro lasciare traccia dei propri movimenti, non è possibile, in assenza di adeguata documentazione, ritenere che le capacità finanziarie (anche quelle documentate dalla difesa) siano confluite nell’acquisto degli immobili dei quali viene richiesta la confisca alla luce della sproporzione tra il reddito percepito dal proposto nel corso degli anni ed il valore degli stessi…”

L’ennesimo risultato conseguito dagli uomini della Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro si inquadra nella più generale azione di contrasto all’arricchimento “illecito” delle organizzazioni mafiose, in linea con le direttive impartite dal Direttore della Dia, Alfonso D’Alfonso, e costituisce una ulteriore espressione del costante impegno profuso nell’aggressione ai patrimoni criminali.