Un tempo anche gli alberi avevano gli occhi

Sabato 18 Febbraio 2012, alle ore 18:00, è stata inaugurata, nello spazio espositivo Marche & Tour Expo, Terminal Arrivi dell’Aeroporto di Falconara (AN), la mostra di pittura: “Un tempo anche gli alberi avevano gli occhi”.  L’esposizione del giovane e talentuoso artista rumeno Madalin Ciuca, è curata da Antonella Ventura ed è promossa dalla Fondazione Zamperetti Onlus, una delle istituzioni culturali piu’ prestigiose del panorama nazionale ed internazionale che, attraverso uno spazio dinamico ed interattivo, collegato al percorso museale della regione, “Marche & Tour Expo”, presenta le più interessanti idee artistiche del territorio.

La mostra gode del Patrocinio della Regione Marche e dell’Assessorato alla cultura di tutte le Province delle Marche, patrocini estesi a tutte le iniziative presentate dalla Fondazione Zamperetti, per l’alto standing e la professionalità nel presentare la Cultura delle Marche nel mondo. L’iniziativa, “Un tempo anche gli alberi avevano gli occhi”, esposizione di opere pittoriche di Madalin Ciuca, rappresenta inoltre un momento particolare, per conoscere ed affermare un giovane talento europeo, che ha scelto di vivere e lavorare nelle Marche, ribadendo la mission più nobile della stessa Fondazione, l’aiuto ai giovani meritevoli.

La mostra si compone di 9 opere esposte, olio su tela, 4 del periodo informale dedicate ai 4 elementi naturali (acqua, aria, terra e fuoco), e 5 opere figurative, tra cui spicca il suo autoritratto, opera esposta nell’ultima Biennale di Venezia. La scelta del titolo (una poesia di Ana Blandiana) vuole essere un omaggio alla Terra di Romania, paese natio di Madalin Ciuca, un paese vituperato e umiliato che però cela un’antica e fastosa bellezza. Come appunto la poesia di Ana Blandiana canta e le opere di Madalin Ciuca raffigurano.

“Un tempo gli alberi avevano gli occhi” . Così titola  la collana di poesie di Ana Blandiana, una delle più raffinate poetesse rumene ed è da quell’albero che nascono i talentuosi frutti  come le opere del giovane pittore rumeno, Madalin Ciuca. L’humus espanso, profondo, sensibile ed animista di una terra deturpata da tutti e da tutto ancora custodisce, per tutti coloro che riescono a vedere oltre l’ovvio, le ragioni che hanno dato vita alle più belle musiche degli tzigani dei Carpazi o alle ballate struggenti dei fratelli ebrei che hanno custodito ogni loro strumento musicale come il sacro libro, gelosamente, spostandosi di diaspora in diaspora.

E’ il cammino dell’uomo che ha condotto nelle Marche, terra sacra e femminile, il giovane Madalin con una “valigia” carica di colori. Quando ha aperto questa valigia, circa quattro anni fa al suo arrivo in Italia, i colori erano forti e “carnali”, violenti e traviati come quelli della sua Romania, poi lentamente, si sono stemperati con le sfumature tono su tono di una società italiana lontana anni luce dai fasti del Rinascimento. La differenza  dei vari linguaggi e costumi sociali  ha prodotto in Madalin una separazione graduale e mai aggressiva, e dai primi lavori realizzati in Italia, quelli informali, dedicati ai quattro elementi – acqua, aria, terra e fuoco – è passato con dolcezza ai figurativi, dove, più che della ricerca della luce per lui elemento naturale di linguaggio stilistico proprio, è andato di volta in volta sempre più verso la ricerca di soggetti da ritrarre che abbiano in sé una “luce”. Quasi uno studio narrativo visivo.

Storie di uomini e di donne contemporanei che aldilà del tempo e di uno spazio, illuminano, nonostante. Seppur con molte riserve all’idea di una esposizione dove i due momenti artistici convivono, si è considerato interessante cogliere l’evoluzione intrapresa dal giovane artista, dove, non secondaria, è l’analisi dell’ambientazione sociale e antropologica della terra che lo ha accolto, le Marche. Perché se è vero che l’Italia sta vivendo il suo periodo più amorfo e inglorioso, è altresì importante sottolineare che la nostra regione ha in cuor suo tutti gli elementi per una nuova rinascita del “pensiero italico”, un nuovo Umanesimo dalle Marche per il mondo.

E ‘ un omaggio a questi valori quello che muove i contenuti della pittura del giovane Madalin, umano-centrica, pur anche un soggetto informale, in Madalin è carico di una tale energia creativa, simbolica e visionaria tanto da creare  allegorie con altri mondi,  con altri vissuti, ed altri spazi, altre angolazioni di luci cosmiche o stati di coscienza, spazi interiori o altre visioni,  ancora, fuori! E’ la vita a celebrare l’arte di Madalin, scorre pulsante dietro e dentro pennellate, impasti raffinati di colori amalgamati a ricordi e dolori per le tante volte che la stessa è stata tradita. Ultimo pittore romantico sopravvissuto, la sua pittura è la trasposizione visiva di un sonetto di Keats , struggente e malinconico, incarna e traduce  i sentimenti dell’amore cosmico, un Amore che fa vivere tutte le cose, anche quelle che i comuni mortali dicono essere inanimate, ma fa morire sempre più Madalin dell’umano vivere insensibile.

Quanto dolore ha provato sin da piccolo per tanta  mancanza di rispetto, vista da un macro-cosmo intorno alla sua terra, ettari ed ettari di bosco dissanguato e avvelenato di cianuro, per le ricche tasche dei latifondisti stranieri, Rosai Montana, usurpazioni di diritti umani perpetrati in nome del capitalismo più scellerato, abbiette speculazioni contro le creature più deboli dell’uomo, gli animali. Tutto questo, ha segnato irrimediabilmente l’animo di Madalin, già reduce chissà da quali ferite. Un vissuto che lo ha portato  in Italia, quell’Italia  tanto sognata sui libri con Caravaggio, e tanto ambita con  Leonardo, è stata per Madalin  la vita ritrovata. Di quell’Italia però , non è rimasto che il sogno nei musei, se stanno aperti, eppure nelle Marche. Madalin  ha trovato una eterogeneità di panorami, una generosità e una ricchezza di tante buone cose dai sentimenti alle cose da mangiare che, lo hanno dapprima elettrizzato e poi lasciato sgomento, non poteva capire infatti come, tutto questo, non portasse alla gente energia, spensieratezza, invece che angosce e tristezza.

Il romanticismo visionario informale dei suoi quadri piano piano cede il passo a un bianco e nero del neo- romanticismo dei primi del 900, beffardo ed ironico, come quello Cezanne, ed  ha il tratto degli uomini e delle donne che, belle, cercano uno spazio in una società siffatta angusta.  Il ritratto non’è il ritratto per quello c’è il fotografo, ma una sorta di anamnesi dell’animo del soggetto in questione e scivola o scivolerà verso un linguaggio più asciutto e meno enfatizzato, sempre che il suo cammino riparta, per altri lidi, per altri visi su altre sponde. Il risultato dell’incontro con Madalin è un po’ come quello che avviene con certi libri, quelli che inizi per un motivo, poi invece diventano il motivo del cambiamento radicale di un percorso, sempre che si abbia voglia di mettersi di nuovo in gioco, di prendere di nuovo una valigia seppur di soli colori, come quella di Madalin, e riprendere il cammino.

Verso dove?  Questo non’è dato sapere. La sola cosa che conta e di conoscersi e per farlo, bisogna incontrare gli Altri. La pittura proiettata sull’Altro-me stesso, non è mai superata, perché ognuno vede ciò che ad altri sfugge, naturalmente, senza dolore rispetto ad una seduta psicanalitica, e nemmeno sortisce l’effetto ingannevole di un’evasione, perché ne svela la verità, quando è autentica. L’autenticità dell’arte è data di nuovo dalla sua universalità, tutti vedono la loro storia nell’Altro. “Un tempo anche gli alberi avevano gli occhi” vuole essere una piccola ma magica storia, fatta  di incontri e di amicizie tra me e Madalin, tra Madalin ed Elvio, e tra Madalin, me, Elvio e  Alessandra-Aldo e soprattutto  tra Alessandra -Aldo e il mondo di cui loro sono esperti visitatori.

* La nota critica è curata da Antonella Ventura.