E probabilmente è lui, Doria con la sua diagnosi semplice (sempre le stesse facce per tutte le stagioni), ad avere più ragione degli altri, visto che Genova succede a Milano (Pisapia), Bari (Vendola), Napoli (De Magistris), Cagliari (Zedda), Firenze (Renzi), episodi che registrano la bocciatura dell’establishment, “l’affollarsi di una oligarchia sganciata da ogni responsabilità, immutabile”, secondo Ernesto Galli della Loggia, “dove si entra solo e non si esce mai, e dove tutti, a turno, prendono tutte le posizioni”.
Il Pd arriva all’appuntamento di Palermo, primarie il 4 marzo, con un biglietto da visita che dovrebbe fare riflettere Roma. Tutti e quattro i candidati (Rita Borsellino, Fabrizio Ferrandelli, Davide Faraone e Antonella Monastra) non sono espressione del gruppo dirigente locale per un verso o l’altro. Rita Borsellino è la proposta del partito romano, accettata dal Pd provinciale; Fabrizio Ferrandelli rappresenta il polo civico (i movimenti) e ha appena lasciato l’Idv; Davide Faraone è un “rottamatore” di fatto esterno al gruppo dirigente, e Antonella Monastra milita in Un’Altra Storia (il movimento di Rita Borsellino). Tutti e quattro hanno dovuto firmare una dichiarazione d’intenti che vieta loro di allacciare alleanze elettorali con il Terzo Polo anche al ballottaggio, ove dovessero vincere le primarie. Un’abiura vera e propria, che rinnega la politica delle larghe intese adottata dal Pd a Roma e a Palermo.
Le primarie del capoluogo siciliano sono la cartina di tornasole del Partito democratico siciliano, diviso e senza regole condivise, inevitabilmente al traino delle volontà “esterne”.