La Cgil offre l’appoggio a Monti sui licenziamenti facili
Mario Monti ha convinto il segretario cigiellino Susanna Camusso. Ottenendo un primo compromesso sulle misure che l’esecutivo varerà entro marzo. Il Premier sta studiando una soluzione che consenta al Governo di presentare all’Unione Europea e ai mercati una “moderna” riforma del lavoro. Una mediazione che salvaguardi la sostanza dell’articolo 18 e al tempo stesso le esigenze del mondo occupazionale che rischia di diventare sempre più asfittico se non interviene proprio su quella stessa norma. Il presidente del Consiglio e il capo della Cgil non si erano mai parlati faccia a faccia. Lo hanno fatto per la prima volta nei giorni scorsi. Un lungo colloquio prima che il presidente del Consiglio partisse per gli Stati Uniti. Un confronto serrato, diretto. Che si è chiuso con qualcosa di più una stretta di mano. Non un testo definitivo o un documento, ma la disponibilità reciproca a chiudere nei tempi stabiliti un’intesa. I punti di accordo sono su una normativa che “sospenda” e non cancelli l’articolo 18 per chi esce dal “precariato”. E una “interpretazione” meno rigida del principio di “giusta causa” da parte dei tribunali del lavoro. L’incontro è stato richiesto dal capo del Governo.
“Noi siamo qui per fare le cose, altrimenti potevano rimanere ai nostri posti”, ripete da giorni il Presidente del consiglio. E quel “fare le cose” è riferito anche alla riforma del mercato del lavoro. Palazzo Chigi considera l’intervento sull’articolo 18, non la sua cancellazione, un passo decisivo per adeguare l’Italia alle nuove esigenze della globalizzazione e renderla competitiva in una fase critica per la nostra economia. In questo scambio di opinioni allora uno dei punti valutati ha riguardato la “sospensione temporanea” dell’articolo 18 per alcune categorie di lavoratori. Una soluzione che anche la Camusso ha accettato di soppesare. L’idea è quella di prevedere per chi ha una lunga esperienza di precariato la possibilità di passare alla “stabilità” accettando una prima fase in cui per tre o quattro anni non è vietato interrompere il rapporto. Un modo per far uscire molti giovani dalla transitorietà lavorativa. Magari associando una convenienza fiscale e previdenziale al datore che “stabilizza” il dipendente.
Stesso discorso per le nuove iniziative imprenditoriali. A Palazzo Chigi sanno bene che il 97 per cento delle aziende e il 67 per cento dei lavoratori sono già sottrattati alla disciplina dell’articolo 18 perché impiegati in strutture con meno di 15 dipendenti. Difficilmente nasceranno un numero consistente di medie e grandi imprese. Ma costituisce soprattutto un segnale agli investitori internazionali. Un messaggio ai mercati che si aspettano delle novità su questo terreno. Ragionamento analogo sulle partite iva. Molti lavoratori dipendenti sono “costretti” ad aprire quel regime fiscale per consentire al datore di mascherare il rapporto di dipendenza (non a caso il numero di lavoratori autonomi appare troppo elevato in Italia, circa 9 milioni). “Per come viene applicato in Italia l’articolo 18 sconsiglia l’arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani”, aveva detto il Premier il 3 febbraio. Un chiaro riferimento al processo del lavoro, a una giurisprudenza troppo rigida e a tempi di definizione delle cause troppo lunghi. Una questione affrontata dal Professore e dal leader Cgil. E che potrebbe portare ad una “interpretazione ufficiale” della norma meno drastica e con modalità temporali meno dilatate. Una questione sulla quale presto verrà coinvolta anche il Ministro della Giustizia Severino. Uno degli aspetti che negli ultimi giorni ha facilitato il dialogo con la Cgil riguarda la posizione del Governo sulla “unità sindacale”. “Non seguiremo la linea Sacconi volta a spaccare le organizzazioni dei lavoratori”, è il refrain che ripetono a Palazzo Chigi. Monti non intende insomma lavorare per dividere Cgil Cisl e Uil. Soprattutto non rientra nei suoi piani aprire un canale privilegiato con uno o alcuni dei tre leader confederali. L’abitudine del precedente Governo di escludere sistematicamente la Camusso da ogni trattativa o decisione sarà respinta dal Premier e dal ministro del lavoro Fornero. Una linea, peraltro, che all’inizio di questa esperienza governativa aveva provocato qualche incomprensione proprio con la Cisl di Bonanni. “Non lavoro per spaccare i sindacati”, dice Monti. Ma nemmeno per una “concertazione” old style. Nell’esecutivo è maturata la convinzione che per persuadere l’Unione Europea e i mercati non può essere avallata una politica di totale condivisione. Anche perché proprio da Bruxelles Palazzo Chigi si aspetta un richiamo esplicito sul mercato del lavoro italiano e sull’articolo 18. Il negoziato ufficiale intanto va avanti. E con ogni probabilità il Governo riceverà nuovamente mercoledì prossimo tutte le delegazioni delle parti sociali. Anche il Ministro Lavoro, dopo la riunione di mercoledì scorso con la Cgil, aveva manifestato un certo ottimismo. “Vedo un bel sentiero largo”. E in seguito al chiarimento tra Monti e Camusso quel sentiero sembra essersi ampliato. Il progetto resta quello di chiudere l’intesa in ogni aspetto entro marzo. Escluso il ricorso al decreto, gli uomini del Premier e di Fornero si stanno sempre più concentrando sulla legge delega. Un percorso comunque da completare e che nessuno nell’esecutivo può immaginare senza ostacoli e future incomprensioni. Anche il Professore sa bene che nonostante la “disponibilità” della Cgil, la riforma del lavoro difficilmente potrà essere approvata senza la protesta dei sindacati.