Puntare al rimpatrio assistito dei detenuti stranieri

Da anni, è presente una massa crescente di persone detenute per le quali la pena rieducativa appare “un concetto fuori dalla realtà”. Si tratta della popolazione straniera, quasi tutta irregolare, priva di radicamento legale con il territorio, destinata, una volta espiata la pena, ad essere espulsa comunque, a prescindere dal percorso maturato nel corso della detenzione.

Da questa premessa, Desi Bruno, neo insediato Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, fa discendere una proposta: il “rimpatrio assistito”, utilizzando la previsione normativa (articolo 16 comma 5 del Testo Unico sull’Immigrazione), che prevede che gli stranieri non appartenenti all’Unione Europea condannati in via definitiva per un numero rilevante di reati (non quelli più gravi) debbano essere espulsi quando mancano due anni al fine pena. Può essere altresì il caso, aggiunge il Garante, di reintrodurre la previsione di espulsione facoltativa a richiesta dell’interessato.

In un articolo per la rivista “Ristretti Orizzonti”, prodotta nella Casa di reclusione di Padova, Desi Bruno fa notare che i periodi di detenzione per molti stranieri sono più lunghi, per mancanza di un’adeguata difesa, perché spesso i magistrati basano il giudizio di pericolosità sociale sulla condizione di irregolare, senza documenti, casa, lavoro, a volte per difetto di comprensione di quello che sta succedendo, per l’assenza di un numero sufficiente di mediatori culturali e socio-sanitari.

Le misure alternative al carcere quali la semilibertà, l’affidamento, la detenzione domiciliare, il lavoro all’esterno presuppongono relazioni sociali, un lavoro (e quindi un regolare permesso di soggiorno), una casa. E in ogni caso, anche percorsi rieducativi ad esito positivo, non salvano dall’esito scontato dell’espulsione.

In Emilia-Romagna, la presenza di cittadini stranieri (per lo più non appartenenti all’Unione Europea) supera il 50%, a fronte di una modesta presenza di cittadini nati in regione (non più del 10%), il che impone una riflessione sulla attuale composizione della popolazione detenuta e sulla attualità degli strumenti normativi che regolano la vita in carcere.

Si tratta, con ogni evidenza, di uno scenario completamente diverso da quello in cui vide la luce, nel 1975, il nuovo Ordinamento penitenziario, e assai lontano da quello in cui, nel 1986, venne approvata la “legge Gozzini”. È perciò necessario ripensare il senso e le forme di attuazione del principio costituzionale che vuole una pena rieducativa, capace di reinserire nel circuito sociale.

Fino a quando una modifica radicale della legge attuale sull’immigrazione non determinerà uno scenario di condotte penalmente rilevanti diverso, la strada da seguire può essere quella di strutturare progetti di “rimpatrio assistito”. Questa misura presuppone che la persona sia identificata e che il paese di provenienza la accolga. Conclude Desi Bruno: “Anche i più refrattari a questo tema possono apprezzare il significativo risparmio di risorse, atteso il costo delle persone detenute per le casse dello Stato”. Si tratta di una risposta concreta, che dovrebbe coinvolgere consolati, enti locali, amministrazioni penitenziarie, magistratura di sorveglianza, associazioni che si occupano di immigrazione e volontariato. Al contrario, nessuna espulsione continuerà ad essere possibile per chi, rientrando nel proprio paese rischia di subire persecuzioni per motivi di razza, sesso, religione, opinioni politiche.