Del collezionista Dima, la scoperta di un carteggio epistolare del cutrese Diego Tajani

Luigi Dima, da Cerenzia, è, da sempre, operatore culturale, bibliofilo, poeta, collezionista e gallerista di largo respiro, con esperienze importanti dal Veneto fino a Napoli.  A Crotone aprì e mantenne in vita per lunghi annila Galleria“Il Delta  – Arti visive” che ospitò, tra gli altri, un certo Carrà. Successivamente, assieme al M° Antonio Sfortuniano, ha curato la Galleria“Il Tripode” in Via Veneto, chiusa da qualche anno per via di un molto oneroso rinnovo del fitto e per la neghittosità degli amministratori del tempo che non hanno inteso concorrere alla sopravvivenza dell’unico centro attivo in termini di politica culturale ed artistica.

Insomma un ricco retroterra socio –  culturale, che non si ferma qui, che ci dona oggi un Dima uomo di vasta cultura e dalle conoscenze poliedriche. E il colloquiare con uomo di cotanta profonda intelligenza e giovialità che sprizza da tutti i pori ti fa capire quanto fa bene la cultura, fa bene allo spirito e ti rasserena la quotidianità fin troppo pervasa da squallore e disvalori.

È soprattutto profondo conoscitore dell’arte in tutte le sue espressioni e pertanto collezionista di lettere e biglietti, bozzetti e cartoline, disegni, poesie e tanti, tantissimi quadri e tutto, naturalmente, autografo. Tra le innumerevoli firme ricordo: Treccani, Rotella, De Chirico, Selvaggi, Tallarico, D’Annunzio, Di Giacomo, i fratelli De Filippo, Carlo Turano, Nenni, Sturzo, Matilde Serao, Carducci, Mario Luzi, Pirandello, Montale, il calabrese Repaci e Quasimodo. E scusate se è poco!

Del collezionista Dima risale, a pochi mesi orsono, la scoperta di un carteggio epistolare del “Cutrese” Diego Tajani presso un collezionista di Napoli. Si tratta di alcune lettere scambiate, dal febbraio al maggio del 1896, tra l’allora deputato Tajani e il Direttore del Banco di Roma Alessandro Caravanni nelle quali si parla di questioni amministrative bancarie e di riforma elettorale. Assieme a queste anche un biglietto da visita indirizzato allo stesso Direttore e intestato semplicemente “Diego Tajani”. Alla faccia dei titoli!

A questo punto il buon Luigi Dima, con un tratto di amarezza che oscura un po’ il suo immancabile sorriso, mi confessa di aver proposto al Sindaco di Cutro Salvatore Migale l’acquisto del prestigioso carteggio assieme ad un acquaforte settecentesco che raffigura il vescovo cutrese Domenico Morelli: risposta molto vaga, nulla.

Un po’ per confortare l’amico Dima, gli ricordo che il Consiglio comunale di Cutro nella seduta del 22 aprile del 1987 aveva, pomposamente, approvato la proposta di erigere in paese un monumento dedicato al Tajani, l’illustre figlio di questa terra e per molti anni dimenticato da amministratori ed intellettuali. L’allora assessore alla Cultura aveva anche annunciato alla stampa di aver dato incarico al famoso scultore Reginaldo D’Agostino di Tropea per una scultura in bronzo da posizionare poi in un angolo del centro storico di Cutro che sarebbe stato localizzato col conforto delle forze politiche, sociali e dei cittadini. Ancora non se ne vede traccia! Ma tant’è, per questi Amministratori,la Cultura“non fa mangiare”!

Chi era Diego Tajani

È nato a Cutro l’8 giugno del 1827 nell’omonima via, nell’ ex palazzo Guarany. Fra i suoi antenati figura un Tajanus di Vietri sul Mare architetto nella fabbrica del Duomo di Salerno dal 1076 al 1080 come si ricava da uno scritto di Carlo Guarany. Il nostro Diego era figlio di Giuseppe, capitano della repubblica napoleonica, coraggioso combattente e divenuto generale e capo di stato maggiore ed insignito della Legion d’Onore.

Dopo il ritorno dei Borboni a Napoli nel 1821, Giuseppe Tajani assunse l’incarico di ingegnere nel Crotonese e quindi a Cutro ospite di Giuseppe Guarany, compagno d’esilio dopo la caduta della repubblica partenopea. Qui sposò Caterina Cattizzi, cognata del Guarany, dalla quale è nato, appunto, Diego. Nella città del Crocifisso, il giovane Tajani compì i primi studi e quindi a Vietri sul Mare per proseguire quelli superiori e universitari. La cittadina salernitana ne rivendicò per tanti anni i natali e per risolvere la delicata e singolare controversia intervenne, addirittura, l’autorevole Giornale d’Italia. Giovane intraprendente si laureò prima in Giurisprudenza il 7 maggio 1850 ad appena 23 anni di età e poi studiò Lettere e Filosofia, Chirurgia e Anatomia Pratica.

Per avviare la sua folgorante attività forense, non ancora trentenne, volle cimentarsi in un processo di carattere politico e patriottico assumendo la difesa del corregionale Giovanni Nicotera di Sambiase, oggi Lamezia, e dei suoi sfortunati compagni reduci dalla spedizione di Sapri. Come compenso, che tanto lo commosse, ne ebbe una lettera che chiudeva con la tenerezza di un bacio scaturito dal profondo del cuore. Altri tempi, eh!?

La conseguenza di questo iniziale e coraggioso patrocinio, ricacciato dai Borboni, lo porterà a rifugiarsi nel libero Piemonte. Nel 1859 abbandonò l’attività forense per arruolarsi nell’11^ Fanteria e appena dopo liberate le terre meridionali, fu chiamato da Cavour ad organizzare i tribunali. Nel 1861, assieme a Silvio Spaventa, si trovò a Napoli per contrastare la camorra e sciogliere il Corpo delle guardie di pubblica sicurezza reclutate fra i camorristi.

Nel 1886 è stato Procuratore Generale a Catanzaro e nel 1871, con lo stesso incarico, a Palermo per fronteggiare il questore Albanese protettore della mafia. Nel capoluogo siculo il Tajani  prende posizione contro il malcostume ed incrimina il citato questore per concorso in vari omicidi ed altre imputazioni emettendogli anche l’ordine di arresto. Ma -allora come oggi- l’attacco alla mafia siciliana sferrato  dal Procuratore cutrese, fa discutere molto in sede governativa e parlamentare per il timore di una caduta di prestigio della pubblica autorità: il questore Albanese assolto per insufficienza di prove. Ma, cosa inusitata ai nostri giorni, il Tajani, a fronte di tanta ipocrisia, strappò la toga rifiutando anche la nomina a Consigliere di Cassazione di Napoli, chiudendo così la sua brillante carriera forense e giudiziaria.

Ma non si arrestò di certo la sua rabbia. Deputato al Collegio di Amalfi, in Parlamento denunciò, documentatissimo, le cospirazioni, gli arresti di innocenti operati per preservare i veri colpevoli di reati consumati dalla mafia con la convivenza delle autorità locali. Durante il Gabinetto Depretis, già da vent’anni vicepresidente della Camera, ricoprì il ruolo di ministro guardasigilli.

Fu durante questo Ministero che Giuseppe Garibaldi gli chiese l’appoggio per l’annullamento del matrimonio con la marchesa Giuseppina Raimondi, ottenendone da questa il consenso e l’Eroe dei due mondi gli espresse la riconoscenza in una lettera che recita: “Immensa gratitudine per quanto faceste per me in una causa che amareggiava la mia esistenza e che grazie ai generosi amici come Voi, ho potuto vincere. Vostro per la vita G. Garibaldi.”

Ancora nel 1878 difese Francesco Crispi accusato di bigamia. Nello stesso periodo chiese grazia al re Umberto per Giovanni Passannante che aveva attentato alla vita del sovrano.

Il nostro Diego Tajani morì a Roma il 2 febbraio 1921, quasi dimenticato.