Daniela Musini si aggiudica il Nabokov

Non ci si riesce ancora a riprendere dallo stupore dell’incontro con una delle città più straordinarie della sorprendente e generosa provincia italiana. Il Salento pugliese, estrema propaggine dello stivale che si protende nel Mediterraneo, l’Adriatico da un lato e lo Jonio dall’altro, è terra ricca di bellezze artistiche e ambientali, specie lungo le sue coste. Ma è al suo interno la più grande delle sorprese: la città di Lecce, risplendente nelle sue architetture in pietra locale appena indorata dal tempo, nell’armoniosa fioritura di palazzi, piazze e monumenti che ne fanno una delle capitali del barocco italiano. Per questa sua caratteristica di città d’arte è definita la “Firenze del sud”. E infatti non manca di stupire per i contesti urbani che offre alla vista del visitatore, illustrando magnifici scenari dove l’arte barocca mostra il suo volto più raffinato e armonico, elevato a potenza per un’espressione così copiosa e diffusa d’esempi, fino al compimento dell’intero centro storico. Sicché il barocco leccese, come solo in rari altri casi (Noto, in Sicilia), si mostra nella compiutezza delle sue declinazioni, in un singolare unicum che regala straordinarie meraviglie. Come Piazza S. Oronzo, il salotto elegante di Lecce, dove in una parte pure riluce l’Anfiteatro romano (I-II secolo d.C.) riportato alla luce all’inizio del Novecento.

Nella piazza s’innalza la colonna con la statua di S. Oronzo, il protettore della città. Di fronte alla stele l’armonioso Palazzetto del Sedile, antica sede municipale. Accanto, la chiesa di San Marco, importante testimonianza dell’esistenza d’una colonia di mercanti veneziani giunti in città per praticare attività commerciali. Altra testimonianza artistica che si affaccia sulla piazza, davanti all’anfiteatro, è la chiesa di Santa Maria delle Grazie. O ancora come Piazza del Duomo. E’ sempre il barocco a dominare nella piazza centrale del capoluogo salentino, una grande agorà, uno dei rari esempi di “piazza chiusa”. Un tempo, al tramonto, le porte, delle quali ancor oggi sono visibili gli imponenti mozzi, venivano serrate. Chi entra in Piazza Duomo, si trova di fronte una facciata di chiesa che solo ad una attenta osservazione si rileva posticcia. È sufficiente, infatti, varcare la soglia del portale per ritrovarsi nella navata laterale della chiesa. La Cattedrale, dunque, non accoglie il visitatore di fronte, ma si trova collocata, rispetto all’ingresso della Piazza, in modo parallelo. La soluzione scenografica venne adottata per evitare che ci si trovasse di fronte ad un muro piatto e senza decori. L’architetto leccese, che si adoperò per armonizzare l’arredo urbano, realizzò, ai lati dei propilei, i palazzi gemelli che, entrambi al pian terreno, rivelano arcature a bugne lisce, oggi in parte chiuse o trasformate in porte e finestre. A sinistra della piazza s’erge imponente il campanile, opera di Giuseppe Zimbalo, al centro è la Cattedrale e, in posizione più arretrata, l’episcopio, mentre sulla destra si trova il palazzo del seminario. In pillole, questa è una parte della Lecce architettonica, città vivace anche nella vita culturale, con la sua università, le sue iniziative artistiche e la vita intellettuale. Una città d’antiche origini messapiche, che la leggenda vuole esistesse già prima della guerra di Troia, ma fu sotto la dominazione romana, con l’elevazione a municipium (Lupiae e poi Licea), che ebbe il suo maggior sviluppo al tempo dell’imperatore Marco Aurelio.

Ecco, appunto non si riesce ancora a riprendersi dallo stupore per le meraviglie della città che già s’arriva a Novoli, un bel centro a 13 chilometri dal capoluogo, nel Parco del Negroamaro. E’ qui, nel Teatro comunale, che si tiene (21 gennaio) l’evento conclusivo del concorso letterario nazionale Premio Nabokov 2011, promosso ed organizzato dall’Agenzia Letteraria Interrete, al quale hanno partecipato con i loro lavori più d’un centinaio d’autori. La serata ha già avuto il prologo con un trailer della trasmissione BookGeneration. E’ seguito l’incontro con il giornalista Damiano Celestini (Il Messaggero) che ha presentato il suo saggio dal titolo “Paese che vai giornalismo che trovi”, moderato da Andrea Giannasi. E’ seguito il monologo semiserio di Massimo Lerose, tratto dal suo romanzo “Il solitario”, durante il quale Edoardo Scarpa, il protagonista della storia, rivela i misteri della scrittura noir. Tocca ora agli autori selezionati dalla Giuria, con il conferimento dei riconoscimenti a tutti i finalisti nelle tre sezioni del Premio Nabokov, edizione 2011, e della consegna delle targhe ai vincitori delle sezioni Narrativa, Poesia e Saggistica. Il pubblico riempie il teatro in ogni ordine di posti, quando Piergiorgio Leaci, presidente della Giuria composta da Damiano Celestini, Massimo Lerose e Gianluca Pitari, chiama sul palco i finalisti di ogni sezione per il ritiro della pergamena. Ecco che si arriva all’evento centrale della serata, la premiazione dei vincitori. Queste le decisioni della Giuria: nella sezione Narrativa il vincitore è Osvaldo Piliego, giornalista leccese, con il romanzo “Fino alla fine del giorno”, Lupo Editore. Nella sezione Poesia vince Cinthia De Luca, di Roma, con la silloge “Penombra d’oltre”, Aletti Editore. Nella sezione Saggistica trionfa la scrittrice pescarese Daniela Musini, con “I 100 piaceri di d’Annunzio”, Edizioni Stampa Alternativa. La consegna del Premio ai vincitori segna un momento di forte emotività, sottolineato infine dalla standing ovation del pubblico. Una bella e intensa serata, a chiusura d’un evento che di anno in anno cresce in prestigio e consensi. Davvero un Premio Letterario in grande smalto, il Nabokov, sicuro viatico per crescenti affermazioni nelle prossime edizioni.

Il 2012 comincia dunque all’insegna del successo per Daniela Musini. “I 100 piaceri di d’Annunzio” è un intrigante ed avvincente  excursus degli amori, dei fulgori, delle passioni e delle voluttà del Vate, inanellati in ordine alfabetico: un malizioso glossario che parte dalla A di Alcova e giunge fino alla Z di Elena Zancle, una delle ultime amanti del Vate. Il Premio Nabokov è un’altra importante affermazione che s’aggiunge alla cornucopia dei riconoscimenti prestigiosi alla Musini, tra i quali cui spiccano il Premio “Garcia Lorca” conquistato a Torino per il suo testo teatrale “Mia Divina Eleonora”, il Premio Internazionale “Adelaide Ristori”, riservato ogni anno solo a 50 donne in tutto il mondo, a lei tributato in  Campidoglio, a Roma, in qualità di “Dannunziana”, infine il Premio Internazionale “Donna dell’Anno per la Cultura”, conferitole a Lugano. E’ una poliedrica artista abruzzese, Daniela Musini: scrittrice, pianista, autrice ed attrice teatrale, è conosciuta soprattutto quale interprete delle opere di Gabriele d’Annunzio e della figura di Eleonora Duse. E proprio nelle vesti della Divina ha allestito i suoi recital/concerto, in cui si presenta nella triplice veste di autrice, attrice e pianista, in un intenso tour che ha toccato l’Ambasciata d’Italia a Cuba, l’Accademia di Musica della Bielorussia a Minsk, il Teatro dell’Opera a Varsavia e gli Istituti Italiani di Cultura di Berlino, Istanbul, Ankara, Kyoto, Colonia, San Pietroburgo e Lione, ottenendo sempre entusiastici consensi.

Su “I 100 piaceri di d’Annunzio” ha vergato un’interessante recensione Yamina Oudai Celso. Così vi annota: ”Scrive (Gabriele d’Annunzio) nel Libro Segreto «Il piacere fa infinita la mia carne. Trovo negli eccessi del piacere la mia più vasta spiritualità». Già, il Piacere: non solo il titolo di uno dei suoi più noti romanzi, ma, senza le virgolette, la cifra emblematica di un’intera esistenza. Non uno o più piaceri, in realtà, ma addirittura cento, per dirla con la dannunziofila Daniela Musini, autrice di un glossario alfabetico semiserio (I 100 piaceri di d’Annunzio, Stampa Alternativa, 2004, 20 euro) in cui, sul filo del gossip piccante e della curiosità aneddotica, con tanto di cd rom accluso, si cerca di restituire l’immagine a tutto tondo di uno dei più discussi protagonisti del Novecento europeo. Dalla A di «alcova» alla D di «duelli», dalla N di «natiche» alla V di «Vittoriale», si snoda uno scorrevole e circostanziato itinerario che, se non è quello della biografia impegnata, non si esaurisce neppure nel banale divertissement divulgativo, giacché la Musini abbina al tocco ironico una rilevante capacità di immedesimazione descrittiva e linguistica con il lessico baroccheggiante e ricercato del Vate, che riesce in qualche modo a fare proprio. O come “orgia”: «Orgia? No. Metafisica», dichiarerà sprezzantemente il Nostro. E poi D come «debiti», tantissimi; E come «eleganza», raffinata o sgargiante ma sempre opulentissima nel guardaroba personale come negli arredi delle sue magioni; ma anche A come Aélis, N come Nike, Nontivoglio, Ghisola, Melitta, Corè, Smikra e non solo: altrettante voci del dizionario modellate sugli epiteti con i quali l’Imaginifico, seducente e infedelissimo, ribattezzò le innumerevoli e spesso anche celebri protagoniste dei suoi instancabili rituali erotici. (…) Ma il suo era un eros troppo prepotente ed onnipervasivo per potersi circoscrivere all’ambito, sia pure elettivo, delle relazioni amorose. In realtà quello dannunziano è un entusiasmo vitale inarrestabile che si declina anche come immersione panica nella natura, nel paesaggio, nelle meraviglie del mondo animale (…), come esaltazione futurista per il progresso tecnologico di aerei ed automobili, e in generale come costante fascinazione verso tutta quella girandola di colori, sapori e immagini di mondi reali che, dagli scenari primitivi dell’Abruzzo rurale a quelli altolocati della mondanità romana o parigina, diventano subito letteratura. Perché per d’Annunzio la scrittura è proprio questo: un appassionato, viscerale, polisensoriale atto d’amore nei confronti della vita. Un amore che si declina virtuosisticamente in una pluralità di forme espressive generi letterari: teatro, poesia, giornalismo, romanzo, libello politico e addirittura anche pubblicità ante litteram (…)”.

Donna dal multiforme ingegno, Daniela Musini in ogni circostanza si supera sempre e sperimenta continuamente. Ella va oltre la scrittrice, la studiosa, la musicista, l’attrice, fino a diventare l’interprete sensibile, palpitante, sensuale, raffinata e vitale dei suoi personaggi. Di Gabriele d’Annunzio, in particolare, con cui condivide l’Abruzzo come terra natale – Daniela Musini è nata a Roseto degli Abruzzi e vive a Pescara – con un’affezione profonda per la vita, le opere e l’estro straordinario del più fecondo scrittore del Novecento. Eccola dunque, in giro per il mondo, al pianoforte mentre suona musiche di Debussy, Chopin e Rachmaninov, e poi a declamare versi dannunziani tratti dal suo “Omaggio all’Imaginifico”, uno dei suoi recital-concerto. Freme, la Musini, mentre recita le liriche di d’Annunzio. Palpita, esprimendo il senso più profondo della poetica dannunziana, vibrante e soffusa la voce dell’attrice mentre dispiega tutti i registri delle emozioni. Bella, elegante e raffinata, ammalia sempre il pubblico, in un’apoteosi di bravura. Davvero una grande artista, Daniela Musini. Due lauree, in Lingue e Letterature straniere e in Lettere Moderne, musicista diplomata in pianoforte, alla verve creativa di scrittrice (I cento piaceri di d’Annunzio; Lucrezia Borgia. Misteri, intrighi e delitti) e di autrice teatrale (cinque i suoi testi per il teatro,tra cui Mia divina Eleonora pubblicato da Ianieri), Daniela Musini associa un formidabile talento d’attrice, anzi d’interprete di rara sensibilità. Il tema della donna è quello che più l’intriga, anche nella sua attività in incontri e conferenze sulla poesia al femminile. Come pure sulla seduzione, con le donne più importanti nella storia: Cleopatra, Messalina, Lucrezia Borgia, Madame de Pompadour e Mata Hari, per citarne alcune.

Daniela Musini cura direttamente la programmazione, in Italia ed all’estero, dei propri recital e degli spettacoli teatrali. Con tre di essi sta girando il mondo: “Omaggio a l’Imaginifico”, dove l’attrice declama suggestivi brani tratti dalle più belle opere del Vate; “Amori e fulgori di Gabriele d’Annunzio”, in cui dà corpo e voce a sette donne, le più amate dal Poeta; infine “Gabriele ed Eleonora. Una passione scarlatta”, lacerti dell’appassionata e tormentata relazione dello scrittore, drammaturgo e poeta con la Duse, la più grande attrice teatrale di tutti i tempi. Recentemente la Fondazione “Mantova Capitale Europea dello Spettacolo” ha inserito nella corrente stagione teatrale il recital/concerto “Gabriele ed Eleonora. Una passione scarlatta”, scritto, diretto e interpretato da Daniela Musini, già rappresentato a L’Avana, Varsavia e San Pietroburgo. Un traguardo, per l’artista abruzzese, che affianca il suo nome, nel ricco cartellone della città di Virgilio, ad attori affermati quali Manuela Kustermann, Leo Gullotta, Gaia De Laurentiis, Gianmarco Tognazzi e Monica Guerritore. Lo spettacolo della Musini, al Teatro Bibiena di Mantova, si terrà il prossimo 1° Marzo, anniversario della morte di Gabriele d’Annunzio, Vi assisterà lo scrittore e storico Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale, che dopo il recital dell’artista abruzzese proporrà l’avvincente suo Notturno d’Autore dedicato al Vate.

Il Premio Nabokov costituisce, per Daniela Musini, un’altra affermazione di prestigio lungo il suo percorso artistico, meritata in una competizione letteraria dove numerosa e consistente è stata la partecipazione degli autori in concorso. Nella stessa sezione Saggistica, che ha visto Daniela Musini conquistare l’alloro della vittoria, tra i 10 finalisti è giunto un altro abruzzese di vaglia, Angelo De Nicola, con l’opera “Il mito di Celestino”, One Group Edizioni. Una pubblicazione di grande interesse sulla vita e l’opera profetica di Papa Celestino V, l’unico Pontefice che rinunciò alla tiara dopo cinque mesi di papato, non prima d’aver istituito all’Aquila con la sua Bolla del 29 settembre 1294  la Perdonanza, il primo giubileo della cristianità. La vittoria di Daniela Musini e la presenza di Angelo De Nicola tra i finalisti affermano un Abruzzo tenace e competitivo anche in campo letterario.