Torna libero a Vibo Valentia per un cavillo sulle intercettazioni

Un nuovo fronte si apre nel delicato tema della giustizia ed il precedente viene da Vibo Valentia. Il difensore che chiede la scarcerazione del proprio assistito ha un diritto incondizionato ad accedere alle intercettazioni che ne hanno determinato la reclusione. E se la Procura non le mette per tempo a sua disposizione opera una lesione del diritto di difesa tale da inficiare lo stesso provvedimento restrittivo della libertà. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 45880/2011 annullando il provvedimento di custodia in carcere emesso dal tribunale di Catanzaro nei confronti di un indagato nell’ambito di un procedimento riguardante un associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e all’usura che operava nella provincia di Vibo Valentia.

L’attività criminosa, infatti, era stata scoperta grazie a un massiccio utilizzo di intercettazioni telefoniche e di video riprese, tramite telecamere poste all’interno di un capannone utilizzato dai presunti affiliati per l’occultamento e il successivo confezionamento della droga.

Nel caso specifico il difensore aveva depositato in tempo per l’udienza del riesame la domanda diretta a visionare la documentazione informatica, ricevendo fra l’altro anche il placet del pm. Dopo circa un mese, però, ormai a ridosso dell’udienza, gli uffici amministrativi avevano risposto con un fax in cui chiedevano di specificare nel dettaglio quali fossero le prove richieste. In tal modo, a parte l’irritualità della risposta – osserva la Cassazione non potevano di certo essere gli uffici amministrativi a rispondere in senso negativo dopo l’assenso del pm – si vanificava di fatto la possibilità della difesa di svolgere correttamente la propria opera, visionando le prove.

Infatti, spiega la Cassazione, se pure al pm è consentito di allegare a supporto della richiesta cautelare i soli “brogliacci” di ascolto, la vera e propria prova delle comunicazioni risiede esclusivamente nelle registrazioni. Dunque, se in sede di impugnazione della misura cautelare il difensore ne ha fatto tempestiva richiesta, il tribunale che non ha adempiuto non potrà più fondare sulle sole trascrizioni il proprio convincimento.

Perciò, il semplice brogliaccio pur valido ai fini della richiesta cautelare, in sede di riesame diventa probatoriamente inefficace e cioè non più utilizzabile per giustificare la misura di sicurezza, anche se non compromette l’attività di ricerca e il risultato probatorio in sé considerati.

Ragion per cui se l’ulteriore materiale indiziario non è di per sé idoneo a giustificare la misura, il tribunale del riesame dovrà annullare l’ordinanza di custodia in carcere. E, aggiunge la Cassazione, uguali conclusioni devono essere applicate oltre che alla intercettazioni anche alle video riprese.