Nel nome dei Giganti gemellaggio Nord Sud

La palingenesi dell’Unità ha trovato compimento nel gemellaggio di un gruppo di calabresi del Vibonese (circa 40, rappresentanti di enti associativi e istituzioni locali).

Dopo un lungo viaggio, durato 150 anni, hanno riportato la loro storia là, dove l’Italia per la prima volta ritrova il suo spirito unitario nazionale. Questa Italia del profondo Sud ha ricambiato la visita che i Piemontesi avevano tributato nel lontano 1860 con la famigerata spedizione di Garibaldi e riportano quel testimone nel nome di una unità tradita, martoriata, ingannata, massacrata, ma che non si è stancata di richiamare il suo remoto e originario mito fondativo: l’amore perla Patria, la tensione per i valori ideali e culturali nazionali, i principi umani ed etici che hanno animato i padri del Risorgimento per la conquista della libertà contro ogni forma di oppressione, di ingiustizia e di discriminazione, sanciti nella Costituzione. Questa comitiva che abita quella che un tempo si chiamava Italia, nel nome dell’Unità del Paese, per risentire la musa della storia, Clio, declamare un nuovo peana, si è recata nella città, Torino, dove per la prima volta si è riunito il parlamento del nuovo Regno d’Italia (Palazzo Garignano). La storia ha i suoi riti, rinnova se stessa e ritrova una nuova autentica identità, ma con una diversa rapsodia.

Il controcanto invece la miseria di tanti padri e madri, costretti ad affrontare gli stenti e l’orrore della guerra e poi quella dell’emigrazione, e poi quella della mistificazione, e infine quella della rassegnazione e della criminalità. Ma tutto questo bagaglio portato nel lungo e interminabile viaggio è diventato il giusto viatico per una Nuova Italia, che può essere rappresentata nel Ballo dei Giganti, i “gisanti”, l’incontro tra due culture così diverse come quella dei mori e dei cristiani che ancora risuonano nei poemi epico-cavallereschi. Mata e Grifone, rappresentanti di un incontro tra due culture o semplicemente esorcizzano il male con il ballo al rullo martellante dei tamburi, hanno aperto le danze, hanno squarciato il silenzio del piccolo ma ameno comune del Canavese, Feletto. Forse è la prima volta che il simbolo di una unità tra mondi lontani, tra razze diverse, ha attraversato tuttala Penisola, dal lembo nomato anticamente Vitulia, poi Italia, fin là dove questo nome diventa simbolo di Unità. Il rullo dei tamburi e la danza dei Giganti hanno unito le distanze, hanno dissolto gli ossimori della geografia, hanno riunificato il grande mosaico dei secoli nel ballo estatico e dirompente di un Dioniso che ha declamato il suo nuovo ditirambo. Ecco il dono di un Sud smarrito, disperso, disperato, lontano, interprete di una diaspora desacralizzata, che ha unito le regioni e i contenenti. La nemesi storica irrompe sulla scena con la sua forsennata danza. Un giorno forse bisognerà rileggere alla rovescia le parole con cui abbiamo misurato le distanze degli orizzonti nel declamare il passato, gli accadimenti, i ricordi e le memorie.

Per questo non è semplice descrivere cosa ognuno porta dentro di sé nel viaggio di ritorno, dopo l’esperienza condivisa di momenti ed eventi. C’è dentro una forte valenza estetica e umana, oltre che storica. È illuminante l’adagio popolare: “La verità è nuda e solo le parole sagge la sanno rivestire”. Ne svela i contenuti umani se si pensa a persone che si incontrano e si raccontano e sentono una risonanza profonda, sentono che le corde del cuore vibrano, sentono che non ci sono differenze, sentono di essere nudi di fronte alla loro verità, alla verità delle loro parole, della loro vita. È per tale motivo che non possiamo dimenticare le parole di Giuliana, nel suo commiato mentre il viaggio di ritorno stava per battere il suo nuovo tempo. Parole cariche di affetto, di commozione, di fraterno afflato che hanno toccato le corde della nostra anima e la sua tremante voce ha bagnato il volto della speranza. Quel gesto pregno di fraterna umanità, di fresca amicizia, è il segno e il regno in cui l’uomo vuole e sa riconoscersi oltre le retoriche e l’ignobile, inverecondo e ipocrita ricatto. Quell’umore-amore ha scolpito i nostri ricordi, il nostro pensiero: un prezioso dono che diventa autentico spirito per erranti pellegrini alla ricerca della verità della storia e dell’uomo.

“L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; ma solo è perfetto colui per il quale tutto il  mondo non è che un paese straniero”. Sono parole di Ugo di San Vittore formulate nel XII secolo che ci raccontano un’altra verità. Se la bellezza umana dovesse avere un’immagine, il sorriso di un infante ne rappresenta l’emblema, così come il pianto dell’adulto. Il sorriso e il pianto, l’alfa e l’omega dell’umanità, dovrebbero essere il nuovo mito fondativo e la nuova estetica di questo mondo che fa molta fatica a ri-conoscersi umano e autentico, oltre i confini delle diverse geografie dei popoli e dei sentimenti nazionali o locali.

Messa insieme da Mimmo Pantano – sensibile e carico di entusiasmo, non mai sazio di stimolare, prodigo di scherzi e di battute, ma anche cantore di una terra ancora senza canto – questa storica spedizione, composta da anime diverse della società civile dei vari centri del Vibonese, si è riconosciuta nel nome di una storia che ancora cerca il volto delle figlie di Mnemosyne. Ognuno col suo carico di emozioni e di sentimenti, ha potuto esprimere il desiderio di esserci, di partecipare, di testimoniare, di indossare un nuovo vestito, di penetrare in modo personale il velo del tempo e dei paesaggi. A far parte della compagine rappresentanti di associazioni, Italia Nostra – Delegazione Vibonese come il sottoscritto, Zaleuco, Bruno Cutrì, Banca di Credito Cooperativo di San Calogero, il vicepresidente Franco Maccarone; Pro Loco di San Calogero, il presidente Michele Monteleone; Avis San Calogero e corrispondente di Calabria Ora , Emanuela Pagnotta; Alfonsino con la sua famiglia; ma anche Mimma, Irene, Carmelina, e tanti altri, senza dimenticare i giganti Monteleone, tra cui l’istrionico e buffo Pietro, danzatore esilarante, la piccola Katia alla gran cassa e ai piatti, Domenico, Angelo, e il padre Benito. Momento clou dei tre giorni a Feletto il gemellaggio tra le due Proloco e il convegno sull’Unità d’Italia, a cui hanno partecipato diversi responsabili istituzionali sia del Piemonte che del Vibonese. Nel corso del simposio è avvenuto lo scambio dei doni dopo gli interventi del sindaco di Feletto Giovanni Audo Giannotti (detto Jonni), dei presidenti delle due Proloco Michele Monteleone e Michele Mazzamati, Mimmo Pantano (in rappresentanza della Provincia di Vibo – assessorato alla Cultura, Roberto Tentoni (consigliere Regione Piemonte), e il presidente Unpli della provincia di Torino Fabrizio Ricciardi. La serata inoltre è stata caratterizzata da interessanti intermezzi musicali con “I cantori di Sales” che hanno eseguito diversi canti tradizionali popolari di otto regioni ad iniziarela Calabriacon il classico Calabrisella che ha coinvolto le nostre Emanuela, Mimma e Irene, e la lettura di poesie in vernacolo delle diverse regioni coordinata da Germana Cresto, mentre a presentare l’incontro Pier Vincenzo Schioppetti .Una manifestazione ricca di contenuti, in cui sono emersi i valori e gli ideali che hanno contrassegnato l’Unità d’Italia ma anche lo storico significato del gemellaggio, probabilmente l’unico del genere tra Calabria e Piemonte in un abbraccio simbolico tra le due realtà regionali contrassegnate da una storia in parte comune ma con un destino diverso per tanti calabresi costretti ad emigrare in Piemonte. Ad aver interpretato con la sua opera gli ideali unitari sicuramente Umberto Zanotti Bianco, fondatore di Italia Nostra, che ha speso tanta parte della sua esistenza per risollevare le sorti della Calabria dopo il disastroso terremoto del 1908, con un’azione umanitaria ma anche di forte significato culturale. E’ a questa figura esemplare ed emblematica di grande illuminato che si deve la scoperta della Magna Grecia assieme a Paolo Orsi. Nel nome di Zanotti Bianco quindi l’Italia ritrova una vera unità perché lui piemontese sposa il destino del Sud. Ma anche un istituto comela Bancadi Credito Cooperativo di San Calogero ha un ruolo fattivo nell’affermazione dei valori che hanno ispirato l’Unità, come ha spiegato Franco Maccarone richiamando le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: nel dna della banca la sussidiarietà e la solidarietà, rispondendo così ai reali bisogni della gente. Ma la storia va riletta, va rispiegata, reinterpretata per poter comprendere fino in fondo il perché una parte dell’Italia ancora vive nell’arretratezza, e la famosa ‘questione meridionale’ è ancora ben lungi dall’essere affrontata con gli strumenti idonei e con la volontà politica che necessita. Ci sono stati alcuni passaggi oscuri e controversi che vanno ripresi per dare un nuovo senso ai fatti che ci sono stati raccontati da un sistema di potere che per anni è stato perpetrato contro gli interessi collettivi del Meridione. Lo ha sottolineato Bruno Cutrì che con l’associazione Zaleuco (presieduta dallo storico Saverio Di Bella) si sta adoperando al fine di mettere a disposizione di tutti, attraverso il sito Zaleuco.org, alcuni importanti documenti per dare nuova luce alla storia che ha portato all’Unità d’Italia. A richiamare invece un fatto storico di accoglienza e di ospitalità da parte della Calabria nei confronti dei piemontesi è la storia della diaspora dei valdesi, che a causa delle persecuzioni, costretti a fuggire sono approdati sul territorio che ancora richiama quella pagina drammatica con il toponimo di Guardia Piemontese. Lo ha ricordato il consigliere regionale Tentoni nel suo intervento, rammentando ancora che la storia deve essere continuamente rivisitata alla luce del presente.

Di grande significato la visita al museo dell’oro, con l’intramontabile e mitico cercatore d’oro Giovanni Vautero che ha narrato la sua epopea da quando ancora bambino ha rivissuto l’età dell’oro, con le sue imprese e la sua fervida passione che ancora lo trascina nel fiume Orco alla ricerca del luccichio tra la sabbia, al vaglio della sua batea (in gergo ‘gave’).

 Il gemellaggio poi ha vissuto altri momenti memorabili come la visita a Torino del giorno successivo, accompagnati sempre dall’instancabile Giuliana e dal prodigo Antonio Rocchetta (ex presidente della Pro Loco di Feletto, anche lui di origine calabra, Grimaldi in provincia di Cosenza) e la sera un tuffo nella tradizione, con i balli dei giganti che hanno calamitato tanti residenti e ospiti di Feletto in una danza che ha trascinato vecchi e bambini senza sosta fino a tarda ora, in un ritmo incessante e dirompente. Domenica mattina infine la cerimonia di gemellaggio tra le due proloco; poi la santa messa in onore di San Vittorio, patrono di Feletto con la processione, che ha scandito anche la fine del gemellaggio. Subito dopo la partenza della spedizione con un saluto al ritmo dei giganti. Così come hanno aperto l’incontro tra Calabria e Piemonte  Mata e Grifone hanno chiuso l’incontro. Ma prima di intraprendere il lungo viaggio di ritorno, il saluto sia di Antonio che quello commosso di Giuliana (moglie del sindaco di Feletto) con una pergamena vergata dalle sue mani per sancire la fratellanza di due mondi lontani che hanno riscoperto la propria anima, la propria unità nel nome della fratellanza e dei sentimenti umani, come l’incontro dopo oltre 30 anni tra Antonio e Michele (presidente Proloco San Calogero), i quali hanno scoperto di essere stati compagni quando ancora c’era il militare. Lui originario di Caraffa, dopo essere stato in altre località del Piemonte, si stabilisce a Feletto. Il riconoscimento avviene poco prima della partenza. Rivivono dopo tanti anni il tempo di un’epoca ormai lontana, la tanto vituperata naia, è stata rivissuta nel ricordo dei vecchi amici, quando hanno trascorso un anno intero al distretto militare di Catanzaro.

Nella consunta retorica unitaria, il “fratelli d’Italia”, improvvisamente risuona con un un’altra voce. Le parole ritornano ad essere humus su cui piantare un nuovo significato, si accendono di una luce mai prima osservata, di una musica mai prima ascoltata.