Instabilità nella Libia post Gheddafi
In Libia in questo momento è stato eliminato un dittatore ma si stanno creando condizioni di cui potrebbero approfittare le forze islamiche estremistiche a totale danno della popolazione reduce da 42 anni di oscurità politica.
La Nato ha annunciato che il 31 ottobre finiranno le operazioni militari iniziate il 17 marzo contro la Libia in seguito alla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, votata per garantire la sicurezza e l’incolumità della popolazione libica minacciata dalla repressione di Gheddafi. La decisione dell’Onu è stata fin dall’inizio applicata con un largo margine interpretativo degli attori principali della Coalizione militare della Nato. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, infatti, dopo i primi attacchi a convogli e mezzi militari, hanno palesemente concentrato la loro azione sui possibili rifugi del Rais che di volta in volta venivano indicati come Centri di Comando e Controllo del regime. Più verosimilmente, invece, compaund attrezzati per ospitare Gheddafi in continuo spostamento per il timore di essere intercettato da un “missile intelligente” americano. Una concentrazione di sforzi, quella della Nato, evidentemente impegnata ad intercettare e colpire il Rais nonostante le quotidiane smentite dalla Coalizione anche se sul terreno venivano distrutti edifici e bunker al centro di Tripoli ma sfuggivano ai bombardamenti le rampe di lancio missilistiche e le truppe del Rais potevano seguitare a lanciare Scud contro Misurata e contro il naviglio Nato in navigazione nel Golfo della Sirte.
Il 21 ottobre Gheddafi è stato bloccato ed ucciso con modalità tutte da chiarire al punto che le stesse Nazioni Unite hanno sentito l’esigenza di aprire un’inchiesta. Nell’immediato si è parlato di un convoglio di autovetture civili dirette verso sud che è stato intercettato mentre percorreva il deserto libico. Uno dei mezzi trasportava Gheddafi ed era stato colpito da un missile sparato da un aereo francese o da un Predator americano. Attendibili agenzie di stampa precisavano gli eventi riportando dichiarazioni del Presidente francese Nicolas Sarkozy ed il Premier inglese Cameron che facevano a gara per attribuirsi la paternità nazionale di aver colpito Gheddafi. Sulla scena, quindi, al momento dei fatti erano sicuramente in volo velivoli militari della Nato come previsto dalla risoluzione 1973, ma con quasi certezza non orientati a difendere la popolazione civile ma a colpire un convoglio di automezzi che in quel momento non minacciava nemmeno il più povero pastore beduino che vigilava sul proprio gregge. Un attacco al suolo di aerei condotto in stretta aderenza ad un’azione di terra, come dimostrato dall’immediato intervento delle truppe del Cnt che poi hanno ucciso il Rais. Un’azione militare da manuale, con un attento coordinamento aereo e terrestre, che non può essere stata occasionale né tantomeno fortuita. Un rivoltoso non meglio identificato, comunque fuori del controllo dei comandanti dell’unità che ha preso parte all’azione, ha quindi giustiziato Gheddafi ferito, tappandogli la bocca per sempre. Una fine quella del Rais, che a prescindere da qualsiasi motivazione di natura umanitaria segue altre uccisioni eccellenti ricorrenti nella Storia a partire dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale. Vere e proprie eliminazioni di personaggi che seppure feroci dittatori o sanguinosi terroristi conclamati, sono stati giustiziati sul posto eliminando il rischio che potessero rivelare scomode verità.
L’ultimo omicidio, prima di quello di Gheddafi, l’uccisione di Bin Laden intercettato nella propria camera da letto dall’eccellenza delle truppe speciali statunitensi e per quanto noto inerme al momento dei fatti. Eventi che travalicano i contenuti delle Convenzioni Internazionali in tema di diritto umanitario e di salvaguardia dei feriti e dei prigionieri di guerra. Azioni che non possono essere proprie di chi fa della democrazia la sua Bandiera ideale e che sicuramente non concorrono ad abbattere la minaccia terroristica globale. La storia insegna che non è pagante trasformare il proprio nemico in vittima, e tantomeno non lo è se l’avversario fa parte di realtà culturali caratterizzate dal fanatismo e dall’estremismo anche religioso. Gheddafi era un dittatore, ma aveva tutto il diritto di difendersi di fronte ad un tribunale internazionale. L’averlo trucidato e non aver rispetto le regole dell’Islam che impongono la sepoltura entro le 24 ore dalla morte, non risolve il problema delle vicende libiche e potrebbe piuttosto alimentare vendette incrociate in una realtà socio culturale in cui l’appartenenza al clan e le regole tribali hanno un valore determinante. Non a caso Sirte, città natale di Gheddafi ha difeso il dittatore per settimane nonostante l’attacco del Cnt ed i bombardamenti della Nato. La tribù di appartenenza di Gheddafi, i Qaddafia, hanno già designato Sarif el Islam, il primogenito del Rais di cui non si conosce la sorte, successore di Gheddafi con il compito di cacciare dalla Libia “i ribelli della Nato”. Anche i Warfela e Magarha, altre importanti tribù libiche, hanno aderito all’iniziativa del clan di Sirte mentre a Tripoli il Comandante della Brigata dei ribelli che ha conquistato la città, Abdel Hakim Belhaj un islamico radicale protagonista della resistenza afgana e già militante talebano, già scalpita per ritagliarsi un ruolo importante nel futuro del Paese.