Candidoni, Cosoleto, Melicuccà, Santa Cristina d’Aspromonte, Scido, Serrata e Sappo Minulio appello per la sopravvivenza!

Hanno preso carta e penna i sindaci dei Comuni della Piana di Gioia Tauro interessati all’abolizione dei confini comunali in quanto con una popolazione inferiore ai mille abitanti. Marcello Aruta (Sindaco di Candidoni); Antonio Gioffrè (Sindaco di Cosoleto); Emanuele Oliveri (Sindaco di Melicuccà); Domenica Gangemi (Sindaco di Santa Cristina d’Aspromonte); Giuseppe Zampogna (Sindaco di Scido); Salvatore Vinci (Sindaco di Serrata); Salvatore Foti (Sindaco di Terranova Sappo Minulio). I sindaci si appellano ai parlamentari romani osservando che “l’Italia è costituita da  circa 8.100 comuni, la Germania da circa 12.000, la Francia circa 36.000 di cui il 90% sotto 2.000 abitanti, l’Austria da 2.357 con 8 milioni di abitanti; è chiaro quindi che il problema non sta’ nel numero dei comuni presenti in Italia, ma nella gestione politico-amministrativa-organizzativa e nello svolgimento delle funzioni in forma associata che probabilmente ha fallito nel sistema complessivo nazionale. La riforma in atto, tratta in maniera incredibilmente superficiale l’accorpamento dei comuni sotto i 1000 abitanti, senza chiarire se si tratti di fusione o di unione dei comuni, che sono due percorsi totalmente diversi e diversificati, o di tutt’altra cosa, non proprio oggi chiarita. Ma si giunge al ridicolo e all’offesa per i consiglieri comunali e gli assessori di piccoli comuni, se si pensa di sanare i conti pubblici con il taglio di queste “poltrone” che gravano per 15-20 euro lorde a seduta per 3-4 sedute di consiglio all’anno per i consiglieri comunali e di 90 euro lorde al mese  di indennità per un assessore (spesse volte lasciate nelle casse dei comuni o devolute in assistenza), che vengono indicati come uno dei piatti forti dei tagli ai costi della politica. Tra l’atro queste indennità non vengono spesso neppure percepite o che risultano ulteriormente dimezzate quando l’amministratore, come nella maggioranza dei casi per i piccoli comuni, è un lavoratore dipendente”. Per gli amministratori si tratta di un “taglio” che non produce benefici bensì arreca “disservizi”. “La loro vita nei piccoli Comuni è già messa a dura prova, asili nido, servizi scolastici, assistenza socio sanitaria, ospedali in “liquidazione” – osservano – uffici postali fantasma o a singhiozzo, tutto è ormai ridotto all’osso. Siamo pronti al confronto. Si apra un tavolo serio sull’intero sistema delle autonomie, per riforme attuabili e sensate, soprattutto utili ai cittadini. Ci si risparmi la farsa di operazioni improvvisate e magari dannose per le nostre comunità, nascoste dietro il vessillo dei finti tagli ai costi della politica. Fino ad oggi nessuno ha citato la progressione dei pesanti tagli ai trasferimenti che sono ulteriormente previsti e che si sommano a quelli di questi ultimi anni; siamo vicini al momento in cui i comuni dovranno chiudere non perché troppo piccoli, ma perché impossibilitati ad assolvere le loro funzioni, a garantire i servizi essenziali, a rafforzare la coesione socio-culturale con la possibilità di crescita e sviluppo per i cittadini, per le famiglie e per le realtà economiche territoriali. Quindi, questa cosiddetta “grande riforma di semplificazione”  rappresenterebbe solo il deserto per le politiche sociali e di sviluppo per la nostra gente, e soprattutto per le comunità dell’entroterra che rappresentano l’unica presenza dello stato”. “Vale la pena far scomparire circa 1.963 comuni che amministrano oltre un milione di persone e che rappresentano le sentinelle del 5% del territorio nazionale, soprattutto montano, a costi bassissimi? Vale la pena sopprimere amministrazioni comunali che costano ad oggi (nella peggiore delle ipotesi sopra prospettata) ad ogni cittadino amministrato 1,04 euro all’anno?”. I primi cittadini dei piccoli comuni concludono che “il risparmio reale del provvedimento per i cittadini sarebbe pari, al massimo, a 1.150.00 euro, uguale al costo annuo di due deputati e mezzo mentre, per i cittadini amministrati (1.100.000), il costo sarebbe pari ad euro 1,04 all’anno. Nel 2010 e nel 2011 il governo avrebbe potuto accorpare elezioni e referendum, risparmiando così 700 milioni di euro, vale a dire il costo di 35 anni di vita per le amministrazioni dei centri minori. Già l’idea di accorpare i comuni sotto i 1.000 abitanti al di fuori di un disegno organico di riforma degli enti locali appare molto discutibile, anche perché rischia di cancellare, per rimanere nella nostra regione, la storia e l’identità delle comunità calabresi in nome di un risparmio di costi della politica, che mai come in questo caso, invece, sono costi (o meglio investimenti) della democrazia. Tutti i consiglieri comunali dei 1.963 comuni italiani che verranno cancellati con la manovra, infatti, costano in un anno, di gettoni di presenza (quando li prendono e non li devolvono allo stesso comune) circa 1,5 milioni di euro: il ministero dell’attuazione del programma (presente soltanto in Italia …) ne costa oltre 5 volte di più: 8 milioni di euro. Pertanto chiediamo all’On. Presidente del Consiglio dei Ministri, Cav. Silvio Berlusconi, di volere rivedere il decreto legge n° 138 del 13 agosto 2011 modificando l’articolo 16 che limita la sopravvivenza dei comune al numero di abitanti (1000)”.