Bologna, ragazza pakistana tenta il suicidio per evitare il matrimonio combinato

Si alimenta ancora con la flebo, ma inizia a bere lentamente. È un lento ritorno alla vita quello di Nura (non è il suo vero nome), ragazza pachistana di sedici anni che ha tentato di uccidersi con l´acido muriatico per non subire l´imposizione del padre e del fratello. Loro volevano che sposasse un pachistano scelto da loro, ma Nura voleva un pachistano scelto da lei. È l´ennesimo episodio di sopraffazione dei maschi in una famiglia di questa nazionalità su una figlia “ribelle”, che in Italia ha conosciuto un diverso modo di vivere e non vuole sottostare alla tradizione tribale del suo Paese, che impone matrimoni combinati già in giovane età, in genere con un primo cugino, per mantenere uniti i beni del clan. Dopo Hina, di 20 anni, la ragazza di Brescia uccisa dal padre nel 2006 perché si vestiva all’occidentale e aveva il fidanzato italiano, dopo Nosheen, di 19 anni, che a Novi di Modena nell’ottobre scorso è sopravvissuta ad una strage familiare, in cui è morta la madre per proteggerla dai colpi del padre, questa volta una ragazza pachistana ancora minorenne ha cercato il suicidio perché non riusciva a sopportare più le angherie in famiglia. Nura, che vive attorno a Bologna, è stata ricoverata a fine giugno nel reparto Rianimazione del Policlinico Sant´Orsola. Per una decina di giorni è stata tra la vita e la morte. Il primario Stefano Faenza temeva che la sostanza caustica, oltre a danneggiare l´esofago e lo stomaco, potesse interessare anche il cuore e i vasi. Le hanno dovuto praticare una tracheotomia. Quando si è ripresa, Nura è stata trasferita al reparto Pediatria del professor Mario Lima, dove stanno cercando di riabilitarla, di recuperare la funzionalità dell´esofago accartocciato dall´acido senza dover ricorrere ad un’operazione. La ragazzina ha vicino solo la madre. Il Tribunale dei Minori, su richiesta del procuratore Ugo Pastore, ha allontanato d´urgenza padre e fratello dalla famiglia. Nessuno dei due può avvicinarsi a lei. Se lo facessero, verrebbero arrestati. Non hanno cercato di ucciderla, ma l´hanno indotta alla disperazione. Secondo la Procura dei Minori è sicuramente colpa loro se Nura ha cercato di togliersi la vita. La polizia, del resto, venne avvisata subito dal professor Faenza, perché dopo l´arrivo di Nura in ambulanza al Policlinico, si presentò in reparto un pachistano che diceva di essere il fratello, ma, mostrati i documenti, risultava avere un cognome diverso da quello della ragazzina. I medici si sono insospettiti e hanno capito che c´era qualcosa di sospetto in quella famiglia. Come nel caso di Hina e Nosheen, più grandi di Nura, per l´ennesima volta viene alla luce il conflitto profondo che travaglia le famiglie pachistane trapiantate in Italia. L´imposizione del matrimonio non dipende tanto dalla religione islamica, quanto da un tributo alla tradizione delle caste di origine indiana. Solo una settimana fa, a Bologna, si è saputo di un´altra ragazza pachistana segregata in casa per settimane. I casi si stanno diffondendo, perché emerge sempre di più la volontà delle ragazze di abbandonare la tradizione, dopo aver confrontato a scuola il proprio modo di vivere con quello più libero delle amiche italiane.