Gioia Tauro, Mct accoglie la richiesta di cassa integrazione a rotazione

Giornata decisiva per le sorti dei 467 lavoratori del Porto di Gioia Tauro. Da quanto emerge dalle prime informazioni, giunte dalla sede di Eurokay di Amburgo dove a discutere sulle sorti dei portuali dell’importante scalo calabrese sono stati Thomas Eckellmann e Cecilia Battistello insieme all’amministratore delegato di Mct , Domenico Bagalà e Marco Simonetti coordinatore dei terminal del gruppo Contship, la Mct sarebbe disponibile ad accogliere la richiesta della cassa integrazione e rotazione per alcuni settori aziendali. Il nodo da sciogliere è però la disponibilità delle organizzazioni a fare un passo indietro sulle richieste che invece, ritengono “non trattabili” e tra questi proprio l’applicazione della cassa integrazione straordinaria sul personale definito in esubero, sul quale invece l’azienda potrebbe dire di si. Il sindacato, infatti, ritiene che non sia corretto porre in cassa integrazione i dipendenti di Mct ed affidare parte del lavoro a ditte esterne giustificando con il minor costo rispetto ad una gestione diretta. Il sindacato è disposto a trattare però sull’alternanza mezzo-terra e l’organizzazione del lavoro a cominciare dalla maggiore produttività espressa con chiarezza dal management che vorrebbe ottenere dai lavoratori, livelli di carico e scarico dei container di almeno 30 pezzi all’ora. Ed infine un piano rilancio della società, che, attualmente, nessuno sa come possa essere programmato. Di certo c’è che la trattativa è dura ed i sindacati hanno già avvisato che il pacchetto di proposte deve essere visto nell’ottica di “prendere o lasciare” che si scontra con la visione possibilista emersa ad Amburgo che privilegerebbe la linea morbida. Nel mentre la politica continua ad interrogarsi sulle possibili strategie da adottare, l’intorno della Piana di Gioia Tauro è ancora una volta protagonista della cronaca criminale. Oltre 135.000 tonnellate di rifiuti pericolosi e tossici stoccati ed interrati illegalmente sono stati rinvenuti in agrumeto nella vicina San Calogero. Nel corso delle indagini, i militari della Compagnia di Vibo Valentia hanno ricostruito la filiera che ha determinato l’illecito stoccaggio ed il successivo interramento da cui è emerso il coinvolgimento di varie società, calabresi, pugliesi e siciliane, che si erano aggiudicate contratti per il trasporto, il recupero e lo smaltimento di fanghi altamente inquinanti e pericolosi di derivazione industriale composti da alte percentuali di nichel e vanadio, per importi di svariati milioni di euro, stipulati con una società nazionale leader nella produzione di energia elettrica. Due i tecnici della Provincia accusati di avere rilasciato autorizzazioni non conformi nei confronti della società sotto inchiesta, la “Fornace Tranquilla Srl”, il cui titolare, Giuseppe Romeo, arrestato nel novembre 2009, secondo l’accusa aveva attestato falsamente, insieme ad altri componenti l’organizzazione, il recupero mai avvenuto dei rifiuti pericolosi che, di volta in volta, venivano inviati a San Calogero e interrati a ridosso di coltivazioni ad agrumi. Un meccanismo posto in essere ai danni della salute pubblica, più economico per interrare le scorie pericolose risparmiando più di 18 milioni di euro, che sarebbero dovuti essere in realtà impiegati per effettuare il regolare smaltimento, in sicurezza, a termini di legge. Due notizie apparentemente disconnesse che evidenziano lo stato di “salute” dell’economia calabrese. Se da una parte si cerca di tutelare un lavoro onesto, dall’altra c’è chi lo offre senza scrupoli.