Processo per mafia per il Ministro dell’Agricoltura Saverio Romano

“Non intendo commentare un atto al quale la procura di Palermo è stata obbligata dopo 8 anni di indagini e due richieste di archiviazione. Continuo a non comprendere come non ci si scandalizzi di un corto circuito istituzionale e giudiziario che riguarda chi da un lato ha condotto le indagini e chi dall’altro le ha severamente sanzionate”. Così il Ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano, risponde in merito alle vicende giudiziarie che lo vedono coinvolto. Il ministro non ci sta. “Non posso fare una denuncia e subirne le conseguenza a capo chino”. Dopo la decisione del gip di respingere la proposta di archiviazione e chiedere l’imputazione coatta, la Procura di Palermo ha impiegato soli quattro giorni per depositare la richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa per il Ministro dell’Agricoltura Saverio Romano. Passaggio dovuto in attesa della fissazione dell’udienza preliminare nel corso della quale un gip diverso da quello che ha disposto l’imputazione coatta dovrà decidere se gli elementi in mano all’accusa sono tali da giustificare un processo. “Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale – scrivono i magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio – Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa, intrattenendo, anche al fine dell’acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell’organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella”. D’altronde le motivazioni utilizzate dal gip Giuliano Castiglia non erano certo di poco conto. Alla Procura che, per la seconda volta in otto anni, aveva finito con il chiedere l’archiviazione della posizione di Romano, il gip aveva replicato con un secco no ritenendo che Romano “per almeno due decenni ha mantenuto una condotta di consapevole apertura e disponibilità nei riguardi di esponenti anche di assoluto rilievo di Cosa nostra”. Secondo il vaglio del gip, dalle carte proposte dalla Procura emerge “un quadro preoccupante di evidente contiguità con le famiglie mafiose”. Di più: le condotte del ministro ” non appaiono arrestarsi alla soglia della contiguità dell’indagato al sistema mafioso ma rappresentano una perdurante consapevole e interessata apertura verso componenti di primaria importanza dell’organizzazione mafiosa che si è ripetutamente tradotta e concretizzata in specifici, consapevoli e volontari contributi rilevanti per la vita di Cosa nostra”. Tra i fatti specifici ai quali il gip dà rilevanza l’appoggio che, così come l’ex governatore Cuffaro in carcere dopo la condanna a 7 anni, anche Romano avrebbe dato alle candidature alle Regionali del 2001 di uomini sponsorizzati dai capi di Cosa nostra, da Mimmo Miceli a Giuseppe Acanto, la visita all’allora boss poi diventato pentito Angelo Siino per chiedere sostegno elettorale, e soprattutto i suoi rapporti con la famiglia mafiosa di Villabate, testimoniati anche dal pentito Francesco Campanella.  E infatti, nella richiesta oggi depositata, il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e il sostituto Nino Di Matteo affermano che il ministro “avrebbe messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell’organizzazione tendente all’acquisizione di poteri di influenza sull’operato di organismi politici e amministrativi”.