Vincenzo, a Gioia Tauro ora si spara nel mucchio in mezzo alla gente

Un gran lavoro per gli agenti della Polizia di Stato di Gioia Tauro, diretta dal vice questore aggiunto Francesco Rattà. In sinergìa con i Carabinieri della locale compagnia diretta dal capitano Ivan Borraccia, coadiuvato dal tenente Ceccagnoli. Uomini valorosi da sempre impegnati in un territorio difficile: la Piana di Gioia Tauro. I militari di stanza nel Reggino dovranno ora farsi carico di un lavoro doppio: investigare per fare chiarezza e controllare di più il territorio per prevenire risposte. Giovedì a Rosarno il killer entrato in azione poco prima delle ore 08:00, in contrada “Carozzo” ha assassinato, Francesco Giovinazzo, il cognato dei Pesce; un bracciante agricolo di 31 anni, ex sorvegliato speciale, arrestato il 29 aprile 2010, nell’ambito dell’operazione della Dda di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Capo della repubblica, Giuseppe Pignatone, “All Inside”, che viveva coi genitori in via Tiberio. Nonostante la presenza, sul posto del mortale agguato, di un minore, che ha dato l’allarme con il telefonino. Il sicario, era bene informato sulle abitudini della vittima designata. E soprattutto del fatto, che stavolta non indossasse il giubbotto antiproiettile, come l’altra volta, quando riuscì a scamparla. Delle indagini si sta occupando il Pm di turno, Giulia Pantano, che si muove sotto le direttive del procuratore capo della Repubblica, Giuseppe Creazzo. In attesa che il dossier scivoli verso il tavolo della Dda di Reggio Calabria. Per la zona tirrenica si occupa il procuratore aggiunto Michele Prestipino Giarritta, coordinato dal procuratore Pignatone. E venerdì a Gioia Tauro. Al centro dell’attenzione, due casati di mafia notoriamente ricchi e potenti. Fra i più prestigiosi della “Provincia”; l’organo supremo di autogoverno della ‘ndrangheta. Piromalli e Pesce, che per almeno mezzo secolo, hanno controllato (attraverso le alleanze, federazioni, patti di non belligeranza, coalizioni ed intese) la sterminata Piana di Gioia Tauro. “Don Mommo” e “don” Peppino, affiliati nell’Onorata Società sino agli “Anni Settanta”, poi transitati attraverso “Cosa Nuova e La Santa”, nella ‘ndrangheta. Si passava dalla mafia rurale, ortolana, contadina e giardinara, fatta di guardianie, abigeati, furti di raccolti, di cavalli, asini, muli, mucche, pecore, capre, maiali, polli, arance, mandarini, mele, olive trattori, motocarri, autocarri e strumenti e mezzi idonei per i lavori in agricoltura, ed in ultimo il traffico delle sigarette; le famigerate “bionde”, alla mafia urbana e cittadina, comunque collegata con la prima. Appalti e sub appalti sui cantieri dell’autostrada, della superstrada, delle pedemontane, della trasversali, porti, aeroporti, scuole, palestre, piscine, stadi, rete idrica e fognante. Ed in seguito anche traffico di armi, droga, preziosi, uranio, tritolo, rifiuti, sequestro di persona a scopo estorsivo, racket delle estorsioni, scommesse clandestine, truffe all’Aima ed alla Ue, mafia degli sbarchi clandestini, cosiddetti boat-people. Sino al controllo asfissiante del territorio, dove la ‘ndrina principale spadroneggiava e la secondaria, si beccava gli spiccioli. Salvo poi, con il crescere degli appetiti, ma soprattutto dell’arroganza, della prepotenza e della tracotanza, arrivare alle famigerate faide per il potere fra due o più clan in guerra. Per il controllo delle attività lecite ed illecite. A dire il vero gli equilibri erano saltati da tempo, perché la spartizione degl’introiti e del territorio, non soddisfava più le tante, tantissime bocche, che si moltiplicavano come i pani ed i pesci biblici. L’incrocio di matrimoni d’interesse poi, aveva completato l’opera. Sul luogo del mortale agguato sono giunti Polizia di Stato e Carabinieri dei presidi gioiesi. La zona è stata presa d’assalto dai viandanti, ma anche dai curiosi, parenti, amici e conoscenti. Non è stato facile recingere la zona con il nastro biancorosso, per consentire alla Scientifica di effettuare i rilievi. In mezzo al capannello, come tutti sanno, ci sono anche le vedettes, che devono segnalare ogni cosa, a chi di dovere. Dei tanti testimoni, non se ne cava un bel niente. Nemmeno una segnalazione in forma anonima. Tutto deve gravare sulla spalle delle forze di polizia. Vincenzo Priolo non aveva precedenti penali, ma era noto alle forze dell’ordine. Non ha sortito effetto alcuno la retata operata da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, intorno al vasto comprensorio di Gioia Tauro. Alla ricerca dell’esecutore materiale del delitto. Per risalire al movente ed all’eventuale mandante. Controlli domiciliari dei pregiudicati della zona, loro alibi orario e stub, non pare abbiano sortito l’effetto sperato. Nessun pesciolino è cascato nella retata. Priolo, indagato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, nell’ambito dell’operazione contro le ‘ndrine gioiesi chiamata convenzionalmente “Cent’Anni di Storia”, si era presentato, accompagnato dal proprio avvocato, presso gli uffici della Squadra Mobile, guidata dal primo dirigente Renato Cortese. Con l’omicidio di Vincenzo Priolo, salgono a tre, i delitti commessi in Calabria in due giorni. Giovedì Francesco Torcasio, a Lamezia Terme e Francesco Giovinazzo a Rosarno. Tutti giovani. Torcasio, di soli 20 anni. Oggi verrà effettuata l’autopsia sul corpo della vittima, a cura del perito settore, incaricato dal tribunale. Poi la salma verrà restituita alla famiglia, per la celebrazione dei funerali e la sepoltura, che avverrà in forma pubblica a Gioia Tauro. Salvo diversa decisione del questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona, che la motiverebbe con ragioni di ordine pubblico e sicurezza. Di ipotesi investigative se ne possono fare a iosa. Tuttavia le modalità dell’esecuzione, non lasciano molti dubbi. I killers hanno eseguito vere e proprie sentenze di mafia. Ed allora non è difficile immaginare quale sarà lo scenario. Si comincia con le faide, che sfoceranno nella più vasta guerra di mafia. I capobastone sono tutti in galera, al soggiorno obbligato, (alternativa agli arresti domiciliari, all’obbligo di firma ed alla libertà vigilata) od al cimitero. A prescindere dai pentiti o collaboratori di Giustizia. Ma anche buona parte della nomenclatura mafiosa di secondo piano è dietro le sbarre. C’è quindi la necessità di trovare nuovi equilibri, che non si conquistano con le belle parole. Nuovi assetti territoriali e lievitazione della “dote” dello ‘ndranghetista. In attesa che i mammasantissima escano dal carcere e rivendichino il loro spazio, così faticosamente conquistato in anni di gavetta sulla prima linea; o da una casa circondariale all’altra. Benché niente sarà come prima. Oggi si spara addirittura nel mucchio, in mezzo alla gente, di giorno. Il segno dei tempi che cambiano. La politica si è mossa, condannando la violenza. Ora tocca allo Stato ed alle sue emanazioni.