Il destino dei portuali è segnato, il Porto di Gioia Tauro non è strategico per il Governo

La Calabria non rientra nei piani di sviluppo industriale del Governo nazionale. Basta valutare il silenzio dei media nazionali, tranne qualcuno come il nostro, sul caso Gioia Tauro. Oggi è in corso una delle partite più importanti per l’economia del Sud Italia degli ultimi anni. A Roma, governo, Regione Calabria, sindacati e il colosso Medcenter container transhipment (Mct) sono seduti per discutere del futuro di centinaia di lavoratori del porto di Gioia Tauro. Sul tappeto c’è la discussione sui 467 lavoratori che la multinazionale intende mettere in mobilità. Una partita enorme, per la Calabria, una vertenza che riguarda quasi il 50% della forza lavoro del maggiore scalo portuale del Mediterraneo per la movimentazione container. (412 operai, 53 impiegati e due dirigenti), E la politica nazionale, sulle cui scelte pesa come un macigno la posizione della Lega, che orienta gli investimenti verso i porti del Nord (vedi l’ultimo decreto Milleproroghe) lasciando per Gioia Tauro le briciole, è riuscita in sostanza solo a strappare una tregua di 13 giorni. Se i numeri di Gioia Tauro sono minori rispetto a quelli di Termini Imerese o Pomigliano, per esempio, la messa in mobilità di 467 lavoratori rappresenta, in realtà, una vera e propria tragedia per un territorio come quello della provincia di Reggio Calabria, da sempre affamato di lavoro. Per capire il dramma che si sta consumando a Gioia Tauro basta citare un dato: il 50% del Pil derivante da investimenti privati nella regione proviene dallo scalo portuale. Facile capire che un lento declino dell’unica vera industria calabrese significherebbe non solo la perdita del posto di lavoro per i portuali di Mct, ma a quel punto sarebbero a rischio almeno un migliaio impiegati delle aziende dell’indotto del “sistema porto”. Il paradosso è che mentre da una parte le imprese del retroporto chiudevano (nessuna delle quali tra l’altro aveva attinenza con il business portuale), e le truffe cominciavano a palesarsi, si continuavano ad aprire aree industriali (arrivate alla fine a tre) finendo col distruggere quel poco di agrumicoltura che in quella zona era rimasta. La prima nave di una compagnia marittima belga arrivò a Gioia Tauro il 17 settembre del 1995. La movimentazione di container cominciò a crescere in maniera costante, sino agli oltre 3 milioni del 2008. Paradossalmente nello stesso anno del record, il gruppo Contship ottenne i finanziamenti della Regione Sardegna e investì sul porto di Cagliari, dirottando in un sol colpo 5 linee della Grand Alliance. Il porto andò in crisi, e nel 2010 scattò la cassa integrazione. Ben dieci anni prima, invece, c’era stato un altro abbandono, importante per capire le dinamiche aziendali odierne. Nel ’97 lo scalo perse il primo grosso cliente, l’Evergreen di Taiwan. L’armatore voleva entrare nella banchina, ma non riuscendoci, si spostò su Taranto. Oggi, lo stesso braccio di ferro va avanti con l’armatore svizzero Msc, rimasto l’unico cliente dopo l’abbandono del colosso danese Maersk, defezione che ha dato il via all’ultima crisi e alla richiesta di mobilità dei 467 dipendenti. Mct continua a gestire in regime di monopolio 3 chilometri di banchina. Il tutto senza alcun bando, con una concessione cinquantennale dell’autorità portuale e come unico vincolo il mantenimento di certi livelli occupazionali (600 lavoratori). Da quindici anni si parla di logistica e lavorazione merci, per creare maggiore economia sul territorio, ma in realtà lo scalo è stato relegato a struttura di transhipment. Dal porto non arrivano ricadute per il territorio perché le merci passano da una nave all’altra e nulla resta in Calabria per essere lavorato. Ben tre zone industriali, gestite dalla struttura regionale Asi (Area di sviluppo industriale), restano in realtà deserte, tanto che ancora oggi non esistono i collegamenti fax o adsl e, in alcune zone, persino le fogne. Nel 2010 venne firmato l’accordo di programma quadro e stanziati 462 milioni per la logistica e Mct, dopo 16 anni si ricorda che a Gioia Tauro c’è il retroporto e batte ancora cassa chiedendo 55 milioni di euro per nuovi investimenti. Ma se i container non arriveranno più qui, cosa si lavorerà nel retroporto?