Terrorismo, la nuova minaccia viene dall’Africa

Molti analisti concordano sulla certezza che Al Qaeda stia organizzando “strutture operative dormienti” nella fascia occidentale del Continente africano. Senegal, Guinea Bissau, Mali, Nigeria, Niger e Togo sono le aree dove è più elevata la probabilità di un futuro radicamento eversivo pronto ad impegnarsi in una futura jihad mondiale estesa, anche, a quei paesi arabi che, sulla scia di ritrovate democrazie, intendono avvicinarsi all’Occidente, superando le divisioni religiose e culturali. Nuove strutture pronte ad attivare un network operativo con i gruppi terroristici già presenti da tempo nel Corno d’Africa, attestati sulle sponde del Golfo di Aden ed in collegamento con i quaedisti in Yemen. La presenza in Africa di importanti esponenti di Al Qaeda è confermata da fatti recentissimi, come la morte di Fazul Abdullah Mohammed, ucciso casualmente ad un posto di blocco in Somalia, nei pressi di Mogadiscio. Fazul, responsabile degli attentati del 1998 in Kenia ed in Tanzania nonché finanziatore ed addestratore dei gruppi eversivi di Al Shabaab i miliziani islamici fedeli ad Al Qaeda, era uno dei terroristi più ricercati al mondo. A lui, lo stesso Osama Bib Laden avrebbe affidato il compito di organizzare strutture terroristiche in Africa Orientale. Dall’altra parte del Golfo di Aden, a Sanha nello Yemen, la situazione è ormai fuori controllo, nonostante che USA ed Arabia Saudita stiano cercando di evitare una possibile crisi che potrebbe trasformare la Regione in un altro Afghanistan. In Siria, sulle sponde orientali del Mediterraneo, la situazione sta precipitando e certamente non sarà risolta attraverso l’inconsistenza delle sanzioni internazionali. Rivendicazioni di democrazia per lo più derivate dalla “primavera araba” che si è presentata sulle sponde del Mediterraneo e che, seppure da molti guardata con la massima simpatia, potrebbe, invece, trasformarsi in un boomerang per chi, come l’Europa, si affaccia sul “Mare Nostrum”. L’inerzia dell’ONU e dell’Unione Europea, certamente non favoriscono l’evolvere costruttivo della situazione in quanto sembrano prediligere soluzioni estemporanee, spesso improvvise ed affrettate. Non in ultimo l’accordo raggiunto in occasione del recente G8 con cui i Paesi Membri si sono impegnati ad aiutare economicamente le nuove democrazie emergenti sulle rive del Mediterraneo. Una cambiale a favore di utenti finali ancora non ben configurati e che potrebbero essere rappresentati, invece, da nuove realtà politiche destinate ad allargare la forbice delle incomprensioni fra Occidente ed Islam. Contrasti che subito, dopo l’estate, potrebbero presentarsi come un vero e proprio “ritorno di fiamma” attraverso ulteriori rivendicazioni, se le aspettative della gente saranno ancora una volta illuse. Le popolazioni islamiche sul Mediterraneo potrebbero, infatti, manifestare di nuovo la loro frustrazione e lasciare spazio ad iniziative eversive destinate quasi sicuramente a sfociare in un vero e proprio confronto armato destinato a dilagare fra l’Africa del nord, la zona sub sahariana ed il Corno d’Africa. Una serie di eventi estremi in cui potrebbero essere impegnati i giovani pronti a sacrificarsi immolandosi, (Shahid – martiri), perchè sconcertati dal mancato rispetto delle promesse di facile democrazia. Giovani che hanno avuto pochissimo dalla vita e sono amareggiati per non essere riusciti a ottenere risultati significativi per la patria e la famiglia. Costoro, potrebbero individuare nel “paradiso di Allah” una ricompensa idealistica di tutta soddisfazione. Se ciò avvenisse, Al Qaeda ed i gruppi terroristici ad essa collegati avrebbero realizzato il loro disegno strategico di espandersi in Africa per controllare consistenti risorse energetiche e di materie prime destinate all’Occidente. L’Europa ed Israele sarebbero le prime realtà occidentali a subire le conseguenze della nuova ondata di terrorismo globale. Qualcosa è, già in fermento. In questi giorni il SITE, il centro americano di monitoraggio dei siti islamici, ha riferito che dopo la morte di Osama Bin Laden i musulmani che vivono in Occidente sono stati chiamati alla jihad in “territorio nemico”. Nel video intitolato “siete responsabili di voi stessi” prodotto da As-Sahah, il braccio mediatico di Al Qaeda, compare l’egiziano Al Zawahiri che invoca la guerra santa. Nello stesso video, l’americano Adam Gadaham, portavoce del network, afferma, fra l’altro, che gli islamici residenti in Occidente, “sono nella condizione perfetta per svolgere un ruolo decisivo nella jihad contro i sionisti ed i crociati”. Aggiunge, “è importante che costoro colpiscano gli istinti bellicosi dei nostri sporchi nemici prendendo di mira personalità pubbliche, influenti nell’ambito dei media, dei governi e delle economie sioniste e crociate”. Esistono, quindi, tutti i presupposti perchè cellule dormienti sparse nel mondo rivitalizzino il ruolo eversivo di Al Qaeda, riannodando le maglie della sua rete da tempo strutturata nel mondo, riproponendo una minaccia terroristica allargata destinata a favorire su scala mondiale lo scontro fra civiltà. Un motivo riscatto della tradizione coranica da parte degli integralisti, per cancellare il decadimento della cultura araba e musulmana provocato dalle ingerenze occidentali e che potrebbe partire dal controllo di Al Qaeda di importanti aree geografiche africane, dall’Atlantico al Mediterraneo. Le alleanze eversive, peraltro, sono in continuo aumento con gente di Al Qaeda che hanno ormai raggiunto anche il sud del Libano, dove sono attivi nuovi gruppi fondamentalisti, che trovano facile copertura nei campi profughi palestinesi, come quello di Ain El Hilweh, vicino a Sidone. Anche i segnali che arrivano dalle aree islamiche che si affacciano sul Mediterraneo e che per prime hanno ospitato la primavera araba, non sono incoraggianti. L’Egitto del dopo Mubarak apre il valico di Rafat strizzando l’occhio ad Hamas e, contemporaneamente, permette il passaggio di Suez a navi da guerra iraniane dirette verso il Mediterraneo. La Tunisia priva di risorse economiche si affida agli aiuti internazionali scegliendo i partner privilegiati solo sulla scia dei ritorni economici. La Libia, ora sconvolta dalla guerra civile è quanto prima destinata a cambiamenti il cui esito, allo stato attuale, è difficile prevedere. In Somalia non esiste un Governo operativo e domina la pirateria contro il naviglio commerciale occidentale diretto verso il Mediterraneo. Obama e l’Europa osservano e scelgono la strada degli aiuti economici, sicuramente più facile e demagogica rispetto ad una seria e costruttiva azione di politica estera. Forse opportuni per ricomperare le antiche alleanze messe in discussione dalla caduta di Mubarak e di Ben Ali’ e per accattivarsi la fiducia dei nuovi regimi. Nel frattempo l’Arabia Saudita, autonomamente, si sta impegnando ad avviare una grande alleanza mussulmana, coinvolgendo Pakistan, Indocina, Malesia e gli Stati islamici dell’Asia Orientale. Una situazione in continua evoluzione che potrebbe allargare a tutto il Nord Africa lo stato di conflittualità che ora gravita in Afghanistan in Iraq ed in Palestina. Non è lontano il rischio di una escalation globale che gravitando sul Mediterraneo potrebbe coinvolgere la Siria, il Libano, l’Iran, la Somalia. Se ciò avvenisse, non saranno determinanti gli aiuti economici, ma un concreto e costruttivo impegno occidentale a sviluppare azioni di Capacity Building per favorire le nuove generazioni islamiche che intendono partecipare alla stabilità democratica del mondo, riconsegnando al Mediterraneo il ruolo di collettore della stabilità internazionale.

Fernando Termentini