Bologna, 4 arresti per doping ai ragazzini

Atleti – anche minorenni – dopati per migliorare le loro prestazioni. In un sistema che coinvolgerebbe anche il mondo del calcio professionistico, in particolare un giocatore e un preparatore atletico del Rimini, squadra di serie B. Si chiama “Anabolandia” l’operazione dei carabinieri del Nas di Bologna che ha portato a quattro arresti e all’iscrizione di 54 persone nel registro degli indagati. Sei le sei misure cautelari disposte – in Emilia-Romagna, Lombardia e Marche – dal gip del tribunale di Rimini nei confronti di quella che viene ritenuta un’associazione per delinquere finalizzata a favorire appunto la prescrizione, l’approvvigionamento e l’assunzione di farmaci dopanti. Tra i destinatari delle misure c’è un medico sportivo di Rimini, che secondo l’accusa prescriveva e procacciava “doping” ad atleti, professionisti e non, anche minorenni, del calcio, basket, atletica leggera, ciclismo, triathlon, pattinaggio, tennis. Altri tre sono dirigenti e informatori scientifici di una nota azienda farmaceutica lombarda, che avrebbero assicurato la fornitura dei farmaci dopanti a un prezzo scontato e la consegna agli assuntori di una speciale strumentazione necessaria per la somministrazione. Secondo le indagini, sarebbero complici del sistema anche preparatori atletici e addirittura genitori di ragazzi minorenni. Ma nell’inchiesta emerge anche il coinvolgimento del mondo del calcio. “Se gli metti mano all’ormone questi giocano da serie A», diceva il medico sportivo Vittorio Emanuele Bianchi, attorno a cui ruota l’operazione “Anabolandia”, a Danilo Chiodi, preparatore atletico del Rimini Calcio, nel 2009, a ridosso della decisive partite dei playout di serie B che i romagnoli giocarono contro l’Ancona (che alla fine, comunque, battè i romagnoli). Chiodi – dice il gip nell’ordinanza – per “alterare fraudolentemente le prestazioni agonistiche degli atleti» della sua squadra contattava il medico concordando il “trattamento” di tre atleti con Gonasi 5000 (un prodotto che stimola il corpo alla produzione di testosterone, quindi senza immissione dall’esterno) ed emotrasfusioni con ozono. Il primo contatto è datato 3 giugno 2009, il 6 si doveva giocare la gara di andata ad Ancona. Il 4 andò dal medico il giocatore Emiliano Milone (poi passato allo Spezia calcio, squadra che ha lasciato nel marzo scorso dopo un infortunio al ginocchio) per farsi fare una emotrasfusione con ozonoterapia, pratica dopante. Bianchi poi nella stessa occasione prescrisse, mettendo un nome di fantasia sulle ricetta, Eprex, cioè epo, e Gonasi. In una conversazione intercettata tra i due il medico spiegava che «l’epo è fondamentale». Al giocatore preoccupato dei controlli antidoping sangue-urine dei playout, Bianchi garantì: “Con queste terapie non ci sono tracce». Eprex e Gonasi vennero poi presi in farmacia dallo stesso dottor Bianchi che poi li consegnò a Milone. Il tutto è avvenuto sotto gli occhi degli investigatori del Nas, che filmarono e fotografarono la scena. Dopo la partita di andata, giocata ad Ancona e finita 1-1, il preparatore del Rimini contattò di nuovo il medico, sempre ascoltato dagli investigatori. Bianchi spiegò che si sarebbe assentato per qualche giorno ma garantì che l’ossigeno-ozonoterapia sarebbe stata praticata da un infermiere di sua fiducia. Così il 12 giugno l’infermiere fece la terapia a Milone. Nonostante tutto, però, il 13 il Rimini venne sconfitto dall’Ancona 1-0 in casa e fu retrocesso. I contatti continuarono a luglio nella fase di preparazione per il campionato successivo. Così Milone tornò nello studio di Bianchi e gli venne prescritta l’assunzione di due confezioni di Gonasi e tre confezioni di Omnitrope, ormone della crescita. E nell’occasione Bianchi rassicurò il giocatore sulla non rintracciabilità dell’ormone della crescita nei test antidoping. Con Milone andò anche un altro calciatore, al quale però non vennero prescritti prodotti dopanti. Milone, Chiodi e l’infermiere sono indagati con Bianchi in base alla legge antidoping e per falso ideologico in certificati commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità.