Cannes amara per l’Italia

Sessantaquattresima edizione del Festival di Cannes “anonima” per l’Italia. Vince così la Palma d’oro il regista metafisico Terrence Malick che con “The Tree of Life” aveva portato a Cannes i misteri della vita, l’idea stessa che siamo tutti in un grande universo di cui sappiamo davvero troppo poco. Un po’ lo stesso clima da fine del mondo che c’era anche in quel capolavoro che è “Melancholia” di Lars Von Trier che la giura non ha potuto coraggiosamente non premiare trasversalmente, dopo le parole sbagliate del regista danese su Israele e Hitler, dando a Kirsten Dunst il premio come miglior attrice. Ma oltre la paura, Cannes premia appunto anche la speranza e la poesia. Fa vincere così tutta la grande speranza che c’é nel film dei Dardenne “Il ragazzo con la bicicletta”, dove un tredicenne pinocchietto si redime quando trova, in una madre non biologica, quell’amore che il padre non gli sa dare. E premia tutta la poesia invece che c’é in “Once Upon A Time in Anatolia” del regista turco Nuri Bilge Ceylan che vince il Gran Prix ex aequo con i Dardenne. Il regista ha portato sulla croisette la storia grottesca, buia e lenta, di una indagine di polizia tra le montagne dell’Anatolia alla ricerca di un cadavere con dentro un’altra storia, quella del dubbio di un procuratore per la morte, troppo prevista e annunciata, della sua amata moglie. Con la disinvoltura di un grande Festival, Cannes premia poi come miglior attore lo straordinario Jean Dujardin, un volto antico e perfetto per interpretare la vanitosa star del cinema muto che è costretta a scendere dal suo piedistallo quando, da un momento all’altro, l’avvento del sonoro cambia tutto. Stiamo parlando di The Artist di Michel Hazanavicius, un film bianco e nero e muto che ha divertito tutti. E coraggio ci è voluto anche a premiare in un’edizione che ha sempre volato alto un film para tarantiniano come Drive, tanto ritmo, musica, auto e sangue. E che ha come armi, martello, chiodi e forchette. E l’Italia? Aveva due bei film in concorso come quello di Paolo Sorrentino (This Must Be The Place) e quello di Nanni Moretti (Habemus Papam) anche in tema con lo spirito di questa edizione e molto apprezzati dai critici francesi e anglosassoni. Peccato. Non sono stati fortunati, o forse ha pesato anche l’assenza del giurato italiano…