Il leggendario Capitano Fondacaro

All’inizio del 1879 tre marinai italiani, il capitano Vincenzo Fondacaro di Bagnara Calabra (di cui a Gioia Tauro vivono ancora i discendenti) e i marinai Orlando Grassoni di Ancona e di Pietro Troccoli di Camerata, si ritrovano a Montevideo. Sono tutti compagni nella lacerante condizione di emigranti e di marinai che da sempre si imbarcano su navi di tutti i paesi. Nella grande comunità italiana locale la nostalgia della patria è grande e la figura di Garibaldi, che aveva vissuto in Uruguay, costituisce un simbolo di grande significato, per cui alla barca che riescono a costruire in loco dal cantiere di Luigi Briasco, con l’aiuto di molti sottoscrittori, viene dato un nome – Il Leone di Caprera – riferito al mito dell’ eroe dei due mondi, figura che negli anni giovanili Fondacaro aveva anche incontrato. Il ragazzo di Bagnara è emigrato giovane, a 17 anni, in Inghilterra e inizia lì la sua carriera di marinaio che lo porterà in tutti gli scali del mondo ( ” man mano che io crescevo negli anni, mi sentivo invaso da una grande passione per visitare il mondo … ” ). Quello che caratterizza il suo sodalizio col mare è che oltre a navigarvi per professione ( è capitano di lungo corso dal 1876) dedica anche del tempo a praticare la navigazione per puro piacere e così nel primo incontro a New York nel 1874 con l’anconetano Orlando Grassoni nasce il progetto di una piccola barca a vela con la quale attraversare l’oceano unendo il continente americano all’Italia. Lo stesso Fondacaro progetta una goletta lunga fuoritutto 9 metri, larga alla massimo 2,3 con una stazza di 3 tonnellate, dotata di due alberi abbattibili lunghi 4.5 metri ciascuno e l’impresa che ne segue prendere il via da Montevideo dove vengono reperiti i fondi (20.000 lire ) per costruirla . Le vicende del periodo impiegato nella costruzione non sono poche e Fondacaro prima di poter partire per il viaggio rischia più volte di vedere sfumare il suo sogno tutto per colpa dei creditori ai quali via via ha dovuto aggrapparsi per finire il battello. Finalmente il 3 ottobre 1880 il Leone di Caprera è pronto ad affrontare l’oceano dopo avere caricato le ultime provviste e messo a punto di strumenti di navigazione (una bussola, un barometro, un sestante ). Che cosa aveva imbarcato il capitano Fondacaro per un viaggio della durata presunta di 100 giorni? Galletta, carne in conserva e uova per un totale di 160 kg; poi alcune galline vive, 40 litri di vino , qualche bottiglia di liquore e un recipiente per raccogliere 1000 litri di acqua piovana. Infine una grande quantità d’olio, poiché l’avventuriero de il Leone di Caprera lo riteneva il migliore toccasana in caso di burrasca, quando veniva filato in mare facendolo fuoriuscire da un sacco di canovaccio. Il liquido usciva lentamente dalla tela e attorno alla barca le acque si calmavano, in altre parole l’olio impediva il formarsi di frangenti. Un sacco col suo contenuto poteva durare 24 ore . Il battello imbarcava 100 litri di olio che venne impiegato varie volte tanto da far dire a Fondacaro che il viaggio si era potuto realizzare proprio per i risultati che questo metodo di operare sulle onde aveva dato. Ma naturalmente, pur rispettando le opinioni del protagonista dell’impresa, il ricorso all’olio, che pur si ritrova nelle antiche esperienze dei balenieri dell’America meridionale e delle Azzorre, non può assumere importanza che Fondacaro ha voluto dargli. Ben altre sono le esperienze fatte dai navigatori moderni in fatto di navigazione in alto mare, e a questo proposito anche l’ “ancora galleggiante” usata parecchie volte dai nostri tre navigatori . Così equipaggiato il Leone di Caprera si allontana nell’oceano ed inizia la lunga traversata che permette subito all’equipaggio di sperimentare l’efficienza di un’ancora galleggiante progettata dallo stesso Fondacaro e di utilizzare l’olio per calmare le acque intorno al battello. Proseguendo il viaggio altre emozioni si hanno nella prima quindicina di ottobre, quando la barca rischia di capovolgersi; ma dopo essere rimasta breve periodo con l’albero in acqua, ritorna in assetto e prosegue (e così capiterà altre volte). I tre a bordo sono soprattutto buoni marinai e anche se la barca risulta molto lenta nelle andature controvento, realizzano sempre una navigazione corretta e affrontano le molte traversie di questo viaggio con grande rassegnazione. Una delle cose che più colpisce nel libro che Fondacaro scrisse successivamente, è la continua successione di incontri con grandi navi a vela e con qualche raro bastimento a vapore che viene fatta dal Leone di Caprera. L’abitudine dei comandanti di quell’epoca di fermarsi spesso in occasione di questi incontri, era il miglior mezzo per far giungere notizie a terra; e di conseguenza di questa piccola barca ce stava affrontando l’oceano già se ne parlava in parecchi paesi. La navigazione avviene inizialmente con venti da sud e successivamente dopo l’equatore da nord est e sono a favore anche le correnti del Brasile, l’Equatoriale, della Guinea e delle Canarie. Il 24 novembre, circa sessanta giorni dalla partenza, la goletta passa l’ equatore tagliandolo all’altezza del 22esimo meridiano ovest. La nuova situazione dei venti da nord-est si consolida verso natale, una data che viene ricordata dai tre naviganti perché trascorsa lottando col mare e con successive burrasche, mentre le coste dell’Africa sono vicine e si intravede già il golfo del Senegal. Il battello finalmente riesce ad atterrare alle Canarie ed entrare a Las Palmas per rifornimenti: i navigatori, duramente provati e in stato di semi incoscienza, vengono accolti da una popolazione incuriosita per la eccezionalità dell’impresa e da autorità locali molto disponibili. La notizia dell’avvenuta traversata viene rilanciata da alcune agenzie di stampa e compare anche sui giornali italiani. Il 15 gennaio il Leone di Caprera riparte diretto a Gibilterra dove il 23 gennaio termina la parte di reale interesse marinaresco rispetto dell’impresa. Da notare che, proprio durante la traversata dello stretto, Fondacaro ancora una volta ricorre al sacco d’olio per difendersi dalle onde che nel suo libro descrivere dettagliatamente questo sistema per uscire senza danno dalla tempesta. Il viaggio sino a Gibilterra è durato 116 giorni, comprendendovi anche gli scali. Il Leone di Caprera aveva faticato non poco a risalire , facendo registrare una media di 4 nodi e mezzo sulle 5.000 miglia compiute in 90 giorni effettivi. L’ interesse per l’impresa del Leone di Caprera sta non tanto nella data in cui è avvenuta, anche se trova una giusta collocazione cronologica come primo viaggio atlantico ” di piacere ” fatto da una imbarcazione a vela italiana, ma nelle motivazioni per cui essa si è realizzata, non ultima quella che potesse ricordare l’impresa di Colombo. Era in fondo la scelta coraggiosa e caparbia di un comandante e di due suoi marinai, lontani dalla propria terra, di ritornarvi famosi e riconosciuti.  Il  cimelio de il “Leone di Caprera”, dopo il restauro conservativo museale realizzato da Arie di Livorno. Per le celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, è attualmente esposto al pubblico nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele in Largo Cairoli a Milano sotto al monumento dedicato a Giuseppe Garibaldi.

Pasquale Patamia