La convenzione di Lisbona: un rinascimento europeo

Università Popolare di Milano

Scrivere della Convenzione di Lisbona, per la nostra Università, è insieme un piacere ed un onore. Piacere perché questa è una convenzione che non solo abbiamo atteso con grande speranza, e onore perché riteniamo, anche con una certa enfasi, che sia la carta dell’Unione Europea ella Cultura e della Formazione.

La Convenzione di Lisbona è importante perché è uno spartiacque tra il prima e il dopo per quanto concerne la procedura ed il riconoscimento dei titoli di Studio. Da sempre tale procedura, croce e delizia per chi opera nel campo della formazione, è sempre stata ritenuta da una part bizantina e farraginosa nel suo iter burocratico, dall’altro anacronisticamente troppo stringente, soprattutto con la nascita dell’Unione Europea ed il progetto Erasmus che accoglie ogni anno un numero sempre maggiore di studenti interessati a raffinare la propria formazione ed il proprio percorso di Studi all’estero.

La convenzione di Lisbona, come accennato prima, verte sul riconoscimento dei titoli di studi relativi all’insegnamento nell’ambito dell’Unione Europea. Tale convenzione fu sottoscritta a Lisbona, da cui prende il nome, l’11 aprile 1997.

Essa nasce con lo scopo di favorire la mobilità interuniversitaria, garantendo il reciproco riconoscimento dei titoli e dei percorsi di studio tra i Paesi firmatari, dove sia possibile. Ovviamente, trattandosi di una convenzione europea, il suo contenuto e il suo indirizzo sono stati recepiti dalla legislazione italiana.

Fulcro della convenzione di Lisbona è il suo ribadire con forza che la competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell’accesso all’istruzione superiore, del proseguimento degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, è attribuita alle Università ed agli Istituti di istruzione universitaria.

La mobilità internazionale di studenti e laureati e la libera circolazione dei professionisti sono stati soventemente ostacolati dal mancato riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali. L’autoreferenzialità di molti atenei e rettori, le barriere difensive alzate dalle corporazioni professionali nazionali e dai rispettivi ordini, il pregiudizio circa la qualità dell’istruzione superiore degli altri Paesi sono atteggiamenti e comportamenti che hanno rischiato di comprimersi in una pericolosa miscela di protezionismo e di infettare il corpo sociale con il virus dell’autarchia.

I processi di internazionalizzazione che coinvolgono oggi in particolare i sistemi educativi e il mondo delle professioni devono necessariamente creare delle infrastrutture di sostegno che facilitino, fluidifichino ed incentivino i cosiddetti flussi di mobilità.

La prima e la seconda sezione della Convenzione sono dedicate alla terminologia e alla autorità coinvolte nei processi di riconoscimento dei titoli e dei percorsi. La parte decisamente più viva della Convenzione è la terza sezione che fissa le quattro grandi regole alle quali devono attenersi i soggetti in campo: università, uffici di riconoscimento, singoli.

La Convenzione stabilisce il pieno diritto di ciascuno, studente o docente che sia, a veder valutato il proprio titolo di studio vietano contemporaneamente qualsiasi discriminazione di sesso, razza, colore, disabilità, lingua, religione, opinioni politiche, origini nazionali, etniche o sociali, appartenenza a minoranze nazionali, proprietà, nascita o altro stato civile. La prima regola che viene precisata è chiarissima: il riconoscimento dei titoli di studio deve avvenire esclusivamente sulla base di una adeguata valutazione delle conoscenze e delle competenze acquisite, escludendo così i fattori di altro genere non attinenti al valore del titolo di studio.

La seconda regola prevede che le procedure e i criteri impiegati per la valutazione dei titoli esteri e per il loro riconoscimento debbano essere trasparenti, coerenti e affidabili. L’ente preposto che riconosce il titolo estero deve dunque rendere sempre noti i propri criteri di valutazione (procedura di trasparenza). Tali criteri devono essere certi, chiari e non discrezionali; devono cioè applicarsi a coloro che fanno richiesta senza alcuna differenza di comportamento tra un’istituzione e l’altra (criterio di coerenza). I criteri di valutazione devono infine essere basati e incardinati su princìpi validi e condivisi nella comunità scientifica internazionale, e seguire codici di buona pratica (criterio di affidabilità).

La terza regola prevede che la decisione di riconoscere un titolo estero debba essere adottata sulla base di adeguate e complete informazioni. Fornire informazioni utili è compito del richiedente e dell’università che ha rilasciato quel titolo. Le informazioni devono essere adeguate e complete nel descrivere la natura dell’istituzione che ha rilasciato il titolo, le caratteristiche del corso di studio seguito e il valore del diploma. Le informazioni devono essere inoltre fornite in assoluta buona fede. In questo modo l’organismo che effettua la valutazione è messo in grado di valutare nella maniera più corretta possibile ed eventualmente di dimostrare che il richiedente non soddisfa i requisiti o abbia addirittura fornito dati falsi o fuorvianti.

La quarta regola riguarda la durata del procedimento e la possibilità di interporre appello in caso di rifiuto. La Convenzione in questo caso afferma in maniera molto precisa che le decisioni relative al riconoscimento devono essere adottate entro un lasso di tempo che debba essere considerato ragionevole. Il testo finale approvato a Lisbona ha tenuto conto delle preoccupazioni di numerosi paesi ed ha evitato di fissare un limite preciso. Pertanto, sono quindi i paesi aderenti a definire in maniera completamente autonoma la durata massima di un procedimento. Nella linea della trasparenza, il rifiuto del riconoscimento di un titolo deve essere motivato e deve contenere l’indicazione di eventuali procedure alternative. Nel caso in cui il riconoscimento non venga concesso, ovvero non venga adottata alcuna decisione, il richiedente deve poter appellarsi ad una autorità definita dalla normativa nazionale.

L’Italia dispone oggi di un primo quadro giuridico che prevede il riconoscimento dei titoli professionali conseguiti all’estero sia nei Paesi dell’Unione Europea – attraverso i provvedimenti di recepimento delle Direttive comunitarie generali e settoriali in materia di libera circolazione dei professionisti – sia nei Paesi extra-UE (attraverso il regolamento di applicazione del testo unico delle leggi sull’immigrazione). Fa da corollario al riconoscimento dei titoli professionali la possibilità di partecipare ai concorsi di accesso alla pubblica amministrazione anche con un titolo estero conseguito nell’Unione europea riconosciuto dal Dipartimento della funzione pubblica.

A questo si affianca un secondo quadro giuridico – ispirato ai principi della Convenzione di Lisbona – che regola il riconoscimento accademico dei titoli esteri finalizzato alla continuazione degli studi. Nel nuovo quadro giuridico vengono progressivamente superati e abbandonati il concetto e la prassi dell’equipollenza.

L’Università Popolare di Milano, nel pieno quadro di rapporti internazionali che la legano ad altre Università, è stata in prima linea nell’incentivare e ottenere la Carta di Lisbona che ratifica ed incentiva, a livello europeo, un pieno e totale diritto allo studio.