Elezioni europee e amministrative 2019, nonostante i numeri nessun divorzio a breve tra Lega e M5s

I numeri hanno la loro importanza, vanno giudicati per ciò che rappresentano ma non consentono di fare previsioni a breve e medio termine pensando a ciò che potrebbero provocare. Il 26 maggio 2019 i cittadini dei Paesi che compongono l’Unione Europea sono stati chiamati a rinnovare il Parlamento. In Italia si è votato in Piemonte per eleggere il presidente della Regione e si è votato anche in grande Città per eleggere il Sindaco e rinnovare i rispettivi consigli comunali. Il risultato elettorale uscito dall’urna ha visto un solo vincitore: la Lega di Matteo Salvini con il 34,3% dei voti e scavalca il M5s (17,1%) come primo partito in Italia. Il Pd si sveglia dal coma profondo in cui era precipitato dopo le elezioni politiche del 2018 (18,00% dei voti) e inizia a sorseggiare il brodino (22, 7%). Forza Italia appena l’8,8% con l’unica consolazione dell’avvenuta elezione del Leader indiscusso Silvio Berlusconi al parlamento europeo. Buona affermazione dei FdI che hanno conquistato il 6,5% dei voti. Fuori dalla soglia minima del 4% tutte le altre liste che si erano presentate. Numeri importanti che da più giorni continuano a fare discutere sull’utilizzo che ogni partito intende farne con riferimento all’Europa e all’Italia. La discussione più gettonata è la continuità del rapporto istituzionale tra Lega e M5s: rimarranno ancora alleati di Governo o hanno già dato mandato ai rispettivi legali di preparare le pratiche per il “divorzio”? Scrutando l’orizzonte i due partner continueranno a rimanere sotto lo stesso tetto, magari da separati in casa ma per l’opinione pubblica in perfetto accordo. Né Matteo Salvini, né Luigi Di Maio staccheranno a breve la spina all’attuale Governo. Chi dei due leader farebbe ciò darebbe all’altro un enorme vantaggio politico e propagandistico per l’eventuale campagna elettorale. Il più ostinato nel mantenere in vita il Governo sarà proprio Matteo Salvini, uscirne significherebbe allearsi obbligatoriamente con Silvio Berlusconi ed il vecchio centrodestra per tentare di tornare alla guida del Paese: nessuna Lista da sola ha mai conquistato, e mai conquisterà il 40% sufficiente per Governare. Tornare con il vecchio centro destra significherebbe, anche, resuscitare FI e accettare la “vendetta” di questo partito, con l’incognita per Salvini di dover pagare in termini di voti un prezzo molto alto. La rottura con l’alleato M5s avverrà quando in Italia si sarà costruito un nuovo centrodestra senza FI. Non sfugge alla regola di dover fare parte in futuro di una coalizione il M5s. Da solo questo movimento non sarà più all’attenzione di quella gran parte degli italiani che gli avevano espresso la fiducia attraverso il voto. Chi ha votato cinque stelle alle Politiche del 2018 ha dovuto “ingoiare” in seguito l’amaro” della leadership di Salvini che per demerito di Di Maio è il vero Presidente del Consiglio. Il M5s non ha alternativa all’alleanza con il Pd. Attualmente, nell’uno e nell’altro partito, i pareri sono contrastanti con riferimento a quest’alleanza, in particolare l’ala del Pd che si riconosce ancora in Renzi. Ma ricordiamoci: elezioni politiche 2013 anche Matteo Renzi si era incontrato con Beppe Grillo per fare nascere un Governo Pd-M5s, ed in precedenza Pierluigi Bersani aveva fatto la stessa cosa, e dopo le elezioni del 2018 il M5s aveva cercato l’alleanza con il Pd prima ancora di Salvini. Per Pd e M5s non c’è soluzione a una futura alleanza per ostacolare il centrodestra alla guida del Paese. Se ne facciano una ragione chi, nel Pd, ancora crede a un possibile partito che si amplia con i voti provenienti dal centro.