Le parole che non ci sono

“ … non c’è nulla di peggio che seguire come fanno le pecore, il gregge di coloro che ci precedono, perché essi ci portano non dove dobbiamo arrivare, ma dove vanno tutti.! “ Vincenzo Calafiore Hai mai visto un’alba sullo Stretto, hai mai ritrovato le parole che vorresti dire e invece sono rimaste lì avvolte nei colori accesi dello scirocco? A guardarla sembra di trovarsi in un paesaggio egemone o in una dimensione metaforica, in un ricordo. L’aria soffocante e chiusa nel pulviscolo rude degli interni di un animo soggiogato, l’aria di parole ora aguzze, ora lisce come uno scoglio, lente come il tempo nel meridione, ora sudaticcio, ora secco e polveroso, salino, scandito più dal frinire di cicale e dai ragli lontani di asini all’ombra di alti eucalipti. Parole che tendono al viaggio o a un’idea tra favola e realtà, che scandiscono,assorbono,sovrastano le azioni, esaltano le voci di dentro, le selezionano, le fanno luminose, o opache, le dissolvono, le rincorrono per riprenderne una traccia, una memoria, un suono, un profumo. Ciò toglie autenticità terrena alle varie sequenze che passano per la mente come fosse un film, anzi le pone in una zona di solitaria, petrosa visibilità ove inconsciamente vivo in attesa di un baratto o di un vento forte che divelti i recinti di filo spinato attorno a una chiesa silenziosa animata dai voli di passeri Forse avvertito dal lettore un sotterraneo legame con l’autore e il ripetersi ( che fa di una realtà una visione) di immagini, moduli, strutture, su cui si va in tal modo costruendo una sorta di atmosfera in cui fotogrammi veloci spezzano i ritmi, propongono altri temi e sfondi, altre sfide, ma avvolgente una costellazione di luci e colori, sapori, mediterraneità. Così il filo conduttore di una realtà dentro un sogno sprofondato quasi alla fine del secolo, più che appartenere al vincolante traino quotidiano, è un’alba o un crepuscolo, un tramonto, ma sempre qualcosa di meraviglioso, di inaspettata bellezza che si profilano agli orizzonti smarriti le parole che non ci sono, dei loro colori accesi di scirocco e del loro tagliente guizzo di rapina negli occhi. Le parole che non ci sono, si sviluppano, si avvolgono su loro stesse, si diramano e vanificano gli episodi di una realtà concreta e immaginata, fumando una sigaretta nell’ombra di una lampada di vetro verde. Gli occhi cercano i registri, i righi affollati di parole che avrei dovuto consegnarle una sera davanti a un bicchiere di vino e un piatto di formaggio su un tavolo sgangherato dietro un davanzale che guarda lontano il mare. E sono autenticamente vere quelle parole che non ci sono, nella loro vitrea immobilità nell’istante in cui gli occhi si incontrano per raccontarsi…. Ma oltre il bianco degli occhi, dietro quel fantastico sipario si radunano dietro la vetrina affollata nel compatto scorrere labiale, ma contratto di visi che sgusciano affannati da un brulichio di pene e di speranze. E ancora la ragnatela fitta del potere delle parole, gli intrighi delle labbra, la ventosa folata di felicità che gira nei vicoli del cuore; e forse quelle parole che non ci sono insegnano a vedere le figure vicine trasformarsi in incanto di un teatro mai spento. E invitano a sollevarsi dal fango, dalla miseria umana, dal borgo, dal ciaccolio inutile che trasforma in cicale arse e vuote o insegnano a volare nell’aria come un bambino che corre in contro alle braccia della madre ….. le mie parole che non ci sono!