Giuseppe Berto: convegno organizzato all’Università degli Studi di Messina

Sono passati quarant’anni dalla morte di Giuseppe Berto, uno dei pochi intellettuali che ha tentato di spiegare con passione il Sud e la Calabria. Il 1964 è l’anno de “Il male oscuro” il romanzo che gli ha fatto vincere due premi, il Campiello e il Viareggio. Un importante convegno organizzato all’Università degli Studi di Messina che si svolgerà domani, cercherà di far emergere il valore della sua esperienza artistica ed esistenziale. Qual è l’eredità che ha lasciato Giuseppe Berto nella storia culturale dell’Italia, a quarant’anni dalla sua morte?Un importante convegno che si svolgerà domani, mercoledì 30, all’Università degli Studi di Messina (Aula Magna del Rettorato, con inizio ore 10) sarà dedicato proprio alla sua figura, a partire dalla sua opera artistica (narrativa, teatro, cinema) e dagli articolati interventi sui quotidiani dell’epoca, per far emergere il valore della sua esperienza esistenziale e di scrittore. Giuseppe Berto è stato se non l’unico, uno dei pochi intellettuali che ha tentato di spiegare con passione il Sud e la Calabria, scegliendo, con un atto che possiamo definire eretico e fondativo, di vivere in una terra estrema e percorsa da una profonda arretratezza, ma che ancora conservava una ricchezza, ereditata dalla civiltà contadina, e che rappresentava un grande patrimonio per il futuro. Ma la retorica del progresso e della ideologia dei consumi aveva iniziato a distruggerla. Il suo accorato e disperato appello per salvare quella straordinaria risorsa è rimasto inascoltato. Da Capo Vaticano, dove aveva costruito la sua patria spirituale e da cui dialogava con “il mare da dove nascono i miti”, lontana dagli eco dei centri di potere economici, politici e mediatici, ha osservato il mondo e ha tratto ispirazione per diverse sue opere. Diversi i docenti universitari che affronteranno l’opera e l’esperienza umana, esistenziale e artistica dello scrittore nato a Mogliano Veneto nel 1914 e morto il 1 novembre 1978 (per sua volontà le spoglie riposano a Capo Vaticano, rinomata località turistica e paesaggistica del comune di Ricadi, Vibo Valentia). A presiedere il simposio sarà Giuseppe Rando (Università di Messina). Relazioneranno Saverio Vita (Università di Bologna),“Giuseppe Berto scrittore: fortuna editoriale”; Paola Radici Colace (Università di Messina), “Il male oscuro: dal romanzo al film di Monicelli”; Antonio Di Rosa (Università di Messina), “Da Il male oscuro di Giuseppe Berto ad oggi: percorso di una malattia fantasma”; Antonio Pugliese (Università di Messina), “Ricordando Beppe Berto. Dalla civiltà contadina all’antropologia di una passione: pet therapy; infine Nicola Rombolà (critico letterario e giornalista), concluderà i lavori con un intervento su “Giuseppe Berto e la Calabria”. Per la prima volta l’Università degli Studi di Messina si occupa di Giuseppe Berto e della sua opera con questo significativo tributo ad uno degli scrittori e intellettuali che hanno fatto della propria autonomia e libertà uno stile di vita. A dare una svolta nella sua attività di scrittore il romanzo “Il male oscuro” con cui ha vinto sia il premio Campiello che il premio Viareggio, nel 1964. Al convegno parteciperà anche la figlia Antonia. Ad organizzare l’evento l’Accademia Peloritana dei Pericolanti in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina, con il patrocinio del Comune di Ricadi, dei Dipartimenti di Scienze Veterinarie e di Civiltà antiche e moderne. Hanno aderito inoltre diversi enti e associazioni: il Centro internazionale scrittori di Reggio Calabria, l’associazione italiana di Cultura classica di Messina, il Centro italiano femminile di Messina, l’Associazione Amici dello Jaci, la Federazione italiana dei Club e Centri per l’Unesco, i Lyons club Messina Host, il Gruppo teatrale “Il Poliedro”, l’Associazione ex allievi “StudiorumUnivesitasMessanae”, e infine la Federazione sanitari pensionati e vedove Medici, Veterinari Farmacisti. Giuseppe Berto, per gli amici “Beppe”, “Bepi”, è autore di diversi romanzi che hanno riscosso un successo internazionale, e sono stati anche il soggetto di omonime opere cinematografiche, a partire da “Il brigante” scritto nel 1951, ispirato ad una storia il cui protagonista è un calabrese, Michele Renda; “Il male oscuro”, e “Anonimo Veneziano” (1976). Inoltre si ricordano l’esordio con“Il cielo è rosso” (1947), “Le opere di Dio” (1948) nel clima del filone neorealista, poi “Guerra in camicia nera” (1955), “La Fantarca” (1964), “La cosa buffa” (1966), “Oh! Serafina” (1973), “La gloria” (1978). Ha scritto anche alcune opere per il teatro, “L’uomo e la sua morte”, “La passione secondo noi stessi” e la versione teatrale di “Anonimo Veneziano”. Postume si ricordano “Colloqui con il cane”, “La colonna Feletti” e “Il mare da dove nascono i miti”. Berto ha intrecciato la sua attività di romanziere con quella anche di sceneggiatore, mostrando talento, sensibilità e attenzione anche verso l’arte cinematografica. Ha partecipato al dibattito culturale e sociale attraverso articoli e reportage che sono apparsi in diversi quotidiani e riviste fino alla fine della sua vita, in un periodo cruciale della storia d’Italia. In questo percorso e impegno, dalla fine degli anni ’40,ha intrecciato un rapporto profondo con il Sud e la Calabria.In particolare è rimasto folgorato dalla bellezza di Capo Vaticano nei primi anni ’50, diventato il suo parnaso, la dimora della sua ispirazione e delle sue meditazioni. Da Capo Vaticano ha osservato con sguardo incantato, ma anche carico di disperata rassegnazione, alla Calabria e alle ferite inferte al paesaggio e alla sistematica e impressionante distruzione di quello che riteneva un grande patrimonio, la civiltà contadina, quella che immaginò come “ricchezza della povertà” (titolo di un omonimo articolo scritto nel 1972), profetizzando l’attuale scempio attuato in tutto il territorio e facendo una fotografia spietata dei mali che affliggono il territorio indicando le cause nel complesso di inferiorità che si portano dentro i calabresi e nel desiderio di rincorrere il mito del progresso e del consumismo, rinnegando le proprie radici e la propria memoria. Ma al fondo Berto ha intrecciato una visione carica di profezia e di evocazione di un mondo arcano e profondo, capace di proiettare e trasfigurare “il mare da dove nascono i miti”, per illuminare “il male oscuro” che si era insinuato nella sua esperienza esistenziale, ma che prefigurava anche il “male di vivere” che aveva percorso intere generazioni di intellettuali a partire dal poeta Eugenio Montale. Il suo viaggio inquieto, declinato dalle parole, dai sentimenti, dalle emozioni, dagli sguardi e dalle visioni mediati anche attraverso i suoi personaggi, è culminato nell’ultimo romanzo “La gloria”, dove protagonista è il traditore per antonomasia, Giuda, predestinato a recitare e ad espiare la sua tragedia, rappresentato “non come traditore ma tradito” perché “il tradire significa prima di tutto un aver amato” e in cui Berto “non definisce una scelta, ma lascia al lettore il segno di una profonda tragicità che è dolore che vive nel processo esistenziale dei giorni”, spiega lo scrittore Pierfranco Bruni (Giuseppe Berto, “La necessità di raccontare”, Cosenza 2014). Amore che lo scrittore veneto ha dichiarato diverse volte per il Sud e la Calabria: “Il mio amore per il Sud ha origini antiche, nel sangue e nella mente” (Amore per il Sud, 2 novembre 1958, pag. 138);“Come per tutte le cose piene di contrasti e contraddizioni, anche per questo profondo Sud la chiave migliore per capirlo è l’amore” (Il profondo Sud, 6 gennaio 1966, pag. 166). Interventi che troviamo nella raccolta “Il mare da dove nascono i miti, (Vibo Valentia, Monteleone, 2003).