Messina. Autorizzato intervento chirurgico per l’adeguamento del sesso

I giudici di Messina hanno autorizzato l’intervento chirurgico per l’adeguamento del sesso, da femminile a maschile, di una giovane persona a cui è stato concesso di cambiare nome di battesimo. Un’importante sentenza è stata emanata dalla prima sezione civile del Tribunale di Messina in materia di disforia di genere.

Un provvedimento dal contenuto molto delicato, con il quale il collegio (presidente Caterina Mangano, componenti Corrado Bonanzinga e Viviana Cusolito) ha riconosciuto a una giovane messinese il diritto di cambiare sesso. La persona, assistita in giudizio dall’avvocato Giovanni Scavello, è stata autorizzata – come si legge nel dispositivo – al trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali, mentre l’ufficiale di stato civile del Comune peloritano è stato obbligato a rettificare, nel proprio registro, sia indicazione del sesso, sia il nome di battesimo.

La sentenza si fonda su giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte europea dei diritti dell’uomo, che tutelano l’identità di genere. Quest’ultimo concetto è stato al centro di un percorso di evoluzione giuridica andato di pari passo con i profondi cambiamenti intervenuti nella società negli ultimi vent’anni. Commenta l’avvocato Scavello: “La sentenza del Tribunale di Messina può essere considerata una pietra miliare in questa materia che attiene alla sfera più intima della persona. I giudici hanno salvaguardato la libertà individuale e relazionale, che rappresenta una delle parti più rilevanti della sfera privata. Questa decisione – aggiunge il legale – assume un valore ancora maggiore in una realtà socialmente complessa, come quella del Mezzogiorno, nella quale i processi di evoluzione sociale procedono con lentezza rispetto ad altre aree del Paese in cui simili fattispecie sono più frequenti”.

Nella sentenza, sulla scorta della giurisprudenza della Suprema Corte, il Tribunale ha rimarcato che oggi “la scoperta dell’identità di genere costituisce un percorso che, grazie al minor stigma sociale, prende spesso avvio già in età preadolescenziale e si compone di terapie ormonali, di chirurgia estetica, sostegno psicoterapeutico”. Ad avviso del collegio, “il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale”.

Un’elaborazione che, nel procedimento dinanzi ai magistrati messinesi, è stata certificata in maniera decisiva dalle consulenze tecniche d’ufficio. Queste ultime hanno fatto emergere che il trattamento ormonale avviato nel 2015 e il percorso di psicoterapia condotto dalla giovane hanno portato a una piena e irreversibile definizione dell’identità di genere maschile. Un approfondito passaggio della sentenza riguarda, infine, il diritto al nome. Secondo i magistrati, esso “rappresenta l’elemento identificativo di una persona nella vita relazionale, che contribuisce alla creazione dell’immagine sociale di un soggetto. Limitare l’individuo nella scelta del nome con cui condurre la propria vicenda esistenziale significherebbe frustrare il suo interesse ad una piena corrispondenza tra identità anagrafica e psico-fisica”. Anche per questo, la recente sentenza del Tribunale di Messina assume un particolare valore.