L’anima di Mulinum: festa del grano a San Floro di fronte all’Università di Germaneto

Quelle colline che erano destinate ad ospitare una megadiscarica adesso sono in festa, grazie alla tenacia, al sogno, all’entusiasmo, all’amore, alla cura verso la salute del creato e delle sue creature, che è dentro il progetto “Mulinum”. Simbolo della rinascita di una Calabria che non si è “rassegnata” al degrado umano, al disegno nefasto che vorrebbe distruggere il futuro di questa terra (con tutto l’inquinamento che ha devastato diverse aree sul territorio regionale), ma che “ha fatto sorgere il bello”, restituendo così verità al significato etimologico della parola “Calabria”.

Stefano CaccavariMulinum, da domani (1 luglio), saprà impastare e raccontare, attraverso la sua farina, un pane e una storia dal sapore antico ma dal sapere nuovo. Sarà celebrata Demeter,  Madre Terra, che ha partorito il grano per le pietre di Mulinum. Rappresenta l’esperienza in assoluto più alta di cultura etica del lavoro, verso chi coltiva e raccoglie con sacrificio, i contadini, che hanno arato e solcato per donare il cibo sano per la vita, lo spirito profetico che ha dato luce alla bellezza e al bene. Protagonista di questo progetto un giovane, Stefano Caccavari, che dopo aver creato gli orti sociali più grandi d’Italia, ha raccolto attorno al suo sogno oltre 100 soci. Quest’anno sono 200 gli ettari in tutta la Calabria coltivati che i soci hanno destinato alla mietitura del grano, ma è necessario aumentare la produzione per chiudere la filiera. Alla festa della mietitura e della trebbiatura partecipano con entusiasmo la cantastorie Francesca Prestia che rievocherà i canti e i racconti di lotta e di lavoro dei contadini, e lo scrittore e ambientalista Francesco Bevilacqua. 

Il tempo è uno specchio dove si ritrovano a guardare con meraviglia sia il passato che il futuro. E l’immagine che si staglia davanti ai loro occhi è una spiga carica e matura con sullo sfondo l’immagine di Demeter, Madre Terra, dea del grano e dell’agricoltura. La spiga che appare è il simbolo delle tante spighe che verranno mietute tra le colline di San Floro, per celebrare la terra, il ritorno ad un’esperienza antica che affonda le radici nell’anima dei popoli del Mediterraneo, a partire dal mito di Demetra.

Non è un atto nostalgico di un tempo remoto che non tornerà più, ma si tratta di un evento che ha già segnato e disegnerà la storia del territorio, e che rappresenta il simbolo della rinascita di una Calabria che non si è “rassegnata” al degrado umano, al disegno nefasto che vorrebbe distruggere il futuro di questa terra (con tutto l’inquinamento che ha devastato diverse aree sul territorio regionale), ma che “ha fatto sorgere il bello”, restituendo così verità al significato etimologico della parola “Calabria”.

grano Festa del Grano a San Floro musica popolare San Floro

Le colline che erano destinate ad ospitare una megadiscarica (il disegno risale a quattro anni fa, camuffato con il nome di “isola ecologica Battaglina”, che in realtà sarebbe diventata una delle discariche più grandi d’Europa), adesso sono in festa, grazie alla tenacia, al sogno, all’entusiasmo, all’amore, alla cura verso la salute del creato e delle sue creature, che è dentro il progetto “Mulinum”. Rappresenta l’esperienza in assoluto più alta di cultura, per onorare chi coltiva e raccoglie con sacrificio, i contadini, che hanno arato e solcato per far partorire la terra, e donare il cibo che ha dato luce alla bellezza e al bene.

I latini – spiega Alessandro D’Avenia, in L’arte di esser fragili –  “per ‘curare’ usavano la parola colere da cui cultum, da cui il termine ‘cultura’ (l’agricoltura non era altro che il prendersi cura del campo). La cultura non ha nulla a che fare con il consumare oggetti culturali: ci si illude che consumando più libri, più musica, più quadri, si acquisterà più cultura. Conosco persone che consumano tantissimi oggetti culturali, però questo non  le rende più umane,, anzi spezzo finiscono con il sentirsi superiori agli altri. Cultura vuol dire stare nel campo, farlo fiorire a costo del sudore. Significa conoscere la consistenza dei semi, i solchi della terra, i tempi e le stagioni dell’umano e occuparsene perché tutto dia frutto a tempo opportuno. Nella cultura ci sono il realismo del passato e del futuro e la lentezza del presente, cosa che il consumo non conosce: esso vuole rapidità e immediatezza, non contempla la passione e la pazienza” (pag. 27).

La nostra storia passata deve ritornare al futuro, essere declinata in un tempo nuovo e con una rinnovata visione del tempo e della vita, perché se il futuro non ci viene incontro, è difficile avere un progetto di vita, che è impregnato di sogno e di utopia.  Sia l’uno che l’altra ci aiutano a decodificare l’enigma del tempo che sembra attraversare l’attuale società presa nel vortice della velocità e del vuoto, senza ali né radici, dove ogni emozione ed esperienza si narcotizzano e si spengono “in tempo reale” nel virtuale. Le parole di un grande storico che si è occupato della “lunga durata” della storia e che ha scritto libri memorabili sul Mediterraneo, (Il Mediterraneo e Memorie del Mediterraneo), Ferdinand Braudel, ha scritto: “La storia non è altro che una continua serie di interrogativi rivolti al passato in nome di problemi e delle curiosità”. E riflettendo sui mutamenti che hanno contrassegnato le civiltà, con il carico delle “inquietudini e delle angosce”  che attraversano il “presente che ci circonda e che ci assedia. Più di ogni altro universo umano ne è prova il Mediterraneo, che ancora si racconta e si rivive senza posa”  affermando che “essere stati è una condizione per essere” (Il Mediterraneo, pag. 7).

L’anima e la memoria di questo Mediterraneo sono ancora vivi, non solo perché come numi tutelari e magnifici monumenti e testimoni viventi di questa millenaria storia ci sono gli ulivi che dipingono il paesaggio, ma perché come un archetipo che segna la vita delle comunità e dei popoli, ritorna lo “spirito del tempo”  a far sentire la sua antica e feconda voce che pre-sente e profetizza il futuro.

“La festa della trebbiatura” è un momento di celebrazione e di ringraziamento verso Madre Terra, verso Demeter . Dentro c’è una parola antica, Mulinum, nelle cui pietre si riscrive il testo che indica la nuova via che deve essere tracciata e percorsa per salvare l’umanità dalla assoluta cecità che sta avvelenando il mondo solo perché il delirio di onnipotenza di un ristretto gruppo di oligarchi, ha deciso che la natura, l’ambiente, l’umanità, il futuro delle nuove generazioni, di fronte al dio denaro e al suo potere, non hanno alcun valore, sono solo merce da immettere nel mercato.

Ma l’oscurità  che sembra dominare il mondo,  è vinta  dalla luce del bene e della bellezza di questa nuova pagina scritta nella travagliata storia di questa terra ferita, depredata, mortificata nel corpo e nell’anima.  “La festa della mietitura” che si svolgerà sabato pomeriggio (1 luglio, dalle 17.00) a San Floro, in piena campagna, in piena natura, a due passi da Regione Calabria e dall’Università di “Germaneto”, ha dentro di sé non solo un nuovo raccolto, ma è anche carico di buon pane, che accompagnerà i tanti che hanno creduto in questo progetto, per un nuovo viaggio. Tra questi anche lo scrittore e naturalista, profondo conoscitore del paesaggio e dell’anima autentica della Calabria, Francesco Bevilacqua, che ha dedicato diverse opere per raccontare i suoi segreti e la sua bellezza. Ma al di là dei significati antropologici e culturali che si porta dentro questa celebrazione della mietitura e della trebbiatura, l’evento  ha tante risposte agli interrogativi della Storia. Risponde all’ansia del futuro per le nuove generazioni, perché sono protagonisti i giovani attraverso una visione illuminata. In primo luogo il presidente di Mulinum, Stefano Caccavari, che è riuscito a coinvolgere in un sogno e a creare tanto entusiasmo da far “innamorare” oltre 100  soci, recuperando la fiducia nell’uomo e nelle sue idee. È una risposta verso chi voleva fare di queste colline un deposito di immondizie, con la creazione degli orti sociali più grandi d’Italia. È una risposta contro chi tenta di disgregare le forze positive di questa terra, per far affermare il disagio e il degrado (in primo luogo verso chi ha responsabilità istituzionale che non dà risposte ai bisogni e ai diritti dei cittadini lasciando mano libera alla criminalità organizzata) e spingendo i giovani ad abbandonare questa terra. Ma il messaggio forte è che in una terra lasciata a se stessa, segnata da criminalità, corruzione e malapolitica, difficile e senza speranza, riesce a reagire mettendo insieme una comunità che non si arrende, che lotta animata dal bene e dall’onestà, che riesce a unire queste forze e a dare vita al buon pane. Risuonano i bellissimi versi dell’Ode al pane di Pablo Neruda: “Del mare e della terra/ faremo pane,/coltiveremo a grano la terra e i pianeti,/il pane di ogni bocca,/di ogni uomo,/ogni giorno/arriverà perché andammo a seminarlo/e a produrlo non per un uomo/ma per tutti,/il pane, il pane/per tutti i popoli/e con esso ciò che ha/forma e sapore di pane/divideremo:/la terra,/la bellezza,/l’amore,/tutto questo ha sapore di pane.”

Di questo spirito si fa interprete anche la cantastorie Francesca Prestia, che parteciperà a questa celebrazione con i suoi musicisti (Checco Pallone – chit e tamburello – Enzo Naccarato – fisarmonica – Carlo Cimino – contrabbasso – Piero Gallina – lira calabrese e violino)  dando vita ad un racconto di musica e canti che hanno come leitmotiv il mondo contadino, attraverso “i canti di lavoro e di lotta”. Una storia millenaria che si è tradotta fino ai nostri giorni, rievocando le donne di Melissa, Angelina Mauro e Giuditta Levato, i fatti anche di Calabricata, di Casignana, di Benestare; una lotta che si è tradotta nel sangue, ma anche nei canti di festa, come le tarantelle, che rappresentano un momento di gioia collettiva dopo tanto sacrificio e lavoro. “I ragazzi tornano alla terra e la terra viene celebrata e ringraziata” afferma con entusiasmo e passione Francesca Prestia, pensando a questo evento che la vedrà come protagonista (il suo spettacolo è previsto alle 19.00)  attraverso la sua intensa ricerca artistica, culturale e storica, per raccontare e cantare la Calabria che ha sofferto ma che sente prepotente il desiderio di riscatto, per dare voce e luce alla dignità, alla bellezza che questa terra ha dentro la sua anima, e che attende di poter partorire, per farla diventare una nuova epifania, come nei brani del suo ultimo lavoro “Mare Nostrum”, con al centro sempre il Mediterraneo e la sua gente,  come sarà la festa della trebbiatura che si svolgerà a San Floro dove è sorto Mulinum.

I soci che fanno parte di Mulinum hanno destinato circa 200 ettari in tutta la Calabria per la coltura del grano, ma sarebbe necessario aumentare la produzione in modo da chiudere la filiera. Questo è l’obiettivo prossimo dei protagonisti di questo sogno collettivo. Sarebbe bello vedere il grano maturo ondeggiare nei campi che adesso sono incolti, sia per il valore ecologico, economico ed emotivo, per ridare vitalità alla terra e alla comunità, per restituire speranza ai giovani, ma anche per il significato culturale, antropologico e sociale che ha una simile esperienza, perché ricrea una economia rurale locale fondata sul rispetto ecologico della terra e della dignità del lavoro del contadino, con il richiamo ad una tradizione e ad una visione millenaria con al centro l’uomo che vive un rapporto e un dialogo fecondo con la natura. Così si è ricreato il sentimento e il nutrimento corale, che rappresenta la dimensione più importante per l’essere umano, sotto il profilo esistenziale e creativo. Condividere significa avere una visione comune e amplificare gli orizzonti e le emozioni, generare risonanze più forti, contro le forze centrifughe che spingono invece all’isolamento, alla solitudine, alla fragilità.

Ricreare l’anima collettiva è la sfida più importante di questa terra in cui le spinte a sradicare, sono state quelle che hanno segnato in profondità la storia della Calabria. Lo ha messo in luce, anche in di recente Antonio Pugliese (Ordinario di Clinica veterinaria all’Università di Messina), nella sua ricerca, che ha dato come esito un viaggio ne “La civiltà contadina in Calabria. Il recupero della memoria”, in cui viene rievocata l’esperienza del lavoro dei campi e dei suoi riti, nei suoi diversi aspetti e caratteri colturali e culturali, partendo proprio da una esperienza vissuta nel campo sia direttamente, ma anche con quei “titani” che hanno resistito alle sirene del consumismo, eredi e testimoni di una civiltà che ancora sopravvive, e che lo scrittore Giuseppe Berto nel 1972 ha definito emblematicamente come “ricchezza della povertà”, con un passaggio profetico del destino della Calabria:  “La conoscenza dell’alfabeto, se non diventa cultura, dà forza all’ignoranza e la disponibilità di mezzi rende più potente il disonesto, il furbo…”.

Nel cuore pulsante di Mulinum ci sono tante storie di vita, di resistenze e di esistenze. Tanti sacrifici, tante passioni e missioni di persone che hanno creduto e investito avendo fede e coraggio, nell’aver creduto nel progetto e nell’uomo che sente il palpito del sogno e il bisogno di costruire con lo slancio dello spirito vitale (l’elan vital di Henry Bergson). Tra le tante, esemplare è anche la storia di Ilaria Campisi, che ha deciso di far ritorno alla sua Caulonia per coltivare le terre che rischiavano di essere abbondate, per far riaffiorare la memoria delle impronte passate, fatte di dedizione e di cura per Madre Terra. Con questo sogno il suo sguardo ha potuto vedere oltre la siepe, e ha creduto nel progetto di Stefano Caccavari, e adesso anche lei si sta apprestando a dare luce e vitalità ai suoi orti sociali a Focà, (frazione di Caulonia). La sua storia è emblematica di come le donne diventino protagoniste della rinascita di questa terra, rievocando le tante storie delle donne calabresi raccontate da Nuto Revelli  ne “Il mondo dei vinti” e in “L’anello forte”,  attraverso la diretta voce, con un racconto orale e con la testimonianza di vita contadina, dei protagonisti che hanno fatto rinascere le Langhe nel Piemonte, patria di Slow food, e del suo presidente Carlo  Petrini (autore di recente, tra l’altro, della prefazione del romanzo “Ti ho visto che ridevi” del gruppo Luo Palanca, in cui viene rievocata la storia di una donna che parte da Riace e approda in Piemonte).

Così come l’esperienza di Riace che da paese di emigrazione diventa comunità di accoglienza e il cui modello ha fatto il giro del mondo, grazie alla passione e all’impegno del sindaco Mimmo Lucano, anche il progetto Mulinum, che vede protagonista un giovane, Stefano Caccavari, avrà una risonanza che varcherà i confini regionali e anche nazionali. La vera Calabria è questa, quella che fa “sorgere il bello, il bene e il buono” attraverso l’impegno, la passione, l’amore, l’onestà, il sogno, non certo il degrado delle istituzioni,  la violenza e l’oppressione della criminalità organizzata, l’emigrazione, l’indifferenza verso l’ambiente e il patrimonio collettivo, l’abbandono della terra e dei beni culturali,  che occupano quotidianamente le prime pagine dei giornali. Questa terra antropologicamente si sente rassegnata a partorire il brutto, a mostrare il “monstrum”, e nasconde le sue risorse migliori, perché fa molta fatica a mostrare la luce.  Mulinum, da domani, saprà impastare e raccontare, attraverso la sua farina, un pane e una storia dal sapore antico ma dal sapere nuovo.