Rombiolo, si è spenta Maria Concetta Contartese alla veneranda età di 102 anni

E’ venuta a mancare una delle ultime superstiti della storia millenaria della civiltà contadina di Rombiolo in provincia di Vibo Valentia. Ha consegnato in eredità una esperienza esistenziale vissuta con umiltà, semplicità e onestà, ma anche un immenso patrimonio di cultura orale e di sapienza popolare, che rappresenta una ricchezza incommensurabile per la sua famiglia, per la comunità e per l’umanità del futuro. Un lungo corteo di persone ha reso omaggio con commozione a questa piccola grande donna e ha partecipato al cordoglio dei familiari.

La sua storia è uno specchio in cui si riflettono la profondità e l’altezza delle impronte che si lasciano. Ha lottato per la libertà, si è battuta con la forza della passione, dell’onestà, del sacrificio, degli ideali e dei sentimenti più nobili. Fino all’ultimo respiro, anche quando ormai le forze la stavano per abbandonare, ripeteva, nel suo dialetto, che non si sarebbe arresa. E lo ha fatto nonna Maria Concetta. Il suo amore per la vita è stato molto più forte di tutti i patimenti che ha vissuto attraversando il Novecento e i primi vagiti del terzo millennio. Era nata 102 anni fa, l’8 aprile, cullata dalla primavera. E la primavera l’ha voluta accogliere tra le sue braccia, la notte di domenica, prima di consegnarsi al solstizio d’estate. L’alito del giorno più lungo dell’anno ha scandito gli ultimi respiri di questa donna che è stata un monumento: nel suo piccolo ed esile corpo si è concentrata una grande forza umana e una immensa generosità che deve essere consegnata alle future generazioni, perché la sua esistenza è un faro che indica la rotta che l’umanità deve percorrere se vuole salvarsi dai disastri che si disseminano tutti i giorni, portando alla disperazione milioni di creature innocenti e inquinando anche il cuore di quegli egli esseri umani che inseguono il potere e il successo materiale, calpestando la dignità degli altri e regredendo verso la barbarie e la brutalità. L’eredità che lascia Maria Concetta Contartese è incommensurabile. Non è fatta solo di tanta esperienza, di sofferenza e di immani sacrifici, ma anche di una saggezza ricca di saperi popolari, eredità che dimora soltanto in chi ha abitato la terra con amore e rispetto. Ha percorso un tempo in cui l’umanità ha vissuto profonde trasformazioni, conoscendo indescrivibili catastrofi, in cui la malvagità della natura umana ha superato ogni limite. Eppure Maria Concetta ha conservato il suo sguardo carico di fede nell’umanità e nel futuro, intrisa di storie popolari, di proverbi, di antichi detti, di canti e di incanti. Era un archivio storico vivente, una vera figlia della dea Mnemosyne: musa che aveva in dono l’ispirazione degli aedi, con dentro il fuoco della giustizia, della passione politica (è stata una combattente nella lotta per la terra e per i diritti dei lavoratori), di profonda dedizione alla famiglia, crescendo sei figli a cui ha consegnato la sua vita esemplare. Ma questa piccola grande donna è stata anche una delle ultime superstiti della storia millenaria della civiltà contadina, che ha consegnato un immenso patrimonio di cultura orale che Giuseppe Berto aveva definito come “ricchezza della povertà” nel 1972: “La civiltà contadina era sì miseria, denutrizione, malattie, analfabetismo, esuberanza sia di nascite che di morti, ma era anche grandissima onestà e nobiltà d’animo popolare, quasi una sacralità che la gente esprimeva nel parlare, nel coltivare un campo, nel costruire un muro o una casa. … I risultati di quella civiltà, sia nel fare che nel preservare, erano arrivati fino a noi: un patrimonio proprio come capitale, la povertà degli antenati che finalmente diventava ricchezza per i posteri, preziosa materia prima, in quantità incredibile …” Quella ricchezza fatta di saperi e di incontri con i fenomeni della natura, sembra perduta per sempre a causa del desiderio imperioso di opulenza che ha distrutto la sacralità che Maria Concetta ha prodigato nel suo “lessico familiare”. La sua cultura orale rappresenta un patrimonio che riempie il vuoto in cui sembra aggirarsi l’attuale società risucchiata dal vortice anestetico dei social media e dal delirio di onnipotenza, senza più lo sguardo caldo, intenso, denso di sentimento, umile e aperto verso il futuro che aveva nonna Maria Concetta. Questa antica donna, con la sua esperienza e con la sua semplicità, con la sua umana sensibilità, ci consegna il più importante dei testamenti “da coltivare”: pregno di profonda umiltà, nel senso etimologico ed ecologico del termine, con dentro l’humus che fa crescere i cibi sani e benefici che nutrono la salute dei pensieri e dei saperi, e non certo lo pseudo sapere che inquina e uccide, di cui sembra essere infusa questa società del prodotto interno lordo che esalta il narcisistico totalitarismo dell’ego, distruggendo la stessa possibilità di alzare gli occhi verso l’orizzonte per immaginare e sognare una società più umana e più giusta, con quel sentimento di solidarietà e di amore verso il prossimo, il creato e le sue creature, il solo che può salvarci. Ogni salvezza passa attraverso una previsione, una visione e una condivisione, come ci insegna F. Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov” con il racconto della cipolla: “C’era una volta una donna cattiva cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un’azione virtuosa. I diavoli l’afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco. Ma il suo angelo custode era là e pensava: di quale sua azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: – Ha sradicato una cipolla nell’orto e l’ha data a una mendicante. E Dio gli rispose: – Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori del lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov’è ora. L’angelo corse dalla donna, le tese la cipolla: – Su, donna, le disse, attaccati e tieni. E si mise a tirarla cautamente, e l’aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch’essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: “E’ me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra. Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora. E l’angelo si mise a piangere e si allontanò”… Sono rimaste scolpite le sue parole, il ricordo e le emozione che ha vissuto durante la festa per i suoi cento anni l’otto aprile di due anni fa, con la partecipazione e di tutta la comunità di Rombiolo. “Mo sognu come na figghjioleja” (Adesso sono come una bambina”) ripeteva nonna Maria Concetta, per scherzare con il sorriso della saggezza, sui suoi anni. Le esequie si sono svolte nella chiesa di Moladi ieri pomeriggio (lunedì). A presiedere il rito funebre mons. Giuseppe Fiorillo, insieme a don Antonio Pagnotta e don Raffaele Arena. Nel suo elogio funebre, mons. Fiorillo ha definito Maria Concetta uno “scrigno di sapienza” e di fede, un grande esempio di umanità, di umiltà e di sacrificio cristiano da collocare tra le “persone illustri” perché hanno onorato la legge di Dio; ma anche un patrimonio immenso di cultura e di amore che ha consegnato ai familiari e a tutta la comunità. “Per i figli il cordone ombelicale viene tagliato per la seconda volta”, ha sintetizzato il dolore per la perdita della madre: “il primo taglio inconsapevole quando si nasce, il secondo invece traumatico con la sua morte”. Nelle sue parole di commemorazione, il sacerdote si è soffermato sul significato della vita alla luce della morte, che apre il tempo eterno. “La sua bara sigilla la sua fine; ci dice il nostro limite e ci indica il ritorno all’umiltà contro la prepotenza e l’arroganza dell’uomo che si sente pervaso dal delirio dell’onnipotenza. Siamo circondati da persone che distruggono la vita, che non hanno amore, che non hanno sentimenti, che sono egoisti. Invece i veri costruttori delle grandi opere dello spirito si esprimono con l’impegno, con l’umiltà e si battono contro la violenza delle tante mafie e della corruzione. Maria Concetta lascia ai familiari e a tutti noi un grande testamento. La sua fine è un libro aperto per chi come noi rimane ancora sulla terra, un seme che deve essere raccolto e disseminato per le generazioni future”. Mons. Fiorillo ha inoltre ricordato quanto duro lavoro e quanta inenarrabile fatica hanno dovuto fare le sue mani per mandare avanti la famiglia; ma hanno conservato “una sapienza millenaria che deve essere consegnata al futuro: così la sua memoria e la sua vita rimane tra di noi, vera ricchezza culturale e spirituale.” Infine, rivolgendosi ai figli, ha rammentato che la mamma è unione, perché tiene insieme i figli e tutta la famiglia: “quando si spegne una madre tutta la famiglia si smarrisce e con l’ultimo sigillo alla sua bara si chiude anche la sua casa”. Grande intensità emotiva nelle parole di addio del figlio Michele, che a nome degli altri fratelli, Armando, Saro e Mimmo e delle sorelle Francesca e Caterina, ha voluto esprimere i sentimenti di amore e di dolore con l’immagine simbolica e suggestiva della “quercia caduta” (lirica composta da Giovanni Pascoli) recitando con commovente pathos i versi della breve, ma densa di significato evocativo, poesia del poeta del fanciullino: “Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande/morta, né più coi turbini tenzona./La gente dice: Or vedo:era pur grande!/Pendono qua e là dalla corona/i nidietti della primavera. Dice la gente: Or vedo:era pur buona!/Ognuno loda, ognuno taglia. A sera/ognuno col suo grave fascio va./Nell’aria, un pianto… d’una capinera/che cerca il nido che non troverà.

Tutta la comunità si è unita dare il saluto per una vita onesta e generosa di cui è stato esempio questa piccola grande donna. Maria Concetta Contartese si sposa nel 1936 con Nicola Contartese. Quando le si chiede quale sia il ricordo più bello, risponde la nascita dei figli. E poi contrassegnava i suoi racconti affermando che lei è andata a “scola da fatica”. La madre, Barletta Caterina, muore nel 1967, all’età di 79 anni, mentre il marito, Nicola, nel 2009, all’età di 96 anni.

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