Piscopio, il soldato Rosario La Bella conobbe Ungaretti. Il ricordo del nipote mons. Giuseppe Fiorillo

Un soldato di Piscopio, Rosario La Bella, sul fronte della Grande Guerra conosce Ungaretti. Il ricordo del nipote, mons. Giuseppe Fiorillo, che racconta come il poeta aveva consegnato nelle mani del nonno un foglio autografo macchiato di sangue con i versi della poesia San Martino del Carso. L’iniziativa nei nuovi locali dell’Ipssara.

A oltre cento anni dal suo scoppio, si parla di guerra di posizione combattuta nelle trincee, di armi innovative che hanno cambiato le strategie militari, ma gli animali rimangono sempre in ombra nel racconto sulla Grande guerra. Eppure senza il loro aiuto nel trasporto delle salmerie, per l’approvvigionamento del cibo, senza il loro fondamentale apporto alimentare, ma soprattutto affettivo ed empatico, la storia avrebbe avuto un altro corso. Muli, asini, cavalli, cani, piccioni sono stati i compagni che hanno condiviso con i soldati l’immane tragedia ma anche hanno reso la guerra meno disumana, perché hanno permesso agli uomini di conservare e di recuperare i sentimenti umani in una sorta di primordiale pet-therapy che ha riportato i soldati ad una dimensione domestica.

Conoscere la storia attraverso il racconto orale e con il destino degli animali intrecciato a quello dei soldati sui diversi fronti della Prima guerra mondiale è un metodo innovativo per dare una nuova lettura agli avvenimenti storici più vicini a noi. A vivere questa esperienza gli alunni di due classi quinte nei nuovi locali dell’Ipssara E. Gagliardi (diretto dal prof. Carlo Pugliese), con la proiezione di un importante documentario, “Gli animali nella grande guerra” (realizzato da Folco Quilici e mandato in onda a maggio dello scorso anno, per celebrare i cento anni dell’entrata in guerra dell’Italia).

L’iniziativa si è svolta grazie all’impegno della responsabile di sede la prof.ssa Elena Chiti e di altri docenti e ha avuto l’obiettivo di offrire agli alunni la possibilità di leggere e interpretare i fatti storici secondo quello che è stato l’innovativo metodo storico della Scuola delle Annales (École des Annales, a partire dagli anni ’30 fino alla fine degli anni ‘60) di matrice francese, con il fondamentale apporto di storici come Max Bloch e Lucien Febvre a cui si è aggiunto Henri Pirenne, Fernand Braudel e Jaques Le Goff, in cui storia e scienze sociali si intrecciano, per mettere in luce la vita degli uomini nella loro globalità che la storiografia tradizionale aveva lasciato in ombra, dando esclusivo spazio agli avvenimenti militari e politici. La concezione del tempo storico viene rivoluzionata soprattutto da Fernand Braudel, il quale polemizza con la storia tradizionale di superficie, la cosiddetta storia événementielle, basata sugli avvenimenti politici più esteriori e visibili, la quale d’ora in poi viene confinata definitivamente in un ruolo subalterno a vantaggio di un modello di ricerca strutturale e funzionale fondato su uno stretto rapporto fra storia e tempo. S’impone, inoltre la categoria storiografica della “lunga durata”, in cui si delinea la scomposizione della storia in tre piani digradanti, il “tempo geografico”, il “tempo sociale”, il “tempo individuale” (all’interno del quale viene relegato l’évenémentiel), diviene evidente il nesso con la filosofia di Henri Bergson.  Attraverso questa nuova metodologia, emerge come gli animali abbiano condiviso insieme agli inermi soldati l’immane tragedia e siano stati dei protagonisti silenziosi.

Al confronto insieme ai docenti delle classi, ha partecipato anche mons. Giuseppe Fiorillo (referente provinciale di Libera) il quale ha rievocato la vicenda del nonno materno che ha partecipato alla Grande guerra, sul fronte dell’Isonzo e del San Michele. “Se il nonno non fosse ritornato, io non sarei qui a parlare con voi” ha esordito rivolgendosi agli allievi; “ma tanti altri calabresi che hanno partecipato alla guerra non sono più tornati” ha osservato. In questo suo personale ricordo ha associato anche la storia familiare di Papa Francesco, il quale, in un incontro in Vaticano, ha rivelato che i nonni originari di Asti mentre si stavano imbarcando per salpare in Argentina, nell’ondata migratoria di fine dell’Ottocento, sono stati fermati perché mancavano i documenti; poi quella nave è affondata. La loro salvezza, per una coincidenza fortunata, ha determinato anche il destino del Papa. E continuando a raccontare l’esperienza che ha vissuto il nonno materno, Rosario La Bella, sul fronte della Prima guerra mondiale, ha narrato l’incontro con un soldato che è poi diventato uno dei più grandi poeti del Novecento, Giuseppe Ungaretti. Nel ricordo rievocato dal nonno, si staglia la figura di quest’uomo che a lume di candela scriveva le sue poesie e poi distribuiva i fogli ai compagni, dicendo di conservarli che forse un giorno sarebbe diventato importante. Il sacerdote ha un ricordo vivo del nonno che teneva in mano quel foglio, dove erano impresse quelle parole macchiate di sangue. Quei famosi versi li ha ripetuti a memoria con grande commozione più volte agli allievi: Di queste case/Non è rimasto/Che qualche/Brandello di muro/Di tanti/Che mi corrispondevano/Non è rimasto/Neppure tanto/Ma nel cuore/Nessuna croce manca/E’ il mio cuore/Il paese più straziato. Si tratta di uno dei testi più conosciuti e più drammatici, la lirica “San Martino del Carso”, che fa parte della prima raccolta scritta sul fronte, “Allegria di naufragi”. Il rammarico del sacerdote perché quel foglio macchiato di sangue con le parole vergate da Ungaretti è stato smarrito. Ma la storia del grande poeta nato ad Alessandria di Egitto, che partecipò come soldato semplice alla prima guerra mondiale è legata ad un altro personaggio vibonese, passato alla storia come il “Paride della prima guerra mondiale” per la sua bellezza. Ungaretti ha dedicato una lirica che è stata inserita nella seconda raccolta, “Sentimento del tempo”, intitolata “Il Capitano”, che ha reso imperitura così la memoria di Nazzareno Cremona. Su questa vicenda e sulle sorti di due battaglioni di cui facevano parte molti soldati calabresi, la brigata “Brescia e “Catanzaro” che si sono resi protagonisti di atti eroici durante la guerra e collezionando diverse medaglie al valor militare, ma anche sulla partecipazione di Corrado Alvaro, attraverso le sue poesie giovanili “grigioverdi”, è stato dedicato un recente volume scritto da Pino Cinquegrana e da Francesco Deodato, “La Prima Guerra mondiale, guerra di posizione” (Edizioni Libritalia). Attraverso questa ricostruzione si rievocano alcuni fatti di cui sono stati protagonisti questi reggimenti, in particolare il “glorioso” 19esimo, di cui faceva parte il capitano Nazzareno Cremona, caduto il 27 agosto del 1917. Alla stessa brigata “Brescia” apparteneva Ungaretti e il nonno di mons. Fiorillo. In questi drammatici intrecci tra destini lontani in luoghi disseminati di morte e di dolore, emergono storie di umanità e di sentimenti, come dimostra la poesia di Ungaretti dedicata al suo Capitano e le liriche che lo stesso poeta – che si definiva una “creatura” e “uomo di pena” – distribuiva ai compagni soldati, affinché le corde emotive non venissero anche loro distrutte dalla follia bellica. Raccontano Deodato e Cinquegrana: “Toccò al suo affezionato soldato, Giuseppe Ungaretti, raccoglierlo da terra, stringerlo tra le sue braccia e chiudergli gli occhi dopo avere versato una lacrima che andò a mescolarsi con il sangue della ferita. Quel capitano, bellissimo, esempio di virtù militari e pluridecorato si chiamava Nazzareno Cremona ed era nato a Monteleone di Calabria (l’attuale Vibo Valentia) il 9 agosto 1892 da Francesco e Marianna Scalamandré.”

Anche gli animali, in questa terribile lotta fratricida, hanno combattuto la loro battaglia di vita e di morte, in stretto rapporto, condividendo le sorti dei soldati. Le loro testimonianze infatti ci rivelano un legame fatto di affetto e di amore verso gli animali, per il bisogno di comunicare sentimenti umani di fronte all’orrore e alle sofferenze delle trincee e dei campi di battaglia. La maggior parte dei soldati erano contadini (circa l’80 per cento) per cui, per vocazione, avevano un rapporto familiare con gli animali. A tal proposito è significativo un pensiero di Alain Corbin nel suo saggio “Il segreto dell’individuo: “Il costante influsso del libero pensiero favorisce il sorgere di un nuovo sentimento di fraternità tra l’uomo e la bestia. Garantire i suoi diritti, assicurargli il benessere, significa tentare di rompere la nuova solitudine del genere umano”. A queste parole fanno eco quelle di Giulio Caprin, volontario di guerra fuggito dalla sua città per combattere contro l’Austria. Nel dedicarlo ai giovani, mette in risalto lo stretto rapporto tra guerra, natura e animali: “La guerra riconduce alla Natura: dove essa fa il vuoto della vita consueta, riappaiono sul primo piano elementi che la pace nasconde: anche gli animali. Non è necessario aver l’anima francescana per sentirseli più vicini, in guerra. Dove e quando, anche per l’uomo, cessa l’illusione che la vita sia ordinariamente sicura, si intendono meglio queste altre creature che sempre, anche in pace, vivono in pericolo di morire; si intuisce meglio la loro natura che opera dominata da questo presupposto continuo: la morte”. Non ha caso lo stesso Ungaretti, sempre sul fronte di guerra in una lettera all’amico Giovanni Papini, descrive il suo incontro con alcuni animali vagando per i campi durante la notte, in un passaggio in cui racconta di aver salvato la vita ad una gazza, afferma che “c’è più umanità in questa gazza che in tantissimi uomini”. Questa memoria storica che hanno come protagonisti gli animali sul fronte della Prima guerra mondiale, oltre al documentario di Folco Quilici, è documentata da due interessanti libri, “Il bravo soldato mulo” di Lucio Fabi e “Animali sul fronte” di Eugenio Bucciol.

In questa epopea silenziosa e drammatica della Grande guerra, forse pochi sanno che il famoso cavallino rampante, emblema della Ferrari, è legato alla storia di Francesco Baracca, cavaliere passato all’aeronautica che come stemma impresse sul velivolo che pilotava il suo cavallo arruolato nell’esercito. Così l’aereo diventava il nuovo cavallo dell’aria, una sorta di novello Pegaso, il mitico cavallo alato. Enzo Ferrari, nella sua “rossa”, ha voluto omaggiare Baracca, con il simbolo del cavallino rampante.

Del rapporto uomo-animale ne dà testimonianza anche una inaspettata quanto rara e preziosa lirica dell’artista futurista Mario Sironi: Quando sarò lontano/ dalla vita e ripenserò/ al lungo martirio/ della mia esistenza, avrò/ un pensiero pieno d’amore/ per gli animali, le povere/ umili bestie che tanto/ mi furono care, i miei fratelli/ sulla terra semplici/ e onesti, contro l’uomo,/ la vera bestia dell’universo.” Su questi rapporti che si sono creati, nella vicenda millenaria dell’umanità, con lo sguardo rivolto agli effetti terapeutici che hanno gli animali per curare alcune patologie nell’uomo, si è sviluppata la ricerca sulla pet-therapy iniziata negli anni ’70 come ricerca applicata della terapia dolce con gli animali, che negli ultimi tempi sta conoscendo un rinnovato interesse da un punto di vista scientifico anche nel campo della cosiddetta “agricoltura sociale”. Uno dei pionieri di questa particolare disciplina terapeutica è il prof. Antonio Pugliese dell’Università di Messina, che all’argomento ha dedicato gran parte del suo impegno scientifico, raccolto in particolare nel volume “Pet Therapy, Strategie di intervento e linee guida”.

La storia dell’uomo, così come è accaduto nella Grande guerra, con immani sofferenze inferte all’umanità (si calcola che hanno preso parte circa 70 milioni di uomini, e solo in Italia sono morti oltre 650 mila soldati, con quasi un milione di feriti, 600 mila prigionieri e 50 mila soldati impazziti, mentre i calabresi caduti sono circa 20 mila) è stata segnata dalla follia che porta l’umanità a perdere qualsiasi sentimento umano. Le parole di uno dei più importanti indagatori della psiche dell’uomo e del rapporto uomo-natura, James Hilman, che si trovano nell’opera “Un terribile amore per la guerra” (Adelphi, 2005) ci devono far riflettere:“La memoria ufficiale è corta. Le prove delle atrocità marciscono negli archivi istituzionali, eppure la memoria della inumanità della guerra non sbiadisce con il tempo. Aleggia con i suoi fantasmi. È possibile seppellire mai completamente i morti?”. Hilman è l’autore del suggestivo “Il codice dell’anima” e in tempi più recenti ha dedicato un’opera alla presenza degli animali nella vita degli uomini, “Presenze animali” (pubblicato di recente, sempre da Adelphi).

 documentario Mons. Fiorillo all'Ipssara

il racconto di mons. Fiorillo