L’agricoltura lucana è bioresistente

L’agricoltura della Basilicata è capace di distinguersi, produrre artigianalmente e arrivare sul mercato globale; perché è capace di ridar valore ai prodotti della tradizione adeguandoli ai gusti moderni; perché un’idea di investimento privata può contagiare favorevolmente una piccola collettività; perché l’agricoltore con le sue conoscenze, date dalla convivenza continua con gli elementi della natura, è in grado di prevenire e tamponare con la sua opera quotidiana gli eventi climatici avversi; perché la nostra terra tanto bella quanto fragile, va tutelata innanzitutto con il presidio umano. E’ in sintesi il “messaggio” che proviene dal progetto promosso dalla Cia presentato in due incontri a Tricarico e Scanzano e preceduto dal documentario Bioresistenze realizzato da Guido Turus, autore anche di un omonimo libro che raccoglie testimonianze di esperienze agricole, cooperative che gestiscono beni confiscati alle mafie (in Basilicata i provvedimenti di confisca sono 14), aziende a conduzione femminile, esempi d’imprenditoria giovanile, di salvaguardia dell’ambiente e di tutela della fertilità del suolo. Cosa unisce la Cooperativa Valli Unite dell’Alessandrino a Terra! Onlus di Roma e Genova? Cosa unisce Sos Rosarno a la Tenuta della Mistica a Roma? Sono alcuni esempi di quella che si può definire agricoltura resistente in un senso che è prima di tutto civico. In tutta Italia ci sono cooperative, associazioni, piccole aziende familiari, imprese agricole che curando un territorio finiscono per fare e curare la stessa democrazia. Un concetto ripreso dal viceministro all’Interno Filippo Bubbico secondo il quale è necessario “che il settore dell’agricoltura torni ad essere un punto di riferimento importante per l’economia italiana, sradicando le varie forme di criminalità e riportando la legalità e la sicurezza nelle campagne affinche’ il mondo agricolo diventi protagonista del mondo produttivo nazionale”. In totale il tesoretto confiscato alla mafia – secondo dati del Ministero – vale tra 10 e i 34 miliardi di euro. Soltanto la Direzione investigativa antimafia ha confiscato alle organizzazioni mafiose oltre 2 miliardi tra case, ville, palazzi e società di capitali. Una cifra in costante aumento. Il vice ministro Bubbico ha colto l’occasione per ricordare la strategia innovativa voluta da Renzi e alcune cifre: 32,2 miliardi di euro provengono dal bilancio dell’Unione europea (Fondi FESR ed FSE); 24 miliardi sono la quota di cofinanziamento nazionale; 4,3 miliardi il cofinanziamento delle regioni, cui si aggiungono 39 miliardi di euro del Fondo sviluppo e coesione nazionale 2014-2020 e altri 17 miliardi dello stesso Fondo relativi a risorse non ancora spese e risalenti alle programmazioni 2000-2006 e 2007-2013. E poi la questione immigrati: l’agricoltura italiana si sta popolando sempre più di lavoratori d’origine straniera. Immigrati di varie nazionalità sono impiegati nelle mansioni e nei settori più disparati, soprattutto in zootecnia, arboricoltura e in orticoltura. È ragionevole pensare che essi costituiscano quasi il 20% della manodopera agricola rilevabile statisticamente. Si tratta di una concentrazione significativa, visto che gli stranieri presenti in Italia costituiscono circa il 7% della popolazione totale, destinata a crescere e per questo il Governo ha definito specifici programmi che all’accoglienza integrano l’integrazione a partire dal lavoro regolare contribuendo ad arginare lo spopolamento dei piccoli comuni rurali. Il termine bioresistenze – è stato detto da dirigenti nazionali e regionali della Cia, accompagnati dal prof. Ettore Bove (Unibas) ,Pancrazio Toscano (Basilicata Rurale), Alfonso Pascale e Rudy Marranchelli (Agia) – descrive un “sano” rapporto con il territorio dimostrando quanto l’agricoltura non sia solo e semplicemente un azione economica/finanziaria ma, anche, pratica di resistenza alle forme di illegalità, resistenza all’uniformazione (che è appiattimento e non uguaglianza) sia culturale che alimentare, resistenza alla violenza con cui vengono trattate e gestite le risorse naturali, resistenza alla scomparsa di biodiversità. Al centro esperienze agricole eterogenee che descrivono un patrimonio comune: piccole e grandi, a conduzione femminile, d’imprenditoria giovanile, cooperative che lavorano i terreni confiscati alle mafie, aziende biologiche e biodinamiche, agricoltori che, indipendentemente dai marchi, fanno bene il loro lavoro e nel farlo tutelano e realizzano la democrazia. La Basilicata – è stato detto – ha perso irreversibilmente terreno utile per l’agricoltura. La Basilicata rientra tra le regioni con maggior tasso di incremento di suolo artificializzato; infatti nonostante sia una regione caratterizzata da un contesto prevalentemente rurale e a bassa densità di popolazione, il consumo di suolo aumenta seguendo un trend coerente con l’andamento nazionale. Il consumo di suolo effettivo, che non considera cioè quelle aree naturalmente protette dal consumo di suolo, è del 3,10%. Il dato preoccupante riguarda tuttavia l’incremento di consumo di suolo negli anni tra 1989-2008 con un tasso annuo del 2,92%. Lo scopo di questo progetto – hanno detto i dirigenti della Cia – è quello di sensibilizzare più persone possibili per avvicinarsi ad una politica in difesa del territorio con un consumo di suolo pari a zero, e per entrare anche noi a far parte dei comuni virtuosi. Oggi l’agricoltura ha l’obbligo di difendersi e di difendere sopra ad ogni cosa la propria fonte di reddito e vita: la terra”.