Mel Gibson spegne 60 candeline

Padre ferroviere alla stazione centrale di New York. Madre casalinga di origini australiane. Sesto di undici figli Mel Gibson esordisce in Australia nel 1976 con “The Sullivans” (1976-1983), noto telefilm e, l’anno dopo, nel film di Anthony Page “I Never Promised You a Rose Garden”, con Dennis Quaid e Bibi Andersson. Il ruolo che lo rende famoso è quello di “Rockatansky” in “Interceptor – Il guerriero della strada” (1979) di George Miller, per la trilogia di Mad Max.

Mel Gibson nella saga fa il poliziotto alla caccia dei teppisti che gli hanno ucciso moglie e figlio, poi diventa ritardato mentale in “Tim – Un uomo da odiare” (1979), giornalista in “Un anno vissuto pericolosamente” (1982) di Peter Weir, spacciatore di droga in “Tequila Connection” (1988) di Robert Towne e baro a poker in “Maverick” (1994) di Richard Donner tratto dalla popolare serie (1957-61).

Decide di passare alla regia agli inizi degli anni ’90 e subito arriva il successo. Gibson fonda la sua casa di produzione Icon Productions, e con “Braveheart” porta a casa 5 Oscar. Ma la vera notorietà – e non solo per i valori cinematografici – gli arriva con “La passione di Cristo” (2004), racconto anche troppo realistico del martirio di Gesù.

Nel 2006 è arrestato per guida in stato di ebbrezza.  Solleva altre polemiche nel 2007 con il film “Apocalypto”, in cui la violenza diventa esplicita, con tanto di teste mozzate, sgozzamenti, stupri, torture, massacri di donne e bambini inermi, cuori pulsanti strappati dal petto. La storia è quello dei Maya, dilaniati da una guerra fratricida senza quartiere prima di cadere vittime dei conquistadores.