Filosofia 2.0, l’anima in occidente

IL PRIMATO DELL’ORDINE ANTROPOLOGICO E LA NASCITA DELL’OCCIDENTE

[L’Occidente al centro di tutto]

L’Occidente nasce nel momento in cui l’uomo eleva se stesso a fonte normativa per il cosmo: la città non si regge più sulle leggi fornite dall’universo ma, al contrario, essa trova un fondamento proprio, prettamente umano e dunque slegato dal cosmo il quale è, ora, da essa definito.

Galimberti chiama questa inversione di rotta culturale “primato dell’ordine antropologico”, indicando con tale espressione proprio il prevalere (in Occidente) dell’uomo, dell’umano, sulla Natura.

L’etica fonda il cosmo e non il contrario. Ecco perché si può affermare che l’uomo occidentale, rispetto all’ordine del cosmo, appare “smisurato”: smisurato in quanto fuori dalla misura delle stesse regole che governano il mondo. Se per Aristotele infatti l’economia, la politica e l’etica non potevano rientrare nel novero delle scienze più alte poiché avevano come oggetto di studio l’uomo, che non era certo pensato come l’essere più alto dell’universo, adesso invece esse vengono considerate come massima espressione del sapere proprio per il fatto che il loro oggetto di studio, l’uomo, è ritenuto il più alto e nobile tra le creature viventi.

PER FARE IL PUNTO!

Il “primato antropologico” dell’Occidente consiste nel fatto che l’uomo occidentale ha preteso di elevare se stesso a giudice supremo: sono ora le leggi della polis a dominare il cielo e non viceversa.

Un’operazione filosofica di questo tipo non è certo priva di conseguenze e anzi esse furono, va detto, profondamente negative.

Dopo essersi elevato a signore del cosmo, l’uomo introietta nel proprio inconscio la “lettura del cielo” la quale, eliminata dalla vita conscia, si ripresenta a livello inconsapevole, inconscio appunto, attraverso veri e propri assilli esistenziali tra cui le insopprimibili domande circa il senso del tempo e della vita.

Tuttavia, il problema principale derivante da questa nuova visione del mondo è il sentimento dell’angoscia del futuro.

Il futuro infatti, diventato ora incerto e irrazionale, risulta irrimediabilmente e maledettamente imprevedibile, sfuggevole e confuso agli occhi degli uomini.

L’uomo sente pertanto di essere minacciato da quello stesso futuro che prima invece lo rassicurava, poiché fondato sulla corrispondenza tra ordine celeste e ordine terrestre. Un futuro imprevedibile e incerto è causa di preoccupazioni che l’uomo cerca nervosamente di mettere il più possibile a tacere: non potendo però trovare sulla terra le risposte al proprio disagio, l’uomo ha preferito cercarle nel cielo che, afferma Galimberti, “appariva più stabile della terra inquieta”.

PER FARE IL PUNTO!

Perso l’ordine naturale uomo-mondo, l’uomo emancipatosi dalla Natura si trova in realtà in balia di essa: il futuro appare incerto in quanto privo dell’ordine naturale che trovava nel cosmo il suo fondamento.

Proprio da questa profonda inquietudine scaturisce quell’approccio indagatore nei confronti del reale che sarebbe diventato solo successivamente, a pieno titolo, scienza.

La scienza ha infatti come obbiettivo quello di aumentare il più possibile l’ambito delle conoscenze umane, sottraendo campo all’ignoto in modo da ridurre l’inquietudine umana ad esso connessa.

Esemplare è, a tal proposito, l’operazione di distacco del sapere medico dal mondo degli Dei compiuta da Ippocrate.

La medicina fu, infatti, la prima tecnica prettamente umana ad emanciparsi dal divino, attraverso un tentativo concreto e prescientifico di ricondurre i mali fisici a cause organiche e dunque non più divine. Secondo Ippocrate infatti, il “male sacro […] ha struttura naturale e cause razionali: gli uomini tuttavia lo ritennero in qualche modo opera divina per inesperienza e stupore […].” (Ippocrate, Male sacro, Opere, Utet, Torino 1976, §1, pag. 297).

PER FARE IL PUNTO!

L’inquietudine ora provata dall’uomo si traduce in un interesse indagatore che darà successivamente vita ad un metodo e ad un sapere razionale denominato scienza. Ippocrate è l’iniziatore di questo nuovo atteggiamento di indagine in campo medico.

[L’ANIMA IN OCCIDENTE]

L’ETA’ ANTICA, L’ETA’MEDIEVALE E L’ETA’ MODERNA

Nascita ed evoluzione del concetto di anima in correlazione all’evoluzione dei concetti di tempo, morte, salvezza e colpa.

LA GRECIA ANTICA

[Un mondo senz’anima]

“Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profonda è la sua essenza”.

Eraclito, frammento.

La Grecia è la patria della cultura occidentale: è la culla che ha accolto, e per così dire accudito, la maggior parte dei concetti che sarebbero poi giunti fino a noi passando sotto i ferri ermeneutici di filosofi e pensatori che contribuirono, insieme, a definirli e a stravolgerli.

E’ in Grecia, non a caso, che nasce la filosofia, circa attorno all’ VII secolo a.C., come espressione concreta dell’esigenza di un allontanamento dal mito alla ricerca di un approccio, di un metodo, maggiormente “razionale” nell’indagine della realtà, nel tentativo ultimo di comprendere le cause dei fenomeni fisici.

Poiché questo è, a pieno titolo, il primissimo ambito di indagine filosofica: la Natura e le forze che la governano.

E’ proprio in quest’ottica indagatrice del reale che può essere considerata la prima scuola filosofica accertata: la scuola dei Fisici ionici di Mileto.

Ma è greca anche l’invenzione dell’anima? Diciamo subito che la risposta che daremo è no: i Greci antichi non conoscevano il concetto di anima e mai lo conobbero, almeno non nell’accezione che l’anima ha oggi.

Essi conobbero sì una sorta di anima (pur sempre comunque lontana dall’accezione odierna) ma solo a partire da Platone: fu lui infatti, come vedremo, ad inventarla.

PER FARE IL PUNTO!

Nata in Grecia come forma di allontanamento dal mito nelle spiegazioni della realtà, la filosofia introdusse un metodo di indagine organizzato e razionale. Nessuna traccia dell’anima, intesa in senso attuale, è presente nella Grecia delle origini.