FILOSOFIA 2.0 – Sogno o son desto? Quando i pizzicotti non ci svegliano!

[ Tra sogno e realtà ] Confondere i sogni con la realtà: è mai possibile? Nella dimensione in cui solitamente pensiamo ai sogni certamente no: prima o poi infatti qualcuno ci darà un pizzicotto e allora capiremo che era tutto finto! Certo è che il sogno si presenta come realtà a tutti gli effetti: se così non fosse non ci spaventerebbero, non ci emozionerebbero, non ci entusiasmerebbero e soprattutto non ci farebbero svegliare con il fiatone nel cuore della notte quando sarebbe più razionale dormire. Eppure il sogno, che è finzione, altissimo costrutto della nostra mente, pretende di essere vero, di esistere, di essere reale e questa pretesa non può che essere da noi assecondata! [ E se fosse tutto un sogno? ] Per noi il sogno è solo dissimulazione e di questo ce ne accorgiamo per fortuna una volta svegli, ma il filosofo francese Cartesio (1596-1650) riflettendo sui meccanismi che si innescano durante il sogno, ipotizzò che dinamiche simili possano avvenire anche nella vita. La domanda che pone Cartesio è all’incirca questa: “cosa mi garantisce che le cose del mondo siano vere? E cosa garantisce la veridicità della corrispondenza tra il mio pensiero e la realtà?”. Banalmente Cartesio si chiede “cosa mi permette di dire che la mia vita e il mondo in cui vivo non siano un sogno, come quelli notturni, ma realtà?”. Per rispondere a questa domanda Cartesio elaborerà una propria filosofia volta a eliminare quel dubbio (prima metodico e poi iperbolico) che così insistentemente si insinuava nel suo pensiero e nella sua vita. La risposta che Cartesio darà, il famoso “cogito ergo sum” (penso, dunque sono) non è qui di grande importanza anche perché coinvolge Dio e il suo rapporto con il mondo sensibile e prevedrebbe una lunga digressione. E’ invece più interessante chiedersi perché i sensi non bastino, da sé,  per esprimere un giudizio circa l’attendibilità dei miei pensieri. Perché mai dovrei dubitare della reale esistenza dell’albero che ho in giardino, della mia moca del caffè, delle chiavi di casa, della mia auto, del mio cane che mi sveglia la mattina leccandomi i piedi, del gatto che miagola astutamente quando ha fame e della mia stessa esistenza? In fondo, diranno i materialisti, basta guardare per rendersi conto che tutte queste cose esistono davvero. E ancora, il fatto stesso di poterle prendere e sentire non basta per ritenerle realmente esistenti? La risposta a tali dubbi è quanto mai certa, ed è no! [ L’illusione di Truman ] Ma allora cosa mi trattiene dall’essere certo dell’esistenza delle diverse realtà sopra citate? Per capirlo è sufficiente pensare al film “The Truman Show” (1998) che racconta la vita di un giovane di nome Truman, nato e cresciuto in diretta mondiale all’interno di un mondo letteralmente preconfezionato apposta per lui: Truman (Jim Carrey) è il protagonista di un reality show televisivo leader di ascolti che trasmette in tempo reale la sua vita. Il punto è che Truman questo non lo sa: la vita che conduce è finta, così come è finto il paese in cui abita e così come sono finti il sole che sorge ogni mattina, la propria casa, il cielo, le stelle, la luna e perfino il mare. L’artefice di questo enorme studio televisivo è la troupe (il Genius Malignus direbbe Cartesio) che lavora al programma. Poco a poco l’enorme macchina scenica messa in piedi per (o contro?) Truman comincia a vacillare anche perché, oramai cresciuto, Truman desidera esplorare il mondo non accontentandosi più della risposta di una sua maestra che gli ricordava che “ormai non c’è più niente da esplorare”. Tanti piccoli particolari (tra questi un riflettore “piovuto” dal cielo, proprio davanti ai suoi occhi) permetteranno a Truman di comprendere quanto il suo mondo fosse fittizio: nella scena finale del film Truman, giunto ai confini degli studi televisivi, metaforicamente rappresentati da un muro che contiene il cielo e delimita il mare, saluta il pubblico incollato davanti ai televisori di tutto il mondo e si congeda dallo show per sempre. Truman ce l’ha fatta: ha scoperto che il mondo in cui viveva era finto! Se questo mondo, il nostro, proprio come quello di Truman fosse finto, non dovremmo prima o poi svegliarci, magari di soprassalto, proprio come accade di notte? Potrebbe accadere, ma questo non sarebbe sufficiente per dire che la realtà, quella nuova, nella quale ci saremo venuti a trovare sia la vera realtà: come aveva ipotizzato Cartesio infatti, questo gioco di “false dimensioni” potrebbe essere strutturato a mo’ di matriosca cinese in cui, in ogni realtà conquistata se ne nasconde in verità una più ampia che la contiene. [ Tanti modi di intendere il mondo ] Se a questa riflessione aggiungiamo la rivoluzione copernicana compiuta in filosofia da Immanuel Kant (1724-1804), le cose si complicano ancora di più: siamo ora costretti ad ipotizzare che, non solo la realtà in cui ogni giorno viviamo possa essere falsa, ma dovremo anche considerare la soggettività di chi la guarda e cioè il fatto che a guardarla è l’umanità (e ovviamente, al suo interno, i singoli individui). Il pensiero di Kant, data la sua complessità, meriterebbe ampie riflessioni, ma può essere qui introdotto attraverso un piccolo esempio: vi siete mai chiesti come ci vedano le api? Si, intendo proprio come guardano il mondo: quali colori vedono e quali no, quali sfumature percepiscono, quale percezione del movimento hanno e tanto altro. E i cani? Sapevate che i cani, ad esempio, percepiscono bene i colori blu e giallo mentre tutti gli altri colori non sono altro che sfumature di questi due? Per quanto possa sembrare strano il mondo che percepiamo attraverso i nostri sensi, e tra questi un ruolo predominante ha sicuramente la vista, non è altro che una delle centinaia di migliaia di “modalità di vedere” il mondo: ogni essere vivente ha la sua! Questa è la rivoluzione copernicana kantiana: lo spostamento del centro d’indagine filosofico dall’oggetto percepito al soggetto conoscente. Da Kant potremmo oggi banalmente sentirci dire questo: “Smettetela di dire com’è fatto o come dovrebbe essere fatto il mondo: esso appare diverso a ciascuna coscienza che lo guarda! Di conseguenza è inutile cercare di conoscere la cosa in sé poiché essa, a patto che esista, è filtrata dai nostri sensi che le imprimono una struttura (ovvero una forma, un colore, delle dimensioni ecc.) diversa, sempre a seconda della coscienza che guarda!”. Proprio sulla base di questo ragionamento Kant distrusse ogni forma di metafisica (ovvero ogni tentativo di arrivare alla comprensione del trascendente o Assoluto che possiamo, esemplificando, identificare con Dio). La metafisica ha pretese infondate poiché, se di Dio non si dà alcuna manifestazione sensibile (non lo si vede fisicamente), manca il primo gradino perché possa esserci una forma di conoscenza: manca l’esperienza dei sensi. Se conosco, organizzando, solo ciò che si manifesta nel mondo, come posso pretendere di conoscere qualcosa (Dio) che non dà alcuna manifestazione di sé? [ In attesa di svegliarci ] Se la realtà sia un sogno oppure no rimane (e probabilmente rimarrà per sempre) un mistero, certo è che avere ben presente la soggettività di chi conosce è indispensabile per dotarsi di una visione più ampia del mondo in cui viviamo. Il filosofo Arthur Schopenhauer (1788-1860) ci lasciò una bellissima metafora sui sogni visti come pagine della nostra vita: “La vita e il sogno sono le pagine di uno stesso libro. La lettura continuata si chiama vita reale. Ma quando l’ora abituale della lettura (il giorno) è terminata e giunge il tempo del riposo, allora noi spesso seguitiamo ancora pigramente, senza ordine e connessione, a sfogliare ora qua ora là una pagina: ora è una pagina già letta, ora una ancora sconosciuta, ma sempre dello stesso libro […]”. Insomma, la vita e i sogni sono pagine di uno stesso libro: leggerle attentamente è vivere, sfogliarle a caso è sognare! di Daniele Meglioli Scrivetemi a: [email protected]