Vibo Valentia, il testamento spirituale di mons. Giuseppe Fiorillo

la messa sul monte monsFiorilloLa  messa, celebrata simbolicamente sul monte, affinché “la luce si pone sul candelabro, non sotto il moggio”. Con questa intenzione e con questa tensione umana e religiosa, nasce il memoriale che condensa il giubileo sacerdotale di mons. Giuseppe Fiorillo, parroco di San Leoluca e dal 1 settembre messo a riposo da mons. Luigi Renzo, vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea.

Chi si accosta alle sue parole, scaturire in una veglia a lode del Signore, a scandire il giorno del suoi 50 anni di ordinazione, tra il 28 e il 29 giugno, si ritrova a sentire il tono e il dono della preghiera e della lode. La memoria non appartiene a kronos, il tempo quantitativo, razionale, sequenziale, ma a Kairos, il tempo di Dio, in cui si distillano le vicende della storia e rimane l’essenzialità spirituale: stille condensate in cui la vita si carica dei suoi molteplici significati e risonanze, e ogni esperienza vive il suo verbo alla luce dell’intera parabola che ha segnato, insegnato e disegnato il percorso sacerdotale, come in un grande quadro in cui il linguaggio cromatico, si decodifica allontanando lo sguardo, con un abbraccio totalizzante per riconoscerne le immagini e gli effetti estetici. In quel lontano 1963, moriva Papa Giovanni XXIII e Martin Luter King pronunciava il suo “I am a dream”. Nello stesso giorno si spegneva un altro grande “apostolo laico”, Umberto Zanotti Bianco, che ha eletto la Calabria come terra di esperienza esistenziale e umanitaria.

“La messa sul monte” dà spazio ad una esegesi testuale, talmente è carico e concentrato il suo messaggio.  Stupisce soprattutto, per chi ha avuto modo di ascoltare le sue omelie e di conoscere i suoi interventi, il pieno accordo tra le parole e il tono, l’identità tra lingua parlata e lo stile della scrittura. Una corrispondenza che più di ogni altra cosa, testimonia della sua coerenza, della sua vocazione, del suo impegno nel testimoniare il vangelo e il messaggio di Cristo. Un accordo che è indice di unione tra spirito e corpo, tra parola e gesto, tra pensiero e azione e di uno stare con la gente, un continuo esercizio della comunicazione orale e vestire i panni del suo gregge.

La sua memoria, come un filo, comincia a dipanarsi in primo luogo nel suo paese natio, Piscopio. Corre ai suoi genitori, alle esperienze drammatiche della seconda guerra mondiale, alla casa di campagna, la valle del piccolo fiume Patamò, “la valle della sua fanciullezza” in una comunione intensa con la natura, finché il padre non viene inghiottito nel buio della guerra. Ma fortunatamente fa ritorno a casa grazie al quarto figlio, al contrario di tanti papà ingoiati dalla steppa russa.

Alla messa del suo giubileo sacerdotale “don Peppino” vede e riconosce tutte le comunità a lui affidate: così come Ungaretti nella poesia i “Fiumi”, rievoca la sua vita nei quattro fiumi che hanno scandito la sua biografia, mons. Fiorillo scorre nelle acque della sua memoria la comunità di Arena, appena dieci giorni dopo l’ordinazione; quella di Sant’Angelo, Ciano e Ariola, “una volta ridenti e belle, oggi imbarbarite dalla sete di danaro”, fino alla parrocchia di San Leoluca, dove si ferma il suo cammino. In questa rassegna, si staglia il volto dei tanti stroncati in età prematura da mali incurabili, e quindi il suo tragico incontro con la morte. E cita, non a caso, i versi di Ungaretti della lirica Sono una creatura, “la morte di sconta vivendo”.

Sant’Angelo rappresenta per l’allora giovane parroco, l’inizio del cammino cristiano-sociale, e lo confronta con il libro dell’Esodo, come coscienza critica, sia nel campo religioso che civile, che lo ha accompagnato per tutto il suo apostolato: unire l’attività religiosa con l’impegno per la dignità dell’essere umano, attraverso il valore della Costituzione italiana in un territorio fortemente degradato e arretrato sia culturalmente che materialmente. Una presa di coscienza che si esplica in alcune battaglie di civiltà, insieme alla comunità, che caratterizza tutto il suo sacerdozio accanto a coloro che sono più deboli, che soffrono, che vivono ai margini, nel segno del verbo cristiano. E così nella notte di veglia che scandisce il suo giubileo, rievocando le comunità e i momenti più importanti, il pensiero va agli incontri, come quello con don Marcello Mennini, venuto da Roma in incognita, nei primi anni ’70, per vivere un’esperienza di lavoro e di condivisione con gli operai, anche lui colpito a 35 anni dal male oscuro del secolo.  come quello di don Lorenzo Milani, che “don Peppino” ha incontrato a Barbiana qualche mese prima di essere anche lui dal cancro, definito “paese della mia anima”. Era d’estate, e con i ragazzi stava scrivendo “Lettera a una professoressa”.

In questo suo viatico non può dimenticare la comunità di Francica, in cui ha vissuto 25 anni di sacerdozio; e quella di Vena di Ionadi, culminata con la costruzione della chiesa “Gesù Salvatore”. Il suo itinerario infine approda nella comunità di San Leoluca, alla morte di mons. Onofrio Brindisi. “Qui, in questi anni, ho rallentato il mio correre per ascoltare, guardare i visi, lenire con la parola che aiuta, gli affaticati e gli oppressi … Mi fa tenerezza, ancora, questo Dio che rallenta il passo perché non rimanga indietro la pecora gravida. Anche Gesù conosceva l’arte del rallentare il passo”, che ha avuto il significato di “rendere visibili gli invisibili: i poveri.”

Il tempo trascorre e arriva l’alba del nuovo giorno, del cinquantesimo anno e don Peppino apre la finestra, nel respiro sente l’universo: “Quando contemplo i cieli,/ opera delle tue mani,/ la luna e le stelle che tu hai fissate/che cos’è l’uomo/perché ti ricordi di lui?/che cosa è il figlio dell’uomo/che di lui ti prendi cura? (Salmo 8, 4-5). Egli è grato perché il Signore si è preso cura di lui in tutti questi anni, da quel lontano 29 giugno del 1963, alle ore 11, festa dei Santi Pietro e Paolo, mentre era prostrato a terra e veniva invocata l’intercessione dei Santi …

Questo piccolo testamento spirituale è corredato da una serie di fotografie storiche che contrassegnano la rievocazione degli eventi e dei vari momenti, che restituiscono alle parole un valore comunicativo attraverso il linguaggio iconografico e ne fanno un testo tipograficamente elegante, coronato dalla “Preghiera semplice” di San Francesco d’Assisi.