Romney allunga su Santorum ma lui non molla

Il senatore italoamericano ha rischiato di strappare una clamorosa vittoria trasformando in un funerale la festa che l’ex governatore del Massachusetts ha organizzato al Diamond Center a 40 minuti da Detroit, un centro congressi che è anche un immenso concessionario guarda caso di automobili, dove come se il clima non proprio rilassato non bastasse a un certo punto sono saltati anche i collegamenti tv e Internet. Doveva essere una notte lunghissima, con gli esperti che ricordavano che la corsa era “too close to call”, come ai tempi di George W. Bush e John Kerry. Le distanze tra i due troppo vicine per far gridare alla vittoria. Ma dopo poco più di un’ora dalla chiusura dei seggi, proprio Santorum ha preso la parola dal suo party finale nel freddo di Grand Rapids per ringraziare gli elettori per avergli regalato questa performance “quando qui tutti dicevano che non avevo chance”. Ma suggerendo in pratica che non ce l’avrebbe fatta a realizzare il clamoroso sorpasso. “Non avremo vinto di molto – ha detto Romney ai suoi sostenitori – ma abbiamo vinto, e questo è quello che conta”. Sorridente per la doppia vittoria, l’ex governatore ha parlato soprattutto di Obama. “La sua presidenza è un fallimento. Ci porta al declino, non potremmo sopportare una sua rielezione”. E, usando la formula che portò alla Casa Bianca l’attuale presidente dice: “Yes we can, sì, possiamo rimandarlo a casa”.

I supporter di Newt Gingrich hanno votato anche loro Santorum, viste le sue pochissime possibilità qui. Il solito Ron Paul ha fatto gara solitaria augurandosi di portarsi dietro, dice, anche i democratici stanchi di Barack Obama. Alla vigilia di quel SuperTuesday che martedì prossimo vedrà ancora al voto la bellezza di dieci stati. E’ un caso se solo il 45 per cento di votanti sostiene di essere davvero soddisfatto del candidato che ha scelto e il 48 per cento dice in pratica che si è turato il naso? Se ne infischiano, per ora, i supporter di Romney che cominciano a urlare “Mitt! Mitt!” quando alle nove di sera del Michigan i giochi sono finalmente fatti. Almeno in Arizona dove l’ex governatore del Massachusetts si porta a casa i 29 delegati in palio per la Convention che in agosto a Tampa eleggerà il candidato da opporre a Obama. Ma laggiù era una vittoria scontata. La partita che contava era quella di motor town. Apertissima fino alla resa di Santorum, fino alle proiezioni delle tv che sciolgono le riserve e dopo un’ora e mezzo danno Mitt vincitore, anche se di misura. L’ultima sorpresa è stata la discesa in campo dei democratici. Obiettivo far vincere Santorum, un candidato considerato molto meno pericoloso di Mitt Romney, perché troppo a destra e incapace quindi di pescare in quell’elettorato moderato e indipendente che come al solito deciderà a novembre tra i due partiti litiganti. Lo sa anche Barack Obama che non ha perso l’occasione, sempre ieri, di andare all’attacco dell’ex governatore. l presidente era a Washington ma parlando ai lavoratori dell’auto era come se avesse aperto una finestra su Detroit. Ha ricordato che certa gente avrebbe voluto “lasciare andare Detroit in bancarotta” citando l’articolo ormai tristemente famoso con cui quattro anni fa Romney condannò sul New York Times i salvataggi dell’auto di Barack. Obama non ha mai citato per nome il rivale. Qui in Michigan il “tradimento” di Mitt, uno di loro, uno nato proprio a Detroit, figlio fra l’altro del magnate dell’auto George, se lo ricordano tutti. E proprio per punire quel tradimento sono scesi in massa a votare contro Mitt decine di migliaia di democratici. Joe DiSano, il consulente democratico che ha ideato questo bello scherzetto, pensa di aver portato alle urne “almeno 14 mila democratici” per fare lo sgambetto a Mitt, facendo, lui italoamericano, votare l’italoamericano Santorum.

Restava l’Arizona a far tornare il sorriso a Romney. Li i primi exit polls l’hanno dato subito in vantaggio. Ma lì Mitt incassava una lunga campagna di corteggiamento tutta incentrata sul problema-sicurezza con il preziosissimo endorsement avuto da quella governatrice Jan Brewer, qui popolarissima anche per la singolare battaglia personale nei confronti di Barack Obama e soprattutto per quella durissima legge anti-immigrazione. Ma fare i duri sugli immigrati in quegli stati che combattono col confine-colabrodo potrebbe rivelarsi un boomerang a livello nazionale dove i latini saranno una forza decisiva nel referendum su Barack Obama. Sempre che la sfida infinita tra i repubblicani avrà finalmente decretato un vincitore.