Coca Cola sfrutta i neri di Rosarno

Che migliaia di extracomunitari, spesso senza permesso di soggiorno, fossero sfruttati nelle campagne meridionali, gli italiani l’avevano scoperto almeno due anni fa, quando centinaia di lavoratori di colore scesero nelle strade di Rosarno nella piana di Gioia Tauro e organizzarono una vera e propria rivolta per denunciare le vessazioni razziali subite e le condizioni squallide in cui erano costretti a vivere e a lavorare.

In questi giorni un’inchiesta condotta dalla rivista ambientalista britannica The Ecologist e ripresa dall’Independent di Londra torna sul tema e punta il dito contro la multinazionale americana che acquisterebbe a bassissimo prezzo dalle aziende calabresi succo d’arancia concentrato, prodotto dagli agrumi raccolti dagli immigrati, causando indirettamente lo sfruttamento della manodopera africana.

L’inchiesta racconta come proprio in questi giorni circa duemila africani, molti dei quali sono arrivati in Italia affrontando un viaggio a dir poco insidioso, siano impiegati nelle campagne calabresi. Per un’intera giornata di lavoro ottengono al massimo 25 euro. Sono concentrati per lo più intorno alla città di Rosarno e raccolgono gran parte delle 870.000 tonnellate d’arance che ogni anno sono colte in Calabria. La maggior parte di questi lavoratori vive in baraccopoli in condizioni pessime ed è alla mercé delle organizzazioni criminali. Ai caporali infatti i migranti pagano “una tassa” per poter lavorare negli agrumeti calabresi. Le arance raccolte sono usate per produrre succo concentrato che è poi venduto a diverse multinazionali, tra le quali c’è la Coca Cola. Quest’ultima sarebbe una delle principali acquirenti di succo d’arancia concentrato che utilizza per la produzione della Fanta.

Secondo gli attivisti, il vero scandalo sarebbero i 7 centesimi pagati dalle multinazionali per ogni chilo di succo d’arancia: il prezzo sarebbe troppo basso e lo dimostra il fatto che tanti agricoltori locali preferiscono lasciare marcire sugli alberi gli agrumi piuttosto che raccoglierli. Da qui segue che le aziende che danno lavoro agli extracomunitari sono costrette a sottopagarli e a sfruttarli perché questo è l’unico modo per ottenere un profitto dalla vendita del succo d’arancia alle multinazionali.

Pietro Molinaro, presidente della Coldiretti Calabria, ha raccontato alla rivista ecologista di aver presentato il problema alla Coca Cola, che solo nel 2010 ha fatturato 11,8 miliardi di dollari, ma di non aver ricevuto risposta. “Il prezzo che pagano le multinazionali non è giusto – confessa Molinaro – Così costringono le piccole aziende dell’area a sottopagare gli operai”. Secondo Molinaro basterebbe arrivare al “giusto prezzo” di 15 centesimi e la situazione degli agricoltori e dei loro dipendenti cambierebbe radicalmente. La Coca Cola, in un comunicato diffuso dal suo ufficio stampa, respinge le accuse. “I nostri principi guida prevedono il rispetto di tutte le leggi locali sul lavoro – si legge nella nota – comprese quelle dei salari. Controlliamo anche che i nostri fornitori diretti garantiscano tali impegni. Dopo aver esaminato i nostri dati, abbiamo scoperto che il controllo più recente del nostro fornitore a Reggio Calabria risale a maggio 2011. Possiamo confermare che nessuna delle preoccupazioni sollevate è stata riscontrata durante verifiche portate a termine da organi indipendenti. Anche se non possiamo controllare ogni consorzio e ogni contadino, il nostro fornitore di succo ha presentato le dichiarazioni di un ampio numero di consorzi con cui lavora che confermano di rispettare le leggi italiane in materia di lavoro”.