L’Onu ed il veto russo e cinese alla risoluzione contro la Siria

Un anno orsono, il 17 marzo 2010, l’ONU votava la risoluzione 1973 per fermare Gheddafi che iniziava a massacrare la sua gente in piazza a Tripoli, a Bengasi ed a Misurata. La Russia e la Cina con l’astensione permettevano di fatto l’intervento NATO contro la Libia, dando inizio ad una “caccia legalizzata” del Rais. L’Occidente tornava in Africa settentrionale e, con un approccio neocoloniale, tentava di accaparrarsi una quota delle risorse energetiche della Libia e di raccogliere il consenso dei ricchi Stati islamici nemici di Gheddafi che durante la primavera araba avevano giocato un ruolo fondamentale con i loro mezzi di comunicazione;  prima fra tutti l’emittente televisiva Al Jazeera. A distanza di 11 mesi Russia e Cina hanno posto il veto all’approvazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza voluta dalla lega Araba per fermare il Presidente siriano. Assad continua nella repressione che ad oggi ha  provocato far il suo popolo più di 5400 morti, fra cui  400 bambini come denunciato dall’UNICEF. Una guerra civile che dura ormai da quasi un anno sotto gli occhi distratti dell’Europa e degli USA e dei disattenti media mussulmani  Gli ambasciatori russo e cinese presso l’ONU hanno motivato il loro “niet” con giustificazioni formali, prive di contenuto politico ma sufficienti per offrire a Bashar El Assad l’opportunità di continuare ad infierire contro il suo popolo. Un  veto ripetuto nell’arco di sei mesi e che ha riproposto le limitazioni delle Nazioni Unite di fronte a problemi rilevanti di politica internazionale,  derivate da vincoli validi nel 1945, anno di fondazione dell’ONU, ma oggi assolutamente penalizzanti ed ingiustificati. Nazioni Unite costrette ad assistere passivamente alle atrocità di  Assad, un Presidente che dimostra quotidianamente “il disprezzo per la vita e la dignità degli uomini”, come recentemente dichiarato dallo stesso Presidente Obama. La situazione in Siria incancrenisce, la gente muore ad Homs,  Hamas, Idiib e Damasco. Le granate di Assad non risparmiano nemmeno gli ospedali ed hanno costretto  la Delegazione di osservatori dell’ONU inviati in Siria su iniziativa della Lega Araba, a non poter espletare il loro mandato. Solo un mese di permanenza limitata a pochissime ispezioni, conclusa il 28 gennaio con un report di missione assolutamente insoddisfacente, privo di contenuti concreti e che non ha dato risposta al mandato dato dall’ONU. Assad resiste e continua a massacrare la sua gente convinto che nessuno oserà contraddire l’appoggio dei suoi amici russi e cinesi e quello delle sue alleanze pregresse che il Presidente si era assicurato con un’intensa attività diplomatica svolta in prima persona nell’estate del 2010, a ridosso dell’inizio della primavera araba. Scambi di visite con Kabul, Islamabad, Teheran e Beirut, per sottoscrivere impegni in ambito commerciale e di reciproco aiuto militare. Una “Alleanza Islamica” per difendersi dalla ingerenza occidentale di altri Stati mussulmani vicini agli USA e dello storico nemico sionista. Accordi guardati con sospetto e preoccupazione da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Yemen ed Oman che al loro interno assistono ad una crescente affermazione di realtà politiche caratterizzate da un approccio religioso radicale  che potrebbero minacciare la sovranità degli Emiri locali, fino ad ora indiscussa. Una realtà che prende sempre più corpo in un contesto in cui si sta sfaldando la coesione internazionale che aveva appoggiato Bush nel contrasto al terrorismo internazionale e per  combattere Bin Laden. Una disgregazione accelerata dalla incapacità che l’Europa e gli USA stanno dimostrando nel “leggere” ed interpretare gli eventi per prevenire forme di insorgenza degli estremismi locali,  destinate a minacciare ancora una volta la sicurezza internazionale. L’espressione di un Occidente che vacilla sotto i colpi della situazione economica e che esita di fronte ai fatti siriani,  al contrario del decisionismo dimostrato nell’azione contro Gheddafi. Un Occidente impegnato a non pregiudicare il flusso dei rifornimenti energetici di cui ha bisogno, provenienti in massima parte da regioni mussulmane a rischio di stabilità. Una realtà da cui traggono vantaggio varie formazioni politiche islamiche di chiara connotazione radicale. I Fratelli Mussulmani ed i salafiti vincitori indiscussi delle elezioni nell’Egitto del post Mubarak, gli Ennahda in Tunisia e le formazioni di Al Qaeda dello Yemen e della Libia pronte ad uscire allo scoperto per conquistare un ruolo nell’area. Realtà  che insieme ad Hamas sono impegnate a riaffermare la sharia ed il “diritto religioso” di difendersi dagli ebrei e dai cristiani, anche ricorrendo alla violenza. Aggregazioni politiche oggi ancora sfumate, ma che potrebbero coagularsi traendo stimolo dal veto russo e cinese al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e, nello stesso tempo,   rappresentare una cassa di risonanza per il ruolo di Mosca e di Pechino nello scacchiere internazionale. Le conseguenze potrebbero essere gravi in un momento in cui l’Iran scalpita per il nucleare e minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz bloccando il flusso energetico verso Occidente ed Israele scalda i muscoli alzando il livello di allerta, confermando l’intenzione di colpire militarmente i siti nucleari iraniani. Obama e l’Europa rimangono a guardare. Il primo preoccupato per la prossima campagna elettorale, la seconda ancora una volta priva di connotazione politica unitaria e caratterizzata tuttora da una prevalenza di interessi nazionali piuttosto che  collettivi. Di fronte all’evanescenza di chi finora ha giocato un ruolo determinante nella politica internazionale, Assad si propone spavaldamente sullo scenario mondiale, certo dell’appoggio cinese e russo e di quello degli amici islamici del Centro Asia e del Mediterraneo Orientale. In Siria si continua a morire, mentre chi appoggia Assad denuncia un complotto esterno di matrice sionista ed americana, aiutato dall’Europa e dalla Turchia. Gli avvenimenti siriani si sovrappongono ai risultati elettorali egiziani e tunisini ed alla situazione non chiara della Libia del post Gheddafi. Fatti che non contribuiscono a garantire la sicurezza internazionale reduce dall’11 settembre. Prevederne gli esiti non è semplice, ma è assolutamente certo che la inconsistenza di una politica estera europea univoca e credibile e un’altalenante approccio americano non favoriscono la situazione. L’Occidente sta vivendo una fase di declino dalla quale deve cercare di uscire immediatamente, riproponendosi come una nuova realtà in cui l’Europa, per posizione geografica e culturale, ne rappresenti il “cuore”, con una visione allargata alla Russia ed ad una Turchia più europea che ottomana. Condizioni essenziali per la futura stabilità internazionale, in grado di bilanciare il ruolo della Cina e per rivalutare la geopolitica classica che ancora rappresenta un importantissimo modello, in particolare dell’Asia orientale. Condizioni che se non rapidamente raggiunte potrebbero compromettere la stabilità mondiale mettendo a dura prova le democrazie liberali afflitte dalla crisi economica e che, invece, hanno assoluto bisogno di essere rivitalizzate. Ritardando, potrebbero  crearsi momenti non favorevoli per il Vecchio Continente con ricadute negative su tutto il processo di stabilizzazione mondiale. Un’Europa dipendente dalle risorse energetiche prodotte dai Paesi islamici, compressa dall’ex Unione Sovietica, dai Paesi emergenti dell’Africa islamica mediterranea e da un Medio Oriente sempre più orientato ad avvicinarsi alla componente più radicale delle realtà islamiche.