La Certosa di Serra San Bruno vista da Enny Comito Bova

 Ho rinvenuto tra le mie vecchie carte un ritaglio di  giornale ( Gazzetta del Sud del 22 settembre 1995) che l’ho trovato da subito una delle rare pagine di giornalismo letterario, insomma un accattivante brano tutto impregnato di poesia, una testimonianza di un pellegrinaggio tutto particolare intrapreso dalla poetessa, scrittrice e giornalista di Petrizzi Enny Comito Bova.

Piace riproporlo ai nostri lettori perché i media possano essere il passaporto per la spiritualità e il silenzio. E quanto ce n’è bisogno!

“Tropea. Nel cielo un sole prepotente. Pur sul finire dell’estate, si era intestardito ad avvolgere uomini e natura con un abbraccio violento. Il mare aveva perso la sua cristallina dolcezza ed era intento a formare, con le sue acque, grosse matasse bianche che si avvicinavano alla riva per infrangersi violente contro gli scogli come per sgretolarli. Sotto ribolliva, con un rumore di sassi travolti: un digrignare di denti. Via da questo spettacolo bello ma violento poiché l’anima desiderava serenità! Salita in macchina con alcuni amici ci siamo allontanati da Tropea. Dopo alcuni chilometri, abbiamo imboccato la via che costeggia il lago dell’Angitola, placida massa d’acqua in cui si rifletteva il verde rasserenante degli alberi. Man mano che avanzavamo, essi si infittivano e stendevano i loro rami protettori su di noi come a formare una galleria a difesa del sole.

Da vari anni non avevo visto Serra San Bruno e l’ho ritrovata in festa perché era un giorno dedicato alla Madonna  [dell’Addolorata n.d.r.]. Il paese mi parve più grande, molto pulito, gioioso. Quasi all’entrata, come per salutare anche noi, una banda di giovani, giovanissimi ed anziani, in giacca blu e pantaloni grigi, suonava per la gloria del Signore. Tra loro un giovane mongoloide con stampata sul viso la gioia di sentirsi uguale agli altri. Man mano che procedevamo ci si facevano incontro le chiese di questo paese bello, famoso per la perizia dei suoi artigiani.

Una su tutte la chiesa dell’Addolorata. Non grande, non è solenne ma senti quasi tangibilmente la presenza di Dio. Le prime porte, di bronzo, sono tutte scolpite. Ma un’immagine, sulle altre, colpisce: un Cristo morente. L’abbandono del corpo scompare per l’espressione intensa del viso che attira immediatamente. È un volto amico eppure lontano com’è lontano il terreno dal divino, sia pure nel tentativo di comprendersi ed amarsi. Quel volto pareva scrutarti dentro e porti davanti ai tuoi dubbi, alle tue ansie, a te stesso.  Alle porte di bronzo ne seguono altre scolpite con grande maestria.  Intanto mi attendeva una piacevole sorpresa, Non c’erano panche che, antiche o moderne, danno sempre una sensazione di comodità, ma delle poltroncine intagliate e ricoperte di velluto rosso, invitanti. Padrone del luogo pareva non quel Dio Onnipotente, Onnipresente da amare ma anche da onorare profondamente, ma un perfetto padrone di casa che ama raccogliere attorno a sé e parlare con loro con semplicità.

La conversazione può toccare temi alti; la vita, la morte, l’immortalità, ma il tono è sereno e l’animo privo di turbamento. Chiesa del mio spirito, allora ti ho amata!

Seduta su una poltroncina, una donna pregava. “Chi siete?” chiese. Quando le abbiamo detto che intendevamo visitare il paese cominciò a fornirci mille indicazioni. Voleva che vedessimo tutto, proprio tutto e si alzò per accompagnarci glorificando l’abilità del padre, dello zio, del nonno, abili artigiani, del figlio, no.  Il figlio era uno di quei giovani moderni che aspettano che il futuro cada loro tra le braccia. Dopo esserci salutati, siamo andati verso la Certosa, luogo di lavoro e di preghiera per chi è saturo del mondo ed aspira ad una vita migliore. Bella ma non visitabile, è luogo di clausura. Accanto un laghetto. Nel laghetto, San Bruno, immerso nell’acqua sino alla cinta, pregava con espressione intensa. Il sole, momentaneamente oscurato dalle nubi, aveva reso frizzante l’aria sottile dei mille metri. Per istinto avrei preso un grande asciugamano e ricoperto le spalle della statua santa.

Allontanato il pensiero quasi blasfemo con i miei amici ci siamo inoltrati nel fitto bosco che sta dietro al laghetto. Piante secolari delle montagna, alte e solenni, profumo di erbe. Il mare pareva una realtà lontana, più vicino il cielo che qua e là si affacciava fra tutto quel verde.. Ma nel mondo ci sono tanti dispettosi ed uno lo abbiamo trovato nel bosco solenne. Era un fungo porcino che spiccava con il suo colore vivace su un’alturina scivolosa. Fu lui il vincitore mentre noi desistevamo dal tentativo di averlo tra le nostre mani infangate. Ci ricompensò della delusione il ristorante dove abbiamo mangiato funghi cucinati in tutti i modi. Il ritorno fu piacevole, il silenzio dei grandi alberi pareva quasi sacro. Verso la fine della gita abbiamo rivisto il mare. Aveva finito di fare matasse aggressive e si era disteso placido sotto i raggi di un sole addolcito. Il silenzio della macchina fu interrotto dalla voce di un amico che era nativo di un’altra regione. “ È proprio bella questa vostra Calabria.” (Enny Comito Bova)