Il pericolo di armi chimiche in Libia

In Libia la situazione non si sblocca. La potente macchina da guerra della NATO sembra non essere in grado di dare il colpo di grazia alle truppe fedeli a Gheddafi ed i ribelli segnano il passo sotto il fuoco dei cecchini. Gheddafi dimostra di non essere alla corda ed ogni tanto riappare rinnovando le sue minacce all’Occidente. Lo scenario rischia di diventare sempre di più un pantano, simile a quello in cui l’Occidente è rimasto invischiato in altre occasioni. La situazione stalla mentre cresce sempre di più l’apprensione che aggressivi chimici, a suo tempo prodotti da Gheddafi ed ancora nascosti nel deserto libico, possano cadere nelle mani di malintenzionati. Ipotesi non confermate né tantomeno smentite dall’Intelligence Occidentale che schierata da mesi sul territorio libico, sta dimostrando qualche problema nell’individuare gli obiettivi di importanza strategica di cui i fedeli del Rais, nonostante tutto, riescono ancora a difenderne l’ubicazione e la segretezza. Lo stesso Consiglio Nazionale di transizione della Libia ha denunciato fin dai primi giorni della rivolta che Gheddafi aveva prodotto tonnellate di gas tossici in una fabbrica di Rabat, a sud ovest di Tripoli, a conferma di quanto reso noto nel 1988 dagli USA. Quantitativi in parte distrutti da Gheddafi, ma di cui dovrebbe ancora esistere una disponibilità del 10% nascosta probabilmente in depositi affidati alla custodia di Tribù vicine al regime, come i Khadafa ed i Magarha alleati dei Tuareg, concentrati nell’area nord occidentale della Libia. Ancora tonnellate di agenti tossici fra cui l’iprite (gas mostarda) ed i potenti gas nervini del tipo di quelli utilizzati negli attentati nella metropolitana di Tokio del 20 marzo 1995. Anche l’ONU ha iniziato a lanciare specifici allarmi sulla possibile presenza in Libia di depositi di agenti chimici. Lo fa ufficialmente per il tramite di Lynn Pascoe, Capo Ufficio politico delle Nazioni Unite. Pascoe conferma la preoccupazione sulla possibile esistenza di depositi militari abbandonati, nei quali potrebbero essere conservati agenti tossici non distrutti dal regime libico entro l’estate del 2010, come previsto dagli accordi internazionali. Materiale che potrebbe cadere nelle mani delle cellule di Al Qaeda presenti nel Mali e collegate a quelle operative nel Magreb, che da tempo, come ormai accertato, gestiscono il contrabbando di armi recuperate nei magazzini abbandonati dalle truppe fedeli a Gheddafi. Sostanze che insieme a quelle radioattive trovate in questi giorni a Sabha insieme a maschere anti gas e tute protettive, (notizia confermata dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – AIEA), potrebbero essere facilmente utilizzate per la realizzazione di ordigni terroristici sporchi (Dirty bomb), con conseguenze catastrofiche rispetto agli effetti degli attentati dell’11 settembre. Ordigni che – anche solo perché possibili – rappresenterebbero per la comunità internazionale una minaccia ricattatoria dalle conseguenze difficilmente valutabili. La preoccupazione è lecita e non può essere sottaciuta. Si auspica, quindi, che i sofisticati sistemi di sorveglianza del territorio messi in campo dalla NATO insieme all’auspicabile network dell’Intelligence occidentale che ormai dovrebbe coprire tutto il territorio libico, possano individuare rapidamente i siti e distruggerli, evitando che in futuro possano nascere sospetti tipo quelli che portarono all’intervento Anglo – americano contro l’Iraq.