La ‘ndrangheta della Locride proiettata in Piemonte

A raccontare particolari e retroscena sono i collaboratori di giustizia Rocco Varacalli e Rocco Marando. Entrambi, nelle dichiarazioni confluite nei procedimenti “Minotauro” e “Maglio 3”, sfociati in importanti operazioni che hanno portato dietro le sbarre circa duecento presunti appartenenti alle cosche presenti all’ombra della Mole, hanno dichiarato la loro appartenenza alla criminalità organizzata e di essere stati “attivati” rispettivamente nel “locale” di Natile di Careri attivo a Torino e nel “locale” di Volpiano. Rocco Marando spiega il funzionamento dell’organizzazione: “La società si occupa di risolvere i conflitti tra “famiglie”, di evitare che ci siano omicidi tra esponenti delle varie famiglie e di ripartire gli appalti. In particolare, quando vi è un appalto di opere edilizie da realizzare nella zona rientrante nel territorio della “società”, debbono “mangiare” le ditte che sono gestite da esponenti della medesima società. Se ad esempio vincesse l’appalto una ditta estranea alla “società” verrebbe convinta dapprima con le buone ad andare a lavorare altrove, poi con le cattive e si può arrivare anche ad uccidere”. Una logica fredda e spietata, dunque, ispira l’azione degli uomini della ‘ndrangheta. Nulla è lasciato al caso, tutto è programmato e deve seguire un percorso prestabilito: “La ditta della “società” che si aggiudica un appalto – riferisce Marando –, poi ripartisce i vari lavori (elettrici, tubature etc.) ad altre ditte di persone che fanno parte della “onorata società”. Qualora una ditta gestita dalla società intenda effettuare un lavoro fuori territorio deve informare la società del posto ove l’appalto viene realizzato e poi dare in corrispettivo qualcosa”. Sul traffico di sostanze stupefacenti Marando fa un distinguo: “La ‘ndrangheta è una cosa diversa dal traffico di droga: la ‘ndrangheta non ha come scopo il narcotraffico. La droga per noi è un “mestiere”, mentre la ‘ndrangheta è una famiglia che vuole ordine e che evita di aver problemi e fastidi con le Forze di polizia”. La ‘ndrangheta si occupa di dare assistenza ai latitanti; ogni ndranghetista all’occorrenza deve prestarsi a dare assistenza ai latitanti: “Ad esempio, mio suocero, tanti anni orsono – racconta il pentito – ha ospitato Giuseppe Cataldo, il boss di Locri, nella sua abitazione a Platì; tale circostanza mi è stata riferita da mia moglie che all’epoca era bambina. Mio fratello Pasqualino ha dato ospitalità in Platì a un latitante di Messina; ciò è avvenuto negli anni 1980-1981 e anch’io ho portato tale persona a passeggiare in montagna. Poi, un altro ragazzo di Reggio Calabria, anche lui latitante, lo abbiamo ospitato tra il 1990 e il 1991 a Leinì”. La ‘ndrangheta assicura un sistema di mutua assistenza: “Quando un affiliato alla ‘ndrangheta – afferma Marando – ha dei problemi con la giustizia, gli altri associati devono aiutare la sua famiglia e devono pagare gli avvocati. Mio fratello Pasqualino l’ha fatto tante volte. Il mancato intervento in aiuto dei carcerati, talvolta, è causa di disguidi tra le famiglie”. A sua volta Rocco Varacalli, in ordine agli scopi dell’associazione delinquenziale, dichiara: “Far parte della ‘ndrangheta vuol dire dare assistenza ai latitanti, ossia ad esempio dargli ospitalità; essere a disposizione notte e giorno della ‘ndrangheta, ossia ci si rende disponibili a fare qualsiasi cosa illecita per l’associazione, ad esempio rubare, uccidere, fare estorsioni. Non prendevo stipendi dall’organizzazione. La ‘ndrangheta è formalmente contraria alla gestione del traffico droga, ma poi tutti gli associati lavorano nel mondo del narcotraffico; in sostanza un associato della ‘ndrangheta può fare qualsiasi cosa, l’importante e che non porti “tragedie, infamità e macchie d’onore”.